«Ma come si fa la cultura sul video? Intanto vince la proposta indecente» di Alessandra Comazzi

F F tivù' & tivù' =1 Ma come si fa la cultura sul video? Intanto vince la proposta indecente COM'ERA, prevedibile, «Proposta indecente», il film di Adrian Lyne, è stato molto seguito. Molto, ma non moltissimo, una cosa medio-alta, ben lontana dai vertici del «Maresciallo Rocca», per intenderci. Otto milioni 242 mila spettatori su Canale 5 (nonostante il semaforo rosso che ne sconsigliava la visione ai bambini), 5 milioni 374 mila per il film concorrente, «Super Mario Bros.» su Raiuno, una commedia, una specie di videogioco che si svolge in un mondo parallelo. Non è neanche un bel film, «Proposta indecente», avevano ragione i critici che ne dissero male quando uscì. Improbabile sceneggiatura, improbabile Robert Redford, che sembra sempre inquadrato da una macchina da presa con la calza sull'obiettivo, come Berlusconi quando scese in campo. Poi, sempre Redford (dicesi Robert Redford, non per esempio Dustin Hoffman, tanto interessante ma bruttino) era affatto ridicolo nel ruolo del miliardario che ha I bisogno di offrire un milione I di dollari per trovare la com¬ pagnia di una donna. Ah già, era perché «tu avevi detto che non ti si poteva comprare»: e invece, voilà, ecco dimostrato l'antico teorema che tutto si può comprare, è solo questione di prezzo. In questa campagna elettorale nulla si spreca, come con il porcello, e così anche la messa in onda del film è venuta a fagiolo, visto che Prodi aveva appena accusato le reti Fininvest di «vendere sesso e violenza». Niente più di quanto non faccia la Rai, certi telefilm, certi film di terz'ordine sono violentissimi e ridondanti persone che si sbudellano. La vera pornografia televisiva è la pubblicità, con i modelli che propone: ma con la pubblicità se la prendono tutti molto poco, smuove interessi troppo grandi e delicati. Ancora secondo i giornali di ieri, il cinema sarebbe quello che provoca omicidi a catena o rischiosi «choc da spavento»: c'è Renzo, nei «Promessi sposi» (continuano a esistere come testo scritto nonostante il recupero dello sceneggiato tv), che a un certo punto viene scambiato per untore, e lo inseguono, e gli gridano contro: «Dagli! dagli! dagli! all'untore!». E così la televisione è la grande untrice contemporanea. Ma forse è soltanto una «povera untorella», e non sarà lei, quella che «spianta Milano». Sarà per contrappasso che in questi giorni sul video si parla molto di cultura: ieri, a «Telesogni», il bel programma del mezzogiorno di Raitre con Claudio Ferretti e Umberto Broccoli, c'era un alato consesso di personaggi, da Sabino Acquaviva a Antonio Spinosa, direttore del Videosapere, a Luciana Littizzetto («ma che cosa ci sto a fare io qui?») che si interrogavano sul punto. La Littizzetto diceva una cosa molto sensata: che quando in televisione si parla di qualche argomento culturale, è tutto immobile, statico (a parte Giordano Bruno Guerri che conduce «Italia mia benché» con le mani sulla testa): è come se ci fosse il fermo immagine su una bella lapide cimiteriale. E gli ospiti sono le venature del marmo. Alessandra Comazzi

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