Borsa specchio d'Italia di Mario Deaglio
Le memorie di Aldo Ravelli Le memorie di Aldo Ravelli Borsa, specchio d'Italia SLLA venerabile età di ottantadue anni, sentendosi alla fine dei suoi giorni, un «grande vecchio» della Borsa invita nella sua villa in Brianza un giornalista giovane e bravo. E comincia a raccontare; racconta, settimana dopo settimana, fino a poco prima della morte. Ricerca, forse per sé prima che per gli altri, il senso degli avvenimenti che l'hanno visto in prima linea, ricostruisce atmosfere, fatti e stati d'animo. Da questa vicenda è scaturito un documento eccezionale, redatto da Fabio Tamburini e pubblicato da Longanesi con il titolo incongruo di Misteri d'Italia, nel quale sono riportate le conversazioni dello stesso Tamburini con Aldo Ravelli, per decenni «principe» degli operatori finanziari italiani. Ravelli è in parte protagonista, in parte testimone privilegiato, dal sorriso sardonico e dalla battuta caustica, in dialetto milanese. La sua vita può essere letta come il tentativo, apparentemente impossibile, contrassegnato da due dure esperienze carcerarie, di conciliare la fedeltà politica alla sinistra e quella professionale ai suoi clienti, che di sinistra certo non erano. Antifascista, viene arrestato nel 1944, trascorre un tenibile periodo a Mauthausen; salvatosi e tornato a Milano, con una mano finanzia personalmente la sinistra socialista di Riccardo Lombardi, con l'altra organizza la «fuga dei capitali» in Svizzera. Arrestato per questo a settantanni, subisce varie settimane di carcere pur di non rivelare i nomi dei clienti. Ravelli è uomo di qualche eroismo e di molte contraddizioni, due esperienze non estranee, in forma certo meno intensa, all'esperienza di milioni di italiani. Da questa sua lunga e sofferta testimonianza impariamo che alla fine della guerra, il capitalismo italiano non èra affatto simile allo stereotipo attuale, non era un blocco immobile, «ingessato», di pochissime grandi famiglie. In un orizzonte mobile e ribollente, erano attivi a decine finanzieri e capitalisti oggi scomparsi, come i Marinotti, i Brusadelli, i Riva. Molte società erano «scalabili», in Borsa e fuori Borsa, ed effettivamente il loro controllo cambiò di mano. I finanziamenti alle varie forze politiche appaiono frequentissimi e solo raramente assumono il carattere di contropartita per un favore specifico, ossia di tangente. Pur con questo maggiore dinamismo, la Borsa di Milano era anche allora un luogo angusto: «E' una pozzanghera - dice Ravelli - e per questo occorre stare attenti. Tu in mare aperto nuoti, ma nelle pozzanghere non riesci. Muori». Filosofia spicciola, da non trascurare nel momento in cui la Borsa di Milano stenta a conservare la propria identità nel vasto mare della finanza mondiale. Armato di questa filosofia spicciola - e sulla base di episodi su cui fornisce solo poche, reticenti, ma preziose informazioni - Ravelli vede la nostra storia recente nei termini di uno scontro tra la «borghesia numero uno», il capitalismo tradizionale «dalle mani pulite, o meglio semipulite», con la «borghesia numero due», quella dei Sindona e Cefis, decisa a guadagnare posizioni a ogni costo, «senza scrupoli e spesso fuori dalla legalità» e pronta ad accettare infiltrazioni dalla «borghesia numero tre, quella di Cosa nostra» e a finanziare con essa l'estremismo di sinistra. E la prima, alla fine, esce vincente e darà impulso futuro alla crescita del Paese. Ravelli apre uno spiraglio su un'area insolita ma essenziale della realtà capitalista: quella in cui si incontrano banalità e idealità, questioni di donne e questioni di potere, ripicche personali e disegni politici. E il tutto si traduce in movimenti dei listini e mutamenti delle maggioranze azionarie. La Borsa di Milano diventa allora specchio del Paese e tutto il Paese, del resto, sta dentro al recinto della Borsa. Mario Deaglio
Luoghi citati: Italia, Mauthausen, Milano, Svizzera
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