«Cosa nostra» torna all'antico di Francesco La Licata

«Cosa nostra» torna all'antico I BOSS MUTANO STRATEGIA «Cosa nostra» torna all'antico Intimidazioni per avvertire i suoi nemici LROMA ETTA così, distrattamente, la notizia dell' aggressione subita dalla signora Giovanna La Rosa - la vecchia madre del pentito Tullio Cannella - potrebbe apparire di non grande importanza e quindi «relegabile» nel grande calderone della violenza quotidiana. E invece l'episodio - accaduto a Brancaccio, il quartiere ormai diventato cuore e cervello di ciò che rimane di Cosa Nostra - ad una più attenta lettura appare molto più importante di quanto possa sembrare. Un primo aspetto da sottolineare riguarda l'inequivocabile valenza intimidatoria che l'aggressione assume nei confronti di Tommaso Cannella e, più in generale, di tutti i pentiti. Ma perchè - si chiederanno alcuni - Cosa Nostra non ha usato i tradizionali mezzi drastici di sempre, la stessa terribile ven- detta riservata per esempio al figlio di Santino Di Matteo? La risposta è in alcuni precedenti abbastanza «freschi»: l'incendio della casa del collaboratore Giuseppe Monticciolo e, dopo, del suocero Giuseppe Agrigento. Due ritorsioni registrate dai giornali ma senza il clamore che solitamente suscita l'omicidio. Allo stesso modo le minacce sotto traccia, poco eclatanti, erano state scelte dalla mafia per mtimidire gli amministratori locali della zona feudo dei «corleonesi». Poco rumore per ottenere gli stessi risultati del «botto»: è la vecchia strategia di Cosa Nostra. Accortezza che non hanno potuto usare per il piccolo Di Matteo, ragazzo sveglio, che avrebbe senz'altro riconosciuto tutte le persone avvicendatesi in quasi due anni di «prigionia» nella mani del boss Giovanni Brusca. Altre considerazioni merita il personaggio preso di mira dai «signori» di Brancaccio. Tullio Cannella è un collaboratore non comune: sa praticamente tutto di Leoluca Bagarella e delle sue più recenti attività, fino alla cattura. Gran parte delle sue cognizioni le ha già affidate ai magistrati, compreso quelle riguardanti gli appoggi politici di cui poteva disporre il cognato di Totò Riina. Anzi, proprio nella parte appena descritta, Cannella aveva ricevuto piena legittimazione dal giudice per le indagini preliminari che lunedì scorso ha rinvia¬ to a giudizio l'aw. Francesco Musotto - ex presidente IForza Italia) della Provincia - accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Forse l'episodio di ieri potrebbe essere un tentativo di ridimensionare preventivamente la credibilità di un pentito che tante altre cose ha detto a proposito delle amicizie politiche di Bagarella, notizie attualmente sottoposte ai riscontri della polizia giudiziaria. Ridimensionarlo come? Esercitando sul collaboratore ima pressione costante, facendogli sentire il fiato sul collo, inducendolo a temere per la vita dei suoi cari. Non sarebbe il primo caso (pensiamo a Di Matteo) di ricatto esercitato a distanza e utilizzando come involontari intermediari anche i parenti meno prossimi. E proprio quest'ultima ipotesi sembra essere la più credibile, an¬ che alla luce della ricostruzione dell'episodio di cui è stata protagonista la madre del pentito. I «bravi ragazzi» si sono introdotti in casa della donna che vive da sola, seppure avanti negli anni. Se avessero voluto sul serio farle del male, non sarebbe stato difficile. E invece gli aggressori sembrano essersi attardati nella ricerca di «qualcosa». Lo stesso commando ha tenuto a pubblicizzare il particolare, telefonando al «Giornale di Sicilia». Una rivendicazione? No, la mafia non rivendica. Solo un messaggio a Cannella: «Abbiamo preso un documento». Forse non è neppure vero che hanno preso qualcosa, forse vogliono semplicemente che il pentito sia al corrente che i suoi nemici sanno su cosa mettere le mani per indurlo a «riflettere». Francesco La Licata Niente più botti: con poco rumore si ottengono gli stessi risultati Il boss Leoluca Bagarella

Luoghi citati: Agrigento, Italia