Polo kermesse finale in piazza Navona di Maria Grazia Bruzzone

Sul palco tutti i leader del Centro-destra. E Pannella: «Il fascio dell'Ulivo si sfascerà» Sul palco tutti i leader del Centro-destra. E Pannella: «Il fascio dell'Ulivo si sfascerà» Polo, kermesse finale in piazza Navona Applausi a Berlusconi, ma il cuore batte per Fini ROMA. «Roma saluta il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi». Sono quasi le nove quando il leader di Forza Italia riesce a raggiungere il gigantesco palco piazzato quasi in mezzo a piazza Navona dove da due ore va avanti il comizio conclusivo del Polo delle Libertà. In ritardo per il traffico che lo ha intrappolato al ritorno da Saxa Rubra, sale la scaletta e si volta a salutare, le braccia alzate come un pugile sul ring. «Silvio! Silvio!» urlano in molti, ma il grido si confonde nel «Fini! Fini! Fini!» di tanti, tantissimi altri ormai galvanizzati dal capo di An che tiene banco da oltre mezz'ora. Una folla che malgrado le grandi scritte che inneggiano al Polo delle libertà e del buongoverno, il popolo di destra è innegabilmente di An. Una folla giovane, dura, scura, dagli occhi ardenti, una plebe calda, irruenta, straripante, che il servizio d'ordine fa fatica a contenere dietro le transenne che cingono lo spazio intorno al palco quasi fosse un fortilizio. Dal pomeriggio stipano la piazza all'inverosimile. Da ore sventolano le bandiere bianche, verdi e rosse, azzurre, o tutte bianche che hanno ancora in mezzo la fiamma tricolore che Fini ha cancellato dal simbolo «ma è rimasta, perché è una cosa bella», spiega il ragazzo di una bancarella. «E' la vera anima del movimento che ricorda quel che abbiamo rappresentato e continuiamo a rappresentare» aggiunge commosso dal palco Domenico Gramazio, uno dei più agitati della truppa Alleata nazionale. Il palco è subito affollato e tale resterà per tutto il tempo. Pieno di uomini e donne, ma soprattutto uomini in piedi, che prima parlano fra loro, poi stanno a braccia conserte. «Un funerale musulmano, il sagrato di una chiesa del Sud», suggerisce ironico Pietrangelo Buttafuoco, l'ex direttore dell'Italia settimanale. E, come se non bastasse: «Certo la lezione di Goebbels non si sente...». Qui tutto pare lasciato alla spontaneità. C'è Michelini al telefonino e D'Onofrio accosciato che parla coi cronisti, Tina Lagostena Bassi e un Fisichella un po' smarrito quando sulla scena entra Gabriella Carnicci tutta in nero («look marcia su Roma», scherza ancora Buttafuoco), Gasparri, forse unico blazer blu un tempo divisa d'ordinanza, e Storace dimagritissimo che contempla l'enorme striscione «Storace muore di An» che gli hanno dedicato i circoli della Riva destra. «Siamo il doppio dell'Ulivo, piazza Navona è il doppio di piazza del Popolo ed è piena» mente ri¬ dendo. Ci sono D'Urso e Maceratini, Publio Fiori e il giudice Mancuso, e Previti rubacuori che si sporge ad abbracciare la bella moglie e altre bionde. Ma subito si ricompone. «L'Ulivo ha cantato in anticipo vittoria, noi celebriamo comunque la nascita del più forte movimento di libertà che si sia mai visto». «Libertà», come l'inno di An che va per la maggiore con quello di Forza Italia e 1'«Alziamo la vela» del Ccd, scritto dall'ex deputato le¬ ghista Raul Lovisoni che accompagna il discorso di un Marco Pannella emozionato nel ritrovarsi nella «sua» piazza 22 anni dopo la vittoria divorzista e ringrazia dell'alleanza e chiede il voto «per una grande Repubblica antipartitica e liberale». «Il fascio dell'Ulivo si sfascerà... Viva la libertà, muoiano le fazioni» quasi grida. Mietendo applausi. Di libertà parla molto Rocco Buttiglione: «In queste elezioni si gioca il progetto della libertà contro il progetto del con- trailo», dice, e si rivolge ai giovani, «che si sono stufati di essere solo un problema invece di una speranza e una risorsa». Applausi. Anche più fitti e caldi quando Pierferdinando Casini esordisce con «Romane e romani, siamo qui avendo davanti una moltitudine di poteri forti che ci contrasta», e saluta col braccio alzato e un «Viva l'Italia». Ma le ovazioni, il popolo della destra le riserva a Gianfranco Fini, elegantissimo con tanto di gilè, accolto da salti («chi non salta comunista è»), che dalla piazza si propagano al palco. Tasse, lavoro, giovani, le trattenute, il futuro dell'Italia, Fini ne ha per tutti, e soprattutto per r«arciconfraternita dei mandarini della vecchia Repubblica» presenti nell'Ulivo, da Maccanico a Dini, da Prodi a De Mita, Benvenuto, Andreatta, Mancino e via, uno o dopo l'altro tra gli scrosci. «Più che un Ulivo hanno costruito uno stagno ricolmo di rospi, ranocchi e camaleonti». E la folla rumoreggia beata. Maria Grazia Bruzzone

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