Stato e pochi gruppi padroni della Borsa di Ugo Bertone

Stato e pochi gruppi padroni della Borsa IL J'ACCUSE DELLA CONSOB Stato e pochi gruppi padroni della Borsa Berlanda: regole da rivedere, così Piazza Affari si spegne MILANO. La crisi della Borsa? Ce n'è per tutti, attacca Enzo Berlanda. Lui, presidente della Consob, ha vissuto prima come parlamentare (pioniere dei fondi di investimento 13 anni fa, poi ai vertici della commissione) il difficile inseguimento di Piazza Affari alle grandi piazze finanziarie internazionali. Adesso, proprio alla vigilia delle elezioni e nel bel mezzo delle solite promesse a mercati e risparmiatori, Berlanda lancia le sue diagnosi e le sue proposte, concrete e non evasive, contro i vecchi e nuovi nemici di un mercato trasparente, all'onor del mondo economico avanzato. Agli interlocutori l'onere di una risposta vera, al di là del saliscendi pre-elettorale. 1) L'invito, innanzitutto, va al legislatore: (Ampia riforma della legislazione, modifiche nel trattamento fiscale delle imprese ed investitori, riforma del diritto societario, più radicato convincimento nel portar avanti le privatizzazioni». In buona sostanza, una «grande riforma» per il Duemila, perché l'Italia è indietro, sotto ogni profilo. 2) Che fa nei fatti lo Stato, così attento a parole al messaggio delle privatizzazioni? «Le dismissioni complessive - si legge nella relazione Consob - del Tesoro e di Iri ed Eni nel '95 ammontano a circa 29 mila miliardi. Ma solo 19 mila sono transitati in Borsa...». Certo, in alcuni casi la formula della vendita ad un singolo acquirente è la migliore ma, nota Berlanda, in «almeno quattro casi di società manifatturiere (tipo Nuovo Pignone ed Italgel) sarebbe stato possibile procedere alla quotazione ed al collocamento di quote di minoranza». 3) Italia, Paese di piccole imprese ma solo le grandi sono quotate. Certo, la Borsa italiana è tra il quindicesimo e il ventesimo posto nel mondo come dimensione ma al settimo per dimensione media delle imprese. Il risultato? Il mercato finanziario presenta un panorama da Terzo Mondo. Alle famiglie, con buona pace della retorica sulle «public companies», spetta solo il 17,3% del capitale delle società quotate (circa 56 mila miliardi, poco di più dell'importo medio di emissioni del debito pubblico in un mese non particolarmente impegnativo). Due società su tre, al contrario, sono controllate dal primo azionista con una percentuale superiore al 50%. E lo Stato, nonostante il gran parlare di privatizzazioni, aumenta addirittura la sua presenza nella torta del mercato azionario: alla mano pubblica spetta, a fine '95, il 28,8 (contro il precedente 26,8) dell'intero mercato. Effetto da quotazione Eni, certo, ma che dà comunque da pensare: solo la cessione delle quote di minoranza, senza poteri, ha battuto la strada del listino. 4) La scarsa virtù pubblica si è accompagnata ai vizi privati. Berlanda, dopo un anno di dure battaglie, mette ancora il dito sulla piaga SuperGemina e Olivetti, due «lezioni amare» sulla via della trasparenza. Berlanda si è soffermato sulla guerra con i due gruppi per ottener trasparenza e rispetto per i soci minori. Ma i due casi, soprattutto, sono serviti per lanciare un messaggio al legislatore: «E' normale - dice Berlanda - invocare la Consob a tutela delle minoranze». Questo capita, sostiene il presidente, perché in Italia, e non altrove, manca un codice che distingua tra società private e società quotate e permetta un controllo efficace su queste ultime. 5) Si può cambiare? L'occasione c'è, ed è offerta dalla direttiva sulle Eurosim che permette di offrire nuovi strumenti di intervento contro le prevaricazioni delle maggioranze. Ecco, assieme a una legge rinnovata sulle Opa, un obiettivo vero per i due poli. A meno che loro non preferiscano fingere entusiasmo per le privatizzazioni di facciata... Ugo Bertone Enzo Berlanda

Persone citate: Berlanda, Enzo Berlanda

Luoghi citati: Iri, Italia, Milano