Martano Narciso e Eva Menzio presentano l'irregolare dell'arte

FRANCESCO DI COCCO FRANCESCO DI COCCO IL PITTORE CHE VISSE TRE VOLTE Martano, Narciso e Eva Menzio presentano l'irregolare dell'arte sibile impegno di ricercare le «sottili e spesso sotterranee intime permanenze di componenti strutturali del suo linguaggio»: così sempre mutevole e solo in apparenza schizofrenico. Romano, di famiglia agiata, dopo l'interruzione bellica della sua campagna d'Albania, e una fuga emblematica dall'Accade- «Amusemenl Pieri!» di Di Cocco (1942) mia, dove Cambellotti, forse, lo contaminò con la passione per la ceramica, Di Cocco viene come «plagiato» dalla scoperta di Balla: ma ne assorbe soprattutto i riverberi raggianti del colore, indifferente per natura alla tensione dinamico-plastica che fu invece di Boccioni. Anti-novecentesco e anti-monumentale per costituzione (nonostante qualche contaminazione con Funi) con quella sua poetica dell'intimo e dello stupefatto che fa assomigliare certe sue figure incantate ai metafisici addormentati di Donghi, amico di Fausto Pirandello e suggestionato dal tonalismo basso di Guidi prima maniera e di Cavalli, in quegli anni può essere davvero avvicinato agli «irrealisti» della Scuola Romana, come li chiamava Longhi. Ma presto, attraverso le meditazioni di Piero della Francesca, Giorgione, Brueghel e dei Bamboccianti, la sua materia si disfarsi sfilaccia e prima di sfociare nel suo contenuto dripping informale (mai l'azione, poco A gesto, semmai la vibrazione maculata delle cromie) dopo un fulmineo innamoramento post-picassiano, ecco il curioso periodo dei vaganti Luna Park surreali, in cui sembra ipnotizzato dalle malie scenografiche di Eugène Berman e di Dorothea Tanning, di Leonor Fini e di Clerici. Deviazioni: Emilio Cecchi generosamente lo fa lavorare alla Cines di Gualino: Di Cocco fu anche documentarista e di genio, se l'attendibile Umberto Barbaro giudicò «Il Ventre della città», 1932, il miglior cortometraggio d'epoca. Poi l'approdo imprevedibile alle sue friabili, sognanti sculturine sbrecciate, dove s'aprono anse, ansie, gorghi rassicurati. Puri fiati di colore, che respirano, che trasecolano alla parete. Marco Vallora Francesco Di Cocco Galleria Martano, via Pr. Amedeo 29 Orario 15-19,30. Fino al 28 aprile Galleria Narciso, p. Carlo Felice 18 Orario 10-12,30 e 15,30-19,30 Chiuso dom. e lun. Fino al 13 aprile Galleria Eva Menzio, via Cavour 39 martedì-sabato 16-19,30. Fino al 13 INARCO «The quill of Darkness», la penna dell'oscurità, è il titolo della mostra allestita alla Galleria In Arco e curata da David Moss, ventinovenne critico americano. Un trio di artisti, ancora una volta, giovani: Stefano Peroli, Peter Schuyff e David Urban. Tre artisti che vivono in America ma con radici diverse; Peroli è italiano, Schuyff, olandese, Urban canadese. Una mostra di pittura astratta. Forme, linee, geometrie, colori. David Urban descrive i lavori di questi artisti allargando il campo d'osservazione al cinema, e più spesso alla letteratura per dimostrare che «la pittura procede con gesti simili al linguaggio». Tutti i lavori hanno un loro preciso alfabeto: lo spazio, la geometria, il segno e ogni volta questa «scrittura» viene rielaborata, mescolata, confusa. Peroli, attraverso uno strato fitto di pennellate di colore, acrilici e olii su tela, crea degli spazi, delle zone, delle prospettive incerte dove, sempre, compare uno spiraglio, una finestra, un buco, una via di fuga. Al contrario le tele di David Urban hanno una struttura più rigida con una ripetizione continua di segni. Sono intrecci, reti bianche su sfondo blu o verde. Le tele di Peter Schuyff si rifanno dichiaratamente all'Optical art e all'arte cinetica degli Anni 70. Lisa Parola The quill of Darkness Galleria In Arco, piazza Vittorio 3 Orario 16-19,30; chiuso domenica o lunedì, tel. 812.2927 Fino al 13 aprile.

Luoghi citati: Albania, America