La Sicilia dei combattenti

15 Dalle «opache» trincee dell'Altipiano alla luce dell'Etna La Sicilia dei combattenti Diario di un «polentone» del Nord ìnIARI amici siciliani, la I 1 vostra terra, laggiù nel I Mediterraneo, era per li me lontanissima; quasi ■Sàiirraggiungibile: mi veniva più facile valicare le Alpi e inoltrarmi nella Mitteleuropa che scendere a Mezzogiorno. Anche solo fino a Roma. Dalle mie parti è ancora uso dire «andiamo dentro» quando si va verso Nord e «andiamo fuori» quando si scende a Sud. Mi stupii molto a Vienna quando la mia traduttrice mi disse che passava le sue vacanze a Palermo: «Proprio a Palermo? Con quel caldo e con la mafia?», obiettavo. «Sì, a Palermo. Per me è una città bellissima e mi trovo molto bene». Di quella, per me, lontanissima isola, ricordavo quello che ci aveva raccontato Tucidide; i siciliani Ciullo d'Alcamo, Guido delle Colonne, Iacopo da Lentino e Federico II; ma anche Quasimodo, Vittorini, Sciascia, Bufalino, e se anche avevo letto Verga e Pirandello e Lucio Piccolo lentamente e stupidamente i luoghi comuni mi avevano creato della vostra Sicilia un'immagine distorta. Insomma dopo tante titubanze ho voluto lasciare questo mio Altipiano, dove la buona stagione non si decide ad arrivare, per una vacanza ed andare incontro alla primavera. Ed è stata una cosa meravigliosa, oltre ogni aspettativa. Premetto che mi ero segnato una decina di vostri indirizzi, con il desiderio di venirvi a salutare a Palermo, Siracusa, Catania, Messina, ma poi, giunto lì, cambiai idea: forse potevo recarvi disturbo nel vostro lavoro. Avevo portato con me la guida rossa del Touring Club, non nell'ultima edizione bensì nella prima: quella datata 1° febbraio 1919. Era di mio padre quando, alla fine della Prima Guerra Mondiale, era stato mandato a Palermo per il servizio di prima nomina, dopo tanti mesi di trincea e dopo un corso accelerato di allievo ufficiale. Tra le carte di mia madre ho anche trovato le cartoline, che da laggiù spediva a lei e a mio fratello maggiore, con le immagini di una Palermo ottocentesca bella nei suoi palazzi e nei suoi viali. Con questa guida del Bertarelli in tasca, mi dicevo, anche se non è aggiornata con le autostrade, con le nuove scoperte archeologiche, con i nuovi musei e le toponomastiche cittadine sarà come ritrovare un paese antico; e poi i paesaggi: il mare, le montagne, le città antiche sfidano il tempo. Questo pensavo sull'aereo che da Venezia volava laggiù. Mi fu sorpresa, amici, a Palermo, trovare una bella via dedicata a Antonino Di Giorgio, generale comandante del IV Raggruppamento Alpini formato da diciotto battaglioni che si dissanguarono sull'Oitigara: fu lui, un palermitano, a guidarli per dovere nella più sanguinosa e sfortunata battaglia nella storia degli alpini. E ancora un'altra via intitolata a Euclide Turba, caduto sul Monte Fior il 23 novembre 1917 nell'arrestare l'offensiva austro-ungarica che dal mio Altipiano tentava di scardinare la nostra resistenza sul Grappa e sul Piave. Quanti siciliani in quegli anni qui sull'Altipiano, e quanti caduti. Come gli ufficiali della brigata Catania che erano a studiare il terreno per l'attacco con il presidio della stessa brigata e che la mina dell'8 giugno del '17 seppellì per sempre sotto le rocce frantumate dello Zebio. Tutti erano partiti da questa terra solare per servire l'Italia tra le montagne e i boschi e la pianura del Veneto. Come il tenente Silvino Sarpi, di Catania, che mi era fratello maggiore, caduto sul Don la notte di Capodanno 1943. Se questi pensieri mi venivano da ricordi che sono ormai lontani nel tempo, fu vera commozione quando passando nei pressi di Capaci vidi il luogo dov'era caduto Falcone, e in una strada di Palermo l'albero di Borsellino: anche loro, più dei caduti in guerra per amaro dovere, combattenti in prima linea per affermare giustizia al servizio della patria. Andavo per Palermo non come per una città sconosciuta e nuova. Forse era mio padre che mi accompagnava per stradette antiche e affollate. Erano genti¬ li nelle piccole botteghe, cortesi e bravissimi gli artigiani e non mi sentivo straniero. Ma fu poi, dopo un paio di giorni, il mio contatto con la natura siciliana; con la sua splendida e luminosa primavera dove il giallo delle mimose e dei trifogli si esaltava con l'arancione delle calendule, con l'argento dell'artemisia, con il verde intenso degli aranceti; con gli ampi pascoli («Quando Eos accarezza con dita di rosa/ le nevi dell'Etna, ardente colonna del cielo, / conducono il gregge ai monti / i pastori di Sicilia...»). Tono, amico pittore che in quest'isola aveva trascorso più estati, mi raccomandava di visitarla durante il solleone, con i mezzi pubblici da città a città, da paese a paese assieme alla sua gente: «Solo così potrai capirla», mi diceva. E aveva ragione! Ora capisco meglio anche le sue acqueforti e le sue ceramiche. Ma fu amarezza, amici siciliani, vedere la profanazione edilizia nella Valle dei Templi: se le speculazioni edilizie di Milano, di Marghera, del mio paese stesso sono stupide in se stesse, quella di Agrigento è inconcepibile. Fu, invece, tenerezza osservare nell'interno verso Caltanissetta, Enna, Caltagirone le piccole case con la costruzione sospesa che attendono le ferie degli emigranti per portare avanti ancora un poco i lavori. («Signore, fa' ch'io ritorni / alla terra dei miei avi, / tra uva sultanina / e bianchi cotogni / ... Fa' che il rosso melograno / risplenda nel sorriso / di mia madre»... Così scrive il poeta Antonio Catalfamo che vive a Torino). Ritornato a casa dopo sette giorni ho guardato con altro occhio questo mio paese tra le Prealpi; se al ritorno dalla Svezia lo vedevo colorato e solare ora, al ritorno dalla Sicilia, lo scopro opaco anche se incomincia a rinverdire dopo un lungo inverno; e se, oltre al mio, erano due i luoghi della terra dove avrei potuto vivere in armonia - un villaggio nella steppa russa e un paese di pescatori portoghesi sulle rive dell'Atlantico - ora aggiungo anche un paese all'interno della vostra luminosa Sicilia. Con questi pensieri accettate come fraterno amico un «polentone» del Nord. Mario Rigoni Stern Tra le profanazioni di Agrigento, nella Palermo di Falcone, Borsellino e dei caduti sul Don | Agrigento, la Valle dei Templi. Sopra, l'attentato a Falcone, | allo svincolo di Capaci Sotto, l'Etna