Ma un Paese che tira non piace a Wall Street di Alfredo Recanatesi

Ma un Paese che tira non piace a Wall Street OLTRE LA LIRA Ma un Paese che tira non piace a Wall Street RMAI è diventata quasi una costante del folclore finanziario la circostanza che negli Stati Uniti, quando i dati sull'occupazione indicano un aumento, la Borsa reagisce con sensibili ribassi delle quotazioni. E' folclore, infatti, quello che interpreta questa reazione come una manifestazione della perversione capitalista, la quale interpreterebbe negativamente un aumento dell'occupazione vedendovi solo un aumento dei costi di produzione a scapito del profitto. Naturalmente le cose stanno ben diversamente di quanto presentato da questa interpretazione, distorta sia da una aprioristica demonizzazione del denaro e del profitto, sia da una conoscenza del funzionamento dell'economia a dir poco approssimata. Quando l'occupazione aumenta è segno che l'economia produttiva va bene, che la domanda di beni e servizi è sostenuta, che le aziende ampliano l'attività. Quando tutto ciò avviene i profitti salgono non solo perché se non ci fosse una convenienza quella manodopera addizionale non verrebbe assunta, ma anche perché i costi unitari si riducono a fronte di prezzi che il buon tenore della domanda consente di mantenere almeno al livello precedente. L'argomento prezzi ci avvicina alla spiegazione del paradosso. Se l'economia tira, cresce il rischio che la capacità produttiva venga saturata e che, di conseguenza, la domanda induca rialzi dei prezzi più o meno generalizzati. A questa prospettiva, pertanto, si accompagna quella che la Banca centrale si orienti ad adottare politiche restrittive in grado di contenere l'espansione dell'attività economica con un aumento dei tassi di interesse. Nell'ipotesi che questa prospettiva si avveri» è fin troppo evidente non solo che l'attività economica rallenterebbe, ma anche e soprattutto che, a detrimento dei margini netti e dei profitti, crescerebbero gli oneri finanziari. Allora possiamo arrivare ad una prima conclusione: se di fronte ai dati e alle prospettive che abbiamo schematicamente descritto la reazione del mercato azionario è negativa significa che alla eventualità sfavorevole di un rialzo dei tassi è assegnata una rilevanza molto maggiore di quella del buon andamento del l'economia in genere e della profittabilità dell'attività produtti va in particolare. 11 fenomeno è stato particolarmente avverimi le nella recente esperienza americana perché è stato esaltato da un ribaltamento di aspettative: dalla previsione di un rallenta mento dell'economia e di una conseguente probabilità di ribasso dei tassi, nel giro di due o tre mesi si è passati alla situa zione opposta. Ma, al di là di questa enfatizzazione, il fenomeno ha una sua inquietante autoconsistenza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutti i Paesi industrializzati. E' la conI seguenza di un insieme di fatto I ri che solitamente vengono de- scritti nei termini di una finanziarizzazione dei sistemi economici, ma che si estendono anche al peso rilevantissimo assunto dalle politiche monetarie. Si potrebbe dire che le ragioni della ricchezza immateriale - i titoli, i crediti, la moneta - prevalgono su quelle dell'economia reale: i beni, l'iniziativa imprenditoriale, la manifatturazione, l'attività lavorativa. Questo avviene non per la malvagità del capitale, ma per il concorso di due indirizzi politici, ciascuno dei quali si è affermato con condivisibili motivazioni, ma che insieme hanno prodotto effetti indesiderati o addirittura perversi. Il primo è la globalizzazione del mercato dei capitali, che consente non solo l'impiego del risparmio in sistemi diversi da quelli nei quali è stato prodotto (per cui l'accumulazione frutto dell'impegno e del lavoro di un Paese può andare a benificio di un altro), ma esalta anche la tendenza a cogliere le opportunità a breve termine dovunque esse si presentino nel mondo, quindi scoraggiando gli impieghi produttivi a medio e lungo termine quali sono, in primo luogo, quelli nel capitale delle imprese (di qui la «scala di valori» evidente alla Borsa di New York, ma comune a tutti i Paesi industrializzati, dove il capitale abbandona i titoli non appena si profila qualche discontinuità monetaria da poter cogliere al volo). Il secondo indirizzo politi-, co è quello,che, nell'intento di equilibrare i bilanci correnti dei singoliStati, ha privato i governi della possibilità di regolare e indirizzare la domanda la quale, di conseguenza, rimane esposta, con tutto l'intero ciclo dell'economia, alle inevitabili fluttuazioni delle politiche monetarie. La ritirata dei governi da una presenza regolatrice dei cicli economici, quindi, ha consegnato le aspettative sull'andamento dei sistemi economici alle previsioni sui comportamenti delle banche centrali i quali, essendo riferiti a parametri mutevoli, inducono volatilità, nervosismo, speculazione, anche là dove sarebbe auspicabile stabilità, pacatezza, riflessione. Del resto anche in Europa, e da noi in Italia, i tassi e le eventualità di loro variazioni vengono seguiti con una attenzione spesso nevrotica e comunque ampiamente superiore a quella dedicata al reale andamento dell'attività produttiva, dei redditi, dell'occupazione. Questi fenomeni sono il prodotto delle politiche liberiste, ma che rappresentino una positiva conquista è cosa discutibile quanto mai. Alfredo Recanatesi Hi

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