In cura dallo psico-stregone di Marco Neirotti
IL CASO. Da uno studioso francese, una nuova ricetta per gli imniigrati IL CASO. Da uno studioso francese, una nuova ricetta per gli imniigrati In cura dallo psico-stregone Uova e conchiglie, nasce l'etnopsicoanalisi TORINO ISGRAZIATA quella famiglia di immigrati africani in Francia, con figli piccoli re- frattali alla scuola, quelli più grandi ormai dediti al crimine, i genitori disperati e soli. Disgraziati loro, ma bizzarro quello psicoanalista che, per risolvere i loro problemi, se ne vien fuori dicendo alla gigantesca madre, madame Oualad, di portar con sé, alla prossima visita, «un uovo che avrà tenuto sotto la testa per tutta la notte». Bizzarro finché si vuole, ma sta di fatto che grazie anche all'uovo in quella casa gran parte di pace è tornata. Questa, come altre sedute, è raccontata in «Princìpi di etnopsicoanalisi» di Tobie Nathan che Bollati Boringhieri ha appena mandato in libreria insieme con «Medici e stregoni» dello stesso Nathan e di Isabelle Stengers. Nathan è professore di Psicologia clinica e psicopatologia all'Università Paris VTII, dove dirige il Centre Georges Devereux per l'aiuto psicologico alle famiglie immigrate. Immigrato lui stesso (di origine egiziana, vissuto in Italia), lo psicoanalista, seguendo le orme del suo maestro Devereux, parte da un presupposto inconfutabile: la scienza che aiuta l'animo umano non può piovere dall'alto, con una serie di precetti e gabbie, soprattutto quando la persona in difficoltà ha lingua, costumi, credenze, valori del tutto lontani da noi. La scienza della psiche deve adeguarsi, ampliarsi fino ad accogliere realtà di gente sospesa tra due mondi, perciò ancor più fragili nella loro identità. A Torino, nella sede di Bollati Boringhieri, Nathan contesta l'eccessiva rigidezza delle terapie tradizionali e spiega: «Non si può prescindere dalla conoscenza e dal rispetto di una cultura per poter aiutare una persona». Ecco allora nascere dei veri e propri gruppi terapeutici, dei quali fanno parte, con lo psicoanalista e la fa- «Gli educadobbiamodi pazientsospesi tra miglia che chiede aiuto, anche educatori e altre figure ben inserite nel mondo del soggetto in cura. Sedute collettive, in cerchio, senza posizioni preminenti dove, dice Nathan, «lo psicologo, lo psichiatra, lo psicoanalista né interpretano né tacciono ascoltando. Partecipano a un incontro e chiedono, imparano, scoprono e indovinano». D'altra parte, come scrive nell'introduzione Salvatore Inglese, «ogni diagnosi di natura è, di fatto, un'operazione ideologica che si au¬ toconvalida, mentre bisognerebbe sempre riconoscere la singolarità del paziente e la sua possibilità di entrare in una relazione di trasformazione terapeutica senza rimanere intrappolato all'interno di gruppi nosografici morti e stigmatizzanti». Ecco, quindi, l'esigenza di dialogare solo attraverso domande coerenti con il pensiero tradizionale del paziente. Così, ai genitori di un bambino con diagnosi di psicosi infantile, del tutto chiuso in sé, si è deciso di «parlare come a un vecchio» per non scontrarsi con la sua paura del mondo esterno a lui. «Me l'hanno già detto», ha risposto stupito e contento il padre. Non c'era giudizio, coha. E Mustafà è migliorato. Dice lo psicoanalista: «Dobbiamo agire secondo la loro storia, il loro ambiente, buttare le conchiglie come i divinatori, rispettare il loro dio e il loro stregone». E l'atteggiamento del mondo politico? «E' neutrale», risponde. Ma non è la neutralità di chi vuol guardare, capire, giudicare, è quella di chi poco si riconosce, per ideologie opposte, in questo allargamento: «La destra, è ovvio, troverebbe più semplice mandarli tutti a casa. La sinistra sarebbe interessata, ma, per esempio, in nome della liberazione della donna, non gradisce la naturalezza con cui accettiamo la poligamia, che fa parte della cultura dei pazienti». La etnopsicoanalisi - fondamentale in anni di grandi immigrazioni - rimane un'isola, capace però di far riflettere. E la Francia, dice Nathan, vive un neocolonialismo che vorrebbe, agli africani, prendere ricchezze e anima (gli inglesi solo le ricchezze). Anche di qui la diffidenza verso una scienza cosi ntro anche popotamo «aperta». E' duro accettare che un bimbo Douala del Camerun - affetto da mutismo -, sia riconosciuto bimbo-ippopotamo e lasciato solo in un'isola in mezzo al fiume, affinché gli ippopotami vengano a riprenderselo o lo cambino con il bambino umano. Ed è quello che i Douala hanno pensato quando sono tornati e hanno visto il piccolo e l'hanno anche sentito parlare. Marco Neirotti «Gli educatori non bastano: dobbiamo accettare la cultura di pazienti ancora sospesi tra due mondi» Una scienza «aperta» contro il neocolonialismo: e nella terapia entrano anche p^liyamia e bambini-ippopotamo Un gruppo di immigrati. In alto, lo psicologo Tobie Nathan
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