Sulle urne si profila l'ombra del pareggio di Alberto Rapisarda
Finiti i faccia a faccia in televisione, chiusi i comizi, adesso la parola passa agli elettori Finiti i faccia a faccia in televisione, chiusi i comizi, adesso la parola passa agli elettori Sulle urne si profila l'ombra del pareggio Berlusconi smentisce il ritiro: se vinco, sarò io il premier ROMA. Basta con i faccia a faccia in tv, basta con i comizi. Diffusi gli ultimi appelli, da ieri sera tacciono i candidati e oggi tocca agli elettori riflettere. E decidere recuperando elementi di concretezza nel fiume di parole che li ha investiti. Compresa l'ipotesi, rilanciata ieri dal Foglio di Giuliano Ferrara, di un possibile ritiro di Berlusconi, ma «solo un minuto dopo il voto». Ritiro («questo è politicamente prevedibile» sostiene Ferrara) dal ruolo di presidente del Consiglio predestinato, in caso di vittoria del suo schieramento. Dovrebbe sostituirlo Gianni Letta (già indicato da Berlusconi a Pannella come suo vero numero due), o Giulio Tremonti o chissà chi altro. Forza Italia e lo stesso Cavaliere si sono affrettati a smentire: sarà Berlusconi a formare la squadra di governo. Se vincerà il centrodestra, naturalmente. Certo, è strano che questa già ampiamente dibattuta ipotesi, venga rilanciata alla vigilia del voto, col rischio di disorientare gli elettori del Polo. Perché parlar ora di ritiro (dopo) può comunque sembrare una fuga di fronte ad una sconfitta temuta. Un implicito avallo all'ottimismo che ostentano i dirigenti dell'Ulivo. In realtà, certezze sul risultato di domani non può averne nessuno. Né i quaranta sondaggi commissionati da partiti e gruppi finanziari italiani e esteri, possono centrare un risultato che è appeso ad una quarantina di seggi dove appena 2000 elettori potranno decidere chi vince tra Ulivo e Polo. Quel che colpisce è che, a fronte della incertezza del risultato, non si registrano preoccupate attese da nessuna parte. Soprattutto, sorprende il distaccato scetticismo col quale gli osservatori stranieri (giornali, finanzieri, Borse) si attendono un pareggio. Quasi che lo auspicassero come la soluzione per loro più tranquillizzante. Seguita, magari, da un governo di larghe alleanze tra i due poli, guidato da personalità come Ciampi o Maccanico. Risultato di parità (e di impossibilità di formare un governo) si otterrebbe se un polo ottenesse la maggioranza alla Camera e l'altro al Senato. Cosa che potrebbe accadere perché sono diversi i meccanismi elettorali. In questo caso diventerebbe inevitabile un governo di «grande coalizione» tra Ulivo e Polo, altrimenti ci sarebbero nuove elezioni a breve tonnine. Di possibile parità se ne è parlato talmente che, di fatto, è diventata la terza variabile ufficiale sottoposta agli elettori. E se questi così decidessero, sarebbe il voto popolare a dare il via libera al governo delle «larghe intese». Non viene presa in considerazione da Prodi-D'Alema e BerlusconiFini l'eventualità che un polo o l'altro possa ricorrere alla Lega per ottenere con i suoi parlamentari la maggioranza per formare il governo. L'ipotizzato ritiro di Berlusconi sembra mettere in conto un risultato del genere. Sul non utilizzo dei leghisti sono tutti d'accordo. Compreso Bossi, che pare intenzionato a stare alla finestra a vedere come gli altri se la cavano. L'Ulivo sostiene, comunque, che vincerà lui. Ma avrebbe il problema di vedere «come» vince. Se conquistasse 320 deputati da solo (la maggioranza assoluta alla Camera), senza dover far ricorso a quelli di Rifondazione comunista, il governo lo guiderebbe Prodi. Che non vuole avere nulla a che fare con Bertinotti. Se l'Ulivo avesse bisogno anche di Bertinotti, Prodi si tirerebbe indietro. E tutto sarebbe più incerto, come ha ammesso D'Alema. Se vincesse il Polo, guiderebbe il governo qualcuno di Forza Italia, anche se Fini prendesse più voti dell'alleato. Ma è aperto il problema Berlusconi. Che da tempo ha lasciato capire che avrebbe potuto fare un passo indietro. In questo caso i nomi dei possibili sostituti sarebbero Tremonti, Scognamiglio, Martino. Si vedrà. Il voto di domenica deciderà anche il destino delle liste minori (Dini, Verdi, Palmella) che tentano di superare lo sbarramento del 4 per cento per partecipare alla attribuzione dei seggi della quota proporzionale. Dini sembra avere le maggiori probabilità di successo. Alberto Rapisarda
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