LA TRAGEDIA DEGLI INNOCENTI di Igor Man
L'EX SEGRETARIO DEL QUIRINALE LA TRAGEDIA DEGLI INNOCENTI sad è disposto a incontrarmi per trattare la pace. Al Cairo qualcuno dice che gli innumerevoli razzi degli hezbollahi sono altrettanti voti perduti da Peres e guadagnati dal Likud che vuole sì la pace ma non in cambio dei Territori. Ecco, dice la Destra israeliana alla gente, la pace di Peres è quella dei cimiteri: svende la terra e non colpisce i terroristi assassini di Hamas, i terroristi assassini di Hezbollah. Sicché la colomba Peres è costretta a calzare l'elmetto dando via libera ai generali impazienti che, in consonanza con «Arik» Sharon, vorrebbero spingere, visto che ci sono, la «fascia di sicurezza» nel Libano del Sud sino al fiume Litani. Non solo, pretendono inoltre di «selezionare» (è il ver- bo usato dal generale Sharon) i palestinesi: al momento opportuno. Ha certamente ragione il ministro degli Esteri israeliano quando dice che Israele è stato tirato pei capelli, ma sta di fatto che, almeno finora, i guerriglieri del «partito di Dio» rimangono inesorabilmente attivi mentre a morire sono, appunto, gli innocenti. Come sempre, del resto. Specie in Medio Oriente. Soprattutto in Libano. E corre il pericolo che l'operazione «furore» si avviti su se stessa provocando la morte della pace bambina che, paradossalmente, si voleva salvare proprio con la guerra. Una guerra atipica poiché non vede cannoni contro cannoni, aereo contro aereo: ad usare i cannoni, gli elicotteri eccetera sono gli uomini del primo esercito del Medio Oriente, del quinto del mondo. Gli altri hanno soltanto un'«arma proletaria» e una religione corrotta in ideologia a sorreggerli in codesta fosca av- ventura. Tuttavia i più hanno soltanto la debolezza della propria sciagura. Stando così le cose anziché di guerra sarebbe corretto parlare di giuoco al massacro. Come da copione la Russia «ammonisce», l'Onu «condanna», Washington spedisce un mediatore, il Parlamento europeo vota una risoluzione «dura ma equilibrata», tanto per non scontentare nessuno (forse sarebbe più giusto definirla ipocrita), persino Mubarak s'indigna e «condanna» Israele; il Consiglio di sicurezza è riunito (ovviamente) d'urgenza, Butros Ghali è (manco a dirlo) «sconvolto», il Papa prega per le incolpevoli vittime, tutti convengono che s'impone una soluzione diplomatica. Già sentito, già visto. Con tutto il rispetto pei poveri morti, quelli di ieri, di oggi e quelli che, purtroppo, verranno domani, temiamo fortemente che l'intervento in Libano immaginato da Peres «rapido, chirurgico, fruttuoso» tanto da fargli vincere le elezioni di maggio sì da resuscitare la pace, possa trasformarsi in un devastante boomerang. E' facile scatenare una guerra, ben più difficile uscirne. E il Libano è una trappola infernale che potrebbe castigare proprio quel Peres che, nel 1982, tanto si adoperò affinché Tshal si sganciasse da un inferno ch'egli definì «inutile». Fermo restando che la sicurezza d'Israele è sacra, sia chiaro che non esistono bambini di serie A e bambini di serie B. La pace appartiene a tutti, perché tutti sono figli di Dio. Là dove il Vangelo racconta un confortante miracolo di Gesù, un tragico errore ha trasformato un rifugio rassicurante in un mattatoio. Ed ora il pianto sale e l'ira cresce e il polline dell'odio si fa vento. Le facce contratte di Peres e di Arafat le abbiamo viste tutti in tv. Se il loro visibile imbarazzo mischiato a preoccupazione hanno un senso, potremo ancora sperare che allorché i vivi avranno seppellito anche questi morti, i cannoni finalmente taceranno per dar la parola ai costruttori di pace. Igor Man
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