Film, sorrisi, fotografìe e vestiti: al Lingotto una grande mostra-show sulla magnifica «supernarcisa» «MARILYN Le mille e una prosa»

Film, sorrisi, fotografìe e vestiti: al Lingotto una grande mostra-show sulla magnifica «supemarcisa» Film, sorrisi, fotografìe e vestiti: al Lingotto una grande mostra-show sulla magnifica «supemarcisa» Le mille e una posa MTORINO ARILYN entra al Lingotto. Forse non ne era mai uscita. In quanti arma, 1 dietti, dietro alle presse, in costume da bagno, o in gonna bianca plissettata, nuda o in jeans, è rimasta incollata come in un collage alla Mimmo Rotella? Oggi riappare come una Nefertari del 2000, una Gioconda Warhol-pop di fine secolo: icona di mistero, angelo dal volo stropicciato. Riappare in veste di grande Glamour-Symbol in uno spazio, «Il Portico», appena restaurato da Renzo Piano per ospitare mostre d'arte. «Marilyn, la seduzione» ha raccolto intorno a sé un cast di 70 persone, fra Europa e America, che per oltre due anni, sotto lo sguardo dei curatori Gianni Mercurio, Stefano Petricca e Paolo Frullini, sono andate a snidare collezionisti, archivi fotografici, radiofonici, televisivi, a pescare fra le centinaia e centinaia di gadget dell'industria del ricordo e del kitsch. La mostra, che aprirà il 16 e durerà fino al 22 maggio, è un racconto sull'attrice, diviso fra vita e mito, «scritto» in gigantografia: un modo per ritornare alle grandi immagini dello schermo cinematografico, alla dimensione del divismo hollywoodiano. Tutti gli uomini della sua vita Gli abiti di scena, le foto con gli uomini della sua vita, da Sinatra a Miller, da Montand a Kennedy, i filmini in super-otto, con una Norma Jean paffutella, pagine di diario e piccoli documenti scolastici: schegge di un mito chiuso fra due date: 1 giugno 1926-10 agosto 1962. La «dumb blonde», la biondina sciocca, con la sua trafila di provini, piccola pubblicità, corse sulle spiagge con bikini da palombaro. L'allestimento al Lingotto, colori alla Rockwell, luci, video, musiche, lo si può leggere come un soffice music-hall, un ballo di nostalgia. Ma tagliati da inserti di realtà forte, l'America degli Anni 40 e 50, quella dej dopoguerra, della corsa all'oro, quella della mafia sull'industria cinematografica. Marilyn con Brando e la Dietrich, Marilyn con i Kennedy, con Anna Magnani che le consegna un premio Taormina, in Italia non era venuta a ritirarlo, lo fece in sua vece Vittorio Gassman. Marilyn sulle copertine di Playboy e sui calendari. E' un itinerario che mescola eleganza di immagini e feticismo: assegni della diva, suoi fazzoletti, piastrelle del bagno, un ritaglio di giornale, dove, a prezzi stratosferici, si mette in vendita un loculo accanto alla sua tomba. E poi spezzoni di film: la prima apparizione, in costume a fiori, in «Scudda Hoo! Scudda hay!» per dire: «ciao», come protagonista in: «Orchidea bionda», con Harpo Marx in «Una notte sui tetti», e poi in «Giungla d'asfalto» con John Huston. Grandi pannelli raccontano, a fianco delle immagi- ni, la sua vita, con uno stile, dicono i curatori, «chandleriano». Ritratti di una «pupa» niente affatto sciocca, davanti agli obiettivi di Cartier-Bresson, Milton Greene, Bert Stern, Ève Arnold o nei fumetti di Molino, Pazienza, Manara e, rarità, Hu¬ go Pratt. In mostra, mentre la sua voce civetta accarezza la nuca, le sue scollature, generose, sfac¬ ciate, morbide, che la censura dei diversi Paesi, Francia, Spagna, Italia, abbottonava secondo bigotteria propria. Un mito, come la bottiglia della Coca-Cola e il volto di Che Guevara, indistruttibile, quasi non più databile, una vita «in posa». A guardare la mostra e il catalogo (Rizzoli) si rimane sbalorditi dal numero dei gesti, dei vestiti, delle pettinature «collezionati» dalla diva, un «lavoro» da grandissima esibizionista, da supernarciso. Un sorriso in eterno movimento, labbra continuamente reinventate dal rossetto: bellissime quelle impresse sotto la sua firma, in un biglietto a Yves Montand. «Marilyn, la seduzione» oc cupa due piani dello spazio espositivo, ed è interrotta da un Electronic Art Café, dove Boni to Oliva ogni giovedì inviterà un artista con una sua opera o una sua performance, lo affiancano galleristi d'avanguardia da Persano a Sprovieri, da Miscetti a Rumma. Tra gli ospiti Yoko Ono e Carol Rama, da Sgambati a Cannavacciolo. Nel 1955 Joan Crawford disse: «Vengo adesso dall'Actor's Studio dove ho appena visto Marilyn Monroe, non portava biancheria e aveva il didietro di fuori. E' una vera e propria disgrazia per l'industria cinematografica». Lei trovava tutte quelle cose, reggiseni e mutandine, «innaturali per una ragazza», e a guardar bene nella mostra c'è una foto che, con Sharon Stone, è diventata un fotogramma pornocult di «Basic Instinct». Un mondo di collezionisti internazionali gravita intorno alla mostra, da Giovan Battista Barilla, che ha cominciato a raccogliere a tredici anni un po' di tutto, a Vincenzo Mollica, per restare a casa nostra. Viaggi, corrispondenze, aste, trattative estenuanti per avere una certa foto, un manifesto originale, che può arrivare ormai a venticinque milioni di lire. E poi, come si dice, il packaging, con le Barbie Marilyn, i fermacarte, il salvadanaio dove se butti la moneta si alza la gonna, i gioielli, i dischi. Bulli e pupe sesso e potere E' veramente una Marilyn-mania, un grande gioco, un grande carosello - e si capisce che sia piaciuto alla Gancia che lo sponsorizza - di «bulli e pupe», di alti e bassi, di euforia e depressione, di sorrisi e imbronciate, comunque di «spostati». Un album di famiglia dello spettacolo di Hollywood, un album di famiglia di una ragazza americana che ce la vuol fare a tutti i costi, che cerca una fiaba. L'otterrà ma ne «sciuperà» il finale. E infatti se il suo mito resiste, in America, si sente che il finale non piace, non è quello giusto, appunto, della fiaba ed esce un risentimento. Mito continuamente da infrangere e, più ci si prova, più sembra rivitalizzarsi. Così, questa mostra tutta italiana andrà in America, dove potrà arricchirsi di altri tasselli. Ma quanto si vede qui è già un fascinoso stralcio di vita e divismo, di simbolo, vero e supercostruito, forte: l'anello splendente di una catena forte di potere, denaro, politica, affari. E sesso. Nico Orengo Tra feticismo e rarità da collezionisti un «carosello» di gadget che poi emigreranno negli Stati Uniti Sopra, Marilyn in due scatti di Milton H. Greene. In basso, la Monroe sulle copertine di alcune riviste e (al centro) con uno «scandaloso» vestito in «A qualcuno piace caldo»