I balletti di Verdi, capolavori «estorti»

I balletti di Verdi, capolavori «estorti» Uno studio svela i pregi delle musiche che il Maestro realizzò per le parti danzate delle sue opere I balletti di Verdi, capolavori «estorti» Composti per compiacere il pubblico, ma poi suonati per le nipotine I N famiglia si ricordava che negli ultimi anni di vita Giuseppe Verdi amava suonare al pianoforte per i nipotini le musiche di balletto dalle sue opere. Per mettere alla prova la musicalità e la capacità di tenere e variare il ritmo dei giovanissimi Angiolo e Peppina. Dunque non è poi così vero che il grande Verdi odiava fierissimamente la musica per balletto che fu «costretto» a scrivere per venire incontro alle esigenze della Grande Boutique, come con sprezzo lui chiamava l'Opera di Parigi. Quando le sue opere venivano create o adattate per la scena parigina un balletto nel terzo atto non poteva mancare. Per nulla al mondo il pubblico vi avrebbe rinunciato. E la collocazione nel terzo atto era tassativa, a costo anche di interrompere l'azione drammatica: occorreva permettere ai membri del Jockey Club di terminare con calma la cena e entrare nel palco all'Opera giusto in tempo per ammirare le danze e soprattutto le proprie protette del corpo di ballo. Verdi, a malincuore, acconsentiva. Naturalmente, quando l'opera arrivava in Italia, Ù balletto scompariva subito. Musiche «estorte», dunque. Eppure spesso molto belle, realizzate con gusto, ben strutturate. La genesi, la fortuna, anche la ricostruzione, dove possibile, delle coreografie originali sono l'oggetto di un documentatissimo studio di Knud Arne Jùrgensen, The Verdi Ballets, che l'istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma pubblica ora in inglese. Bozzetti, rare fotografie, testimonianze, note previste dal libretto, gli appunti, quando esistono, dei coreografi che vi attesero, rendono possibile un approfondito lavoro di ricostruzione. E' uno studio che Jùrgensen ha potuto realizzare grazie alla collaborazione di tre importanti biblioteche parigine: quella dell'Opera, quella della Città di Parigi e la Nationale. Balli importanti, quelli di Verdi. Non soltanto per la loro fattura, spesso preziosa, ma perché vi lavorarono grandi coreografi dell'epoca, come Magloire Beauchet, Lucien Petipa e Louis Mérante, e ne furono intepreti virtuose di grido del secondo '800 come Clauduia Cucchi e Caterina Beretta. Il primo balletto di Verdi è del 1847, realizzato per la Jérusalem (la versione francese dei Lombardi), quando il genere del Grand Opera sta pienamente sbocciando. Seguono nel '48 le danze del Nabucco per Bruxelles, andate perdute. Ma è nella sua terza prova francese, il divertissement Les quatre saisons per i Vespri siciliani, realizzato nel 1855, che incomincia a emergere uno stile personale di musica per danza: si tratta di un balletto complesso e articolato dove quattro prime ballerine impersonano le stagioni e due, primavera e autunno, erano, al debutto, le italiane Beretta e Cucchi. Nel 1857 arriva la versione fran¬ cese del Trovatore: con danze, ovviamente. Così come con danze è la versione del 1865, al Théàtre Lyrique, di Macbeth. Ma è la Peregrina, il balletto scritto per la versione francese - la prima, in cinque atti - del Don Carlos, che gli studiosi amano definire il più «ciaikovskijano» dei suoi balletti. Per la complessa struttura, per la trama che ne fa un vero e proprio piccolo balletto al cui centro è la «peregrina»: cioè una perla che aveva impreziosito il decolleté di Elisabetta di Valois, la protagonista dell'opera, e che brillava, due secoli dopo, sul seno dell'Imperatrice Eugenia, la moglie di Napoleone III che era in sala la sera della prima. Le danze per Aida, nel 1871, so¬ no le prime a nascere non per una imposizione formalistica ma per una esigenza estetica dell'artista che, invece di un «divertissement», semina tre scene di danza nel primo e nel secondo atto. Nel 1894 il maturo artista ancora una volta inserisce un balletto in Otello per la produzione parigina. Ed è talmente scontento che chiama «mostruosità» quella musica. La quale però gli venne, suo malgrado, così bene, che nei decenni successivi Arturo Toscanini non avrebbe mancato di includerla spesso nei suoi concerti considerandola una fra le cose più belle del Maestro. Sergio Trombetta rtin Amis: ta a pezzi, rsecuzione ato. E to era interca: ocbri del n callco alammie pro ballo. ntiva. ra arompaa mangiare lenate, affinchno coprire la dagnarsi il pdella fronte. Anch'io ne do scritto di (ma non esaufici: sul compSchulhoff, finsti nel 1942 einglesegrafie, previste dal lquando esistche vi atteserun approfondizione. E' uno sha potuto recollaborazionebiblioteche papera, quella dla Nationale. Balli imporNon soltanto Giuseppe Verdi. Nell'immagine a destra, il costume per una ballerina etiope dell'Aida

Luoghi citati: Bruxelles, Italia, Parigi, Parma