Miraggi e nebbie rosse per la carovana Clinton di Vittorio Zucconi

Miraggi e nebbie rosse per la carovana Clinton Sbarco a San Pietroburgo tra emicranie per i fusi orari e interrogativi su dove sta andando l'ex nemico Miraggi e nebbie rosse per la carovana Clinton l 11-. I PIETROBURGO N qualche punto del cielo a 11 mila metri sopra la Siberia, alle G di sera ora dell'Air Force One, corrispondenti alle ore 8 del pomeriggio a Tokyo, alle 7 del mattino precedente a Washington, alle 15 di San Pietroburgo, alle 13 di Roma e all'ora dei cachet per il mal di lesta che sempre castiga i viaggiatori dei fusi orari, il convoglio aereo di Clinton ha attraversato un traguardo invisibile e reale. «Mister President - ha amiunciato il colonnello che pilota il suo super Jumbo a prova eh esplosione nucleare e traccia le rotte - siamo arrivati alla meta del suo viaggio intorno al mondo». Clinton avrebbe apprezzato, ma dormiva. Il periplo dell'ultimo imperatore del XX secolo è dunque arrivato a metà, ma una metà che non è soltanto geografica. Nelle nove ore di volo sopra l'immensità della Siberia che ci hanno portato dai ciliegi hi fiore di Tokyo alle betulle ancora nude della Carelia russa, la nostra carovana aerea ha girato la boa del mondo, ha oltrepassato le colonne d'Ercole che separano l'universo calmo e conosciuto delle alleanze da quell'universo ancora largamente ignoto che si chiama Russia. Sara stato l'effetto delle emicranie, dei liquori, della stanchezza, eppure sul carrozzone volante dei reporters e dei cortigiani dell'imperatore l'umore è cambiato. Quando il nostro pilota ha annunciato che eravamo nello spazio aereo russo, più o meno nello spicchio di cielo dove un caccia Sukhoi abbatté un 747 coreano 13 anni or sono, una strana quiete è scesa sopra l'agitata scolaresca, altrimenti detta lo «zoo volante» dei giornalisti. Come sarà, questa Russia '96? Che cosa si aspetta? Funzioneranno i telefoni? Ci saranno molti taratami, molti scarafaggi in camera? Non importa che al Cremlino regnino zar, segretari comunisti, monaci pazzi, despoti illuminati o capi di Stato eletti. L'«effetto Russia», l'inquietudine che da mille anni assale il viaggiatore che si avventuri nel ventre della più incomprensibile nazione del pianeta, rimane. Ls garbate polemiche, le educate manifestazioni di pretesta, le necessità del riaggiustamento di equilibri strategici ed economici fra Asia, America ed Europa che abbiamo lasciato in Corea e in Giappone, sembrano di colpo questioni davvero piccole, problemi da ragazzi rispetto all'eterno mistero Russia. Ieri mattina, parlando davanti alla Dieta giapponese, al Parlamento, Clinton aveva potuto giocare sul sicuro, parlare in fondo lo stesso linguaggio, pur tra i filtri di una cultura diversa, fatto di democrazia formale e reale, di economia capitalista, di mercato e di istituzioni stabili. Persino al pranzo con l'imperatore, quello funestato dallo sgarbo del pescegatto gigante, Clinton aveva avuto la gradita sorpresa di trovarsi davanti la scelta fra un menù giapponese e un banchetto occidentale a base di manzo tartufato, saggiamente offerta dalla corte imperiale per evitare imbarazzi gastrici agli schizzinosi americani. I Clinton avevano naturalmente scelto il manzo tartufato. Ma che cos'è il dilemma fra l'arrosto di carne e il pesce crudo, davanti al «menù» russo che ci aspet¬ ta? Quale difficoltà presenta l'alleanza nippo-americana, il contenzioso sul commercio di auto e di transistore, rispetto all'angoscia della immensa forza militare ex sovietica in putrefazione nucleare e morale, dilaniata fra il suo nuovo Vietnam ceceno e la liquidazione del suo arsenale atomico? «I patti e le dichiarazioni firmati ai vertici sono una bella cosa - mi ha detto un consigliere della Casa Bianca sull'aereo zoo -, ma nessuno può sapere davvero chi controlli le 12 mila testate che restano in mano ai russi. Al massimo, possiamo avere conto del 40%». Ne restano, se non sbaglio, 7200 orfane. Siamo atterrati ieri sera, cioè domani, rispetto all'America, e quasi ieri l'altro rispetto all'Italia, a San Pietroburgo, come adesso chiamano l'antica Leningrado, anzi Pietroburgo, anzi Pietrogrado. Chi aveva deciso di far cominciare l'altra metà del viaggio imperiale da qui aveva probabilmente pensato di fare cosa cai-ina, di far entrare Clinton dalla porta d'onore della bella città baltica. Ma se San Pietroburgo è certo bellissima, la sua è una bellezza difficile, insieme malinco¬ nica e distante. E' impossibile dimenticare che sotto le sue nobili gonne ci sono i 20 mila schiavi mandati da Pietro a morire qui per costruirla nelle malsane paludi della Carena e i 470 mila morti nell'assedio della Wehrmacht nazista che oggi Clinton andrà a onorare nel cimitero degli eroi. Questa sera (o è già domani sera?) siamo tutti troppo stanchi, noi della carovana Clinton, dello zoo al seguito, per capire, per dipanare le matasse dell'enigma Russia e della misteriosa gran dama del Baltico, Pietroburgo. Dorme Clinton, pensando forse alle 7 mila testate nucleari sciolte: come bloccarle prima che si diffondano come una metastasi atomica nel mondo? Dormiamo noi carovanieri, pensando a come raccontare ancora una volta l'enigma Russia. Oggi, al risveglio nella luce primaverile del Nord che già promette le notti bianche dell'estate, tutto ci apparirà sicuramente più chiaro. E tutto diventerà comprensibile anche nel futuro della Russia, dove un ex dirigente del partito comunista sovietico è in corsa contro l'ex segretario dello stesso partito comunista, nella speranza di battere il segretario del nuovo partito comunista. E' chiaro. Vittorio Zucconi Il colonnello che guida l'Air Force One: Presidente siamo a metà del suo giro del mondo ~ %ì uff* mWm« Clinton e Hillary salgono sull'Air Force One A sinistra, soldati russi provano la parata per il G7