Grecia biblioteche di cenere di Silvia Ronchey
1 gioco dello ecco i vincitori della settimana! Ciò che resta dei capolavori antichi Grecia, biblioteche di cenere Mappa di un 'apocalisse letteraria EE nel Duemila vi fosse un'apocalisse atomica e gli archeologi del terzo millennio tentassero di ricostruire la storia letteraria occidentale dei secoli successivi alla rivoluzone industriale in base ai reperti librari superstiti, la probabilità statistica dice che troverebbero prevalentemente testi scolastici e fumetti. Più una civiltà è progredita, più ampio è l'ambito della lettura, maggiore è la probabilità che le zone alte dello spazio letterario vadano perdute. «Le immense biblioteche degli imperatori gentili ed eretici per giustissimo giudizio di Dio quasi interamente perirono: perché non contenevano cose pertinenti alla gloria divina», ha sentenziato un filologo della Controriforma, Possevino. Secondo un filologo dell'Ottocento, Wilamowitz, la storia della conservazione dei testi greci è in realtà una traversia di progressive e inesorabili perdite. In questi giorni mostre fittamente visitate rievocano il mondo di Ulisse, di Alessandro Magno, della Magna Grecia, ma pochi saprebbero tracciare la storia della letteratura greca quale realmente fu. Un pregiudizio induce a considerarla una linea unica, composta dai testi che ci sono stati tramandati come fossero una successione necessaria e sufficiente, un hegeliano viaggio dello spirito. Ma l'ingiuria del caso e del tempo, la violenza delle ideologie religiose o politiche, ossia forse la «provvidenza» divina evocata da Possevino, non hanno voluto così: nei duemila anni in cui è stata tramandata, a cominciare dal quarto secolo e cioè dal passaggio fra paganesimo e cristianesimo, impero antico e impero bizantino, la letteratura greca è stata in realtà un succedersi di obliterazioni e cesure, e a rivelarlo negli ultimi decenni è lo studio delle loro tracce nella letteratura di Bisanzio. Una storia della letteratura greca può dunque essere solo il mesto inventario delle cose rimaste, simile a quello di Robinson sulla sua isola. Che il destino della letteratura greca sia rappresentabile, in complesso, come un naufragio dovrebbe trovare d'accordo uno studioso di roghi di libri e di biblioteche scomparse, oltreché di tradizioni manoscritte complesse e misteriose di antichi storici greci, come Luciano Canfora, che ha diretto e condotto in por¬ to, insieme a Giuseppe Cambiano e a Diego Lanza, Lo spazio letterario della Grecia antica, superestesa mappa, come suggerisce il titolo, della letteratura di lingua greca dall'età arcaica all'età bizantina. Oltre settanta studiosi italiani e stranieri hanno contribuito a tracciare questa mappa, di cui esce adesso il quinto e ultimo volume e dove alla cultura letteraria in senso proprio si affiancano testi magici e sacrali o folklorici così come tutto quanto formava la cultura scritta, dall'economia alla politica, dalla matematica al diritto, dalla medicina all'astronomia. Ma la maggiore originalità del¬ l'opera è il metodo negativo, che nel quarto volume, il più innovativo, induce Canfora a iniziare il suo inventario della storia della tradizione dei testi con un censimento delle Collezioni superstiti, partendo cioè dalla perdita, tenendo conto dei modi di trasmissione, mostrando quale considerevole porzione ne sia ai moderni preclusa e per quali perscrutabili cause: l'ingiuria del tempo, del caso, di guerre e d'incendi, ma anche, quasi ugualmente frequente, la censura. «Dove sono i portici, dove sono finite le fontane, dove le piazze, dove i Mouseia?», si an¬ gosciava in un greco perfetto Libanio, dopo il tremendo terremoto di Nicomedia del 362. Nel 363 l'imperatore Gioviano diede fuoco alla biblioteca di Antiochia, fondata da Giuliano l'Apostata, e nel 391 la violenza delle brigate di monaci cristiani, capeggiati dal vescovo Teofilo, prese d'assalto, saccheggiò e ridusse in cenere la biblioteca del Serapeo di Alessandria. Fu il sacco degli Eruli a devastare la ricca biblioteca che Adriano aveva donato a Atene, ma a Roma, testimonia lo storico Ammiano Marcellino, «le biblioteche sono state chiuse per sempre, come fossero tombe». Perfi¬ no nella dotta Bisanzio, dove furono sempre ricostruite e si ebbe quasi una religione del libro, gli incendi si susseguirono, da quello del 475 di ben 120.000 libri, tra cui molti pezzi rari, fino al rovinoso sacco cristiano di Costantinopoli nella quarta crociata latina, che disperse per sempre il patrimonio bibliografico dell'antichità. Finirono poi di dissiparlo i Turchi e fu solo fortunosamente e quanto mai parzialmente tratto in salvo dalle navi di predoni bibliografici armate dai dotti greci fuggiti a Occidente, come Bessarione. Perciò una nuova ricognizione sistematica del flusso scritto di lingua greca che nei secoli lega Atene a Gerusalemme, Alessandria, Cirene, Pergamo, Rodi, Antiochia, Cartagine, Roma, Bisanzio, non poteva essere che una storia per assenza, per sottrazione, evidenziando ciò che il tempo ha nascosto, come e perché: non solo le perdite leggendarie, come le tragedie di Platone o il famoso secondo libro della Poetica di Aristotele, ma anche la somma sterminata di papiri, rotoli, codici, pergamene e carte, la folla degli autori esclusi dal canone dell'insegnamento costantinopolitano o di quelle opere che, «non contenendo cose pertinenti alla gloria divina», la cultura ecclesiastica semplicemente non tramandò. Silvia Ronchey Papiri e pergamene, una storia di roghi e saccheggi: una ricerca censisce le collezioni superstiti Da Roma ad Atene 70 studiosi sulle tracce di testi leggendari ì M Luciano Canfora. A sinistra, la biblioteca di Efeso. Sopra, Giuliano l'Apostata
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