«Il comunismo non tornerà»

«Ma la strada della Russia verso le riforme liberali sarà ancora molto lunga e sofferta» «Ma la strada della Russia verso le riforme liberali sarà ancora molto lunga e sofferta» Il comunismo non tornerà» Havel: ipc sono ormai democratici IL PRESIDENTE SCRITTORE mPRAGA KPRAGA ANCELAR Prezidenta Republiky. Una semplice scritta accanto a una porta di vetro nel passaggio che conduce al secondo cortile del castello di Hradcany indica l'ufficio del presidente ceco Vaclav Havel. Al primo piano del palazzo che domina Praga, al termine di una lunga fila di saloni ufficiali, la stanza di Havel. Dietro il vestito da cerimonia, doppiopetto blu scuro gessato, camicia bianca e cravatta rossa a piccoli disegni, la figura e i gesti del più grande dissidente della Cecoslovacchia comunista sono rimasti gli stessi. Statura bassa, gli occhi di un blu intenso, capelli e baffetti rossicci, il sessantenne Vaclav Havel è quello di sempre. Fumatore appassionato, il Presidente accende una sigaretta dopo l'altra. Lo sguardo basso, come se volesse evitare le critiche non espresse dei suoi severi collaboratori che seguono ogni suo gesto, ogni parola, Havel parla piano. Scrittore e autore di numerosi testi di teatro, dopo esser stato eletto Presidente della Cecoslovacchia nel dicembre dell'89, tre anni fa Vaclav Havel è diventato il primo Presidente della neo-indipendente Repubblica ceca. Da dissidente a Presidente, attraverso le prigioni comuniste, la sua strada non può certamente definirsi convenzionale. Come d'altronde non lo si può dire di lui, un Presidente che al polso della mano sinistra, accanto all'orologio sportivo, porta uno di quei braccialetti intrecciati in filo colorato blu e beige. Signor Presidente, in un'Europa che non dovrebbe più avere barriere ideologiche si aggira nuovamente lo spettro del comunismo. Dopo le vittorie elettorali in Polonia e in Ungheria, e la dura reazione di Mosca all'annunciata estensione della Nato, teme il ritorno al potere dei comunisti in Russia? «Penso che il ritorno a un regime totalitario comunista di modello stalinista o brezneviano sia assolutamente impensabile in Russia. Ma la via della Russia verso la democrazia normale sarà molto lunga e sofferta, e passerà attraverso molti avvenimenti drammatici. E' una cosa che oggi appare evidente. Sono convinto che durante l'epoca della divisione bipolare dell'Europa e della cortina di ferro fossero in pochi ad essere contenti. La maggior parte degli europei, sia all'Est che all'Ovest, non voleva una divisione del genere. Però c'erano pochissime persone abbastanza lucide da prevedere l'enorme quantità di nuovi problemi che sarebbero sorti in seguito al crollo della cortina di ferro. In un certo senso non eravamo preparati a quest'evento. Da un lato lo posso capire perché soltanto i marxisti ritenevano di essere capaci di prevedere tutto e di conoscere tutte le leggi della storia, di ca- pire e di sapere come andranno a finire le cose. I democratici non sono così presuntuosi. Ciò nonostante c'è stata una certa impreparazione e questo si vede nelle esitazioni che accompagnano il processo di integrazione». Allora, dobbiamo prepararci al ritorno dei comunisti? «Per quanto riguarda il ritorno al potere delle cosiddette forze post-comuniste, non lo sopravvaluterei più di tanto. Non si tratta di un ritorno al comunismo e della nostalgia per quel periodo. Si tratta di un fenomeno che ha diverse cause. Per quanto li conosco i politici post-comunisti sono di orientamento socialdemocratico, come per esempio i dirigenti polacchi o ungheresi. Ma ci so- no anche quelli molto di destra, anche se una volta erano membri del partito comunista». All'interno della stessa Unione europea continuano ad esserci interessi politici ed economici diversi. Lo si è visto durante il conflitto in ex Jugoslavia, ma anche adesso nella recente crisi delle mucche pazze. «La differena di interessi in Europa è sempre esistita e continuerà ad esistere. Il senso di un'Europa integrata e delle sue strutture consiste proprio nel mettere in evidenza questi vari interessi attraverso il dialogo e la discussione e nel trovare una soluzione con la ricerca del consenso come accade in tutti i Parlamenti democratici. In un modo simile dovrebbero funzionare i meccanismi europei. Per quanto riguarda l'ultima crisi, penso che se qualcuno non vuole importare le mucche pazze, abbia tutto il diritto di non farlo». Come valuta la reazione della comunità internazionale alla guerra nell'ex Jugoslavia? «Dopo il crollo della cortina di ferro la guerra in ex Jugoslavia è stato il primo grande esame della Comunità europea. Di certo non si può dire che l'abbia passato con il massimo dei voti. Siamo stati testimoni di tentennamenti, esitazioni, indecisioni e di una grande diversità di opinioni. In tutto questo alcuni Paesi hanno fatto i loro interessi, di conseguenza l'Europa non ha saputo fermare la carneficina mentre io sono convinto che era suo dovere impegnarsi. Purtroppo si è dimostrato che ancora una volta sono dovuti intervenire energicamente gli Stati Uniti perché finalmente nei territori dell'ex Jugoslavia ritorni un po' di luce. A questo punto l'Europa dovrebbe almeno trarne una conclusione seria». Crede nel successo della pace in Bosnia basata sugli accordi di Dayton che hanno di fatto legalizzato la spartizione etnica del Paese? «Gli accordi di Dayton sono molto vasti e dettagliati, ma rimangono ambivalenti perché presentano due alternative: la prima è che dalla Bosnia nascano due Stati, la seconda è che finalmente sia ricostituito uno Stato unico. Personalmente sono a favore di una sola Bosnia e Erzegovina, uno Stato unico nel quale vivrebbero insieme, in un modo particolare e interessante, tutti e tre i popoli, come lo è già stato in passato. Purtroppo la comunità internazionale ha di fatto accettato un'interpretazione puramente etnica del conflitto e di conseguenza ha messo sullo stesso piano tutte "le parti in guerra". E' stata creata la falsa impressione che la pace può essere riportata tra i "popoli litigiosi" offrendo loro un compromesso illuminato, ovvero una nuova cartina geografica che definirà i territori delle loro rispettive sovranità in modo talmente ragionato che cesserà ogni motivo di guerra». Ma tutto ciò, non rischia di essere un'astrazione? «L'insuccesso dei negoziatori non è stato causato dalla loro incapacità di disegnare le cartine o di inventare i compromessi, e nemmeno dal fatto che ogni tentativo di creare una cartina etnicamente pulita è sin dall'inizio condannato a fallire in un Paese dove le frontiere etniche passano in ogni città, ogni villaggio, ogni casa, ogni famiglia. La causa del loro insuccesso sta nel fatto che i vari negoziatori, accettando il concetto "delle parti in guer: ra", ovvero l'interpretazione etnica del conflitto, e cercando nuovamente di risolverlo dal punto di vista etnico, hanno accettato involontariamente la malvagia ideologia di quelli che hanno scatenato la guerra, e in questo modo hanno abbandonato i valori civili che avevano il dovere di difendere». Che cosa c'era invece dietro al conflitto? «Quello che dall'esterno appare come un conflitto tra i popoli in realtà è un conflitto tra due concetti della società, dello Stato e del mondo in generale. Da una parte c'è l'idea moderna di una società civile aperta, nella quale sono capaci di vivere e creare, uno accanto all'altro e insieme, uomini appartenenti a popoli, etnie, religioni, tradizioni e convinzioni diverse, mentre dall'altra c'è il concetto arcaico di uno Stato-tribù come comunità di uomini di sangue identito. Da una parte l'idea che rappresenta una delle pietre miliari della nostra attuale unificazione europea, nonché l'unica speranza per la civiltà globale, dall'altra l'idea che per secoli ha bagnato la storia umana di sangue e il cui frutto più atroce finora è stata la seconda guerra mondiale». Secondo lei esiste il rischio di un'ascesa al potere dei fondamentalisti musulmani a Sarajevo? «Ogni tanto sento parlare di questo pericolo, in particolare dai serbi e dai croati. Personalmente non ho incontrato il fondamentalismo bosniaco. Sono stato a Sarajevo, il presidente Izetbegovic è stato qui, a Praga. Abbiamo parlato apertamente di questo argomento e l'unica manifestazione del fon damentalismo di Izetbegovic che ho notato è che durante la cena a casa sua abbiamo dovuto bere acqua invece che vino». «Non sono mai stato, non ho voluto essere un politico perché non ho il background adatto... Prima di tutto voglio essere, e sono uno scrittore». Sono parole sue, pronunciate pochi anni fa. Eppure lei è diventato Presidente. Crede di aver perso una parte della sua personalità? «Sono abituato al fatto che la vita mi porti molte sorprese e che sia drammatica, anche se di natura non sono un avventuriero. Ma non sono stato io a dirigerla, bensì il fato o il buon Dio. Di certo non avevo mai previsto né mi sono mai preparato all'eventualità che avrei finito con l'essere eletto ad una così alta carica politica. L'ho accettato come il destino, in me ha vinto il senso di responsabilità. Mi sono detto: per anni hai criticato l'ex regime, adesso che finalmente ti dico^ no di far vedere che si può fare meglio non puoi rispondere di no, fatelo fare a qualcun altro, non puoi rifiutare il dovere politico. Lo prendo come una sfida. Certo, la mia vita è completamente diversa da quello che era prima, soprattutto nelle manifestazioni esterne. Ma non ho l'impressione di essere cambiato come persona umana. Comunque è una cosa che prima di tutto deve giudicare la gente che mi sta intorno. Ma se lo chiede a me, ho l'impressione di essere sempre lo stesso, soltanto che sono stato "gettato" in una nuova sfida che mi ha riservato la vita». Signor Presidente, quand'era in prigione sognava di libertà, democrazia e diritti dell'uomo. Che cosa sogna adesso? «Di libertà, democrazia e diritti dell'uomo». E il suo più grande desiderio personale? «Vorrei imparare a vivere meno emotivamente tutte le cose che accadono intorno a me, vorrei imparare a non soffrire per le cattive notizie. Vorrei poter guardare con più distanza di quello che sono riuscito a fare finora». Ingrid Badurina Nella foto grande il presidente ceko Vaclav Havel Qui accanto una manifestazione di comunisti russi «Vorrei imparare a vivere meno emotivamente A non soffrire per le cattive notizie. A guardare le cose della vita con più distacco» Un'immagine della caduta del Muro di Berlino Secondo il presidente ceko il confronto tra due blocchi non è più una minaccia per il futuro «

Persone citate: Havel, Ingrid Badurina, Izetbegovic, Vaclav Havel