MEDIOBANCA L'arbitro del capitale

MEDIOBANCA L'istituto compie 50 anni: ha accompagnato e guidato lo sviluppo del Paese MEDIOBANCA del capitale IL tratto caratteristico di Mediobanca sta in quel «Medio». Il che non significa tanto che I questa istituzione creditizia, ormai giunta al suo 50° compleanno, conceda prestiti di durata superiore ai tempi brevi delle normali operazioni delle banche di credito ordinarie. Significa soprattutto che Mediobanca si colloca (o meglio, si collocava fino a pochi anni fa) esattamente nel mezzo del sistema bancario e finanziario italiano. A metà strada tra pubblico e privato, fino a divenire qualcosa di quintessenziale, né pubblico né privato, ma, per dir così, senza sesso, come gli angeli; in posizione in qualche modo intermedia tra gli interessi contrapposti dei gruppi industriali e finanziari e tra le spinte in direzioni diverse delle forze politiche; nel bel mezzo dell'edificio, complesso e articolato, del potere economico italiano, del quale ha rappresentato per decenni la chiave di volta. E come la chiave di volta nella costruzione dell'edificio, Mediobanca ha permesso alle pressioni del sistema imprenditoriale italiano, di bilanciarsi, di scaricarsi, di trovare uno sfogo positivo alla grande energia del sistema stesso. Mediobanca è un rarissimo esempio di progetto finanziario nato su premesse teoriche, di natura intellettuale e politica molto più che come risposta a esigenze empiriche. Venne teorizzato da Raffaele Mattioli, il grande presidente della Banca Commerciale Italiana, quale risposta in tempi lunghi alla crisi degli Anni Trenta, che vide mezza industria italiana finire nelle braccia dello Stato e che portò alla creazione dell'Iri. Mattioli era convinto a un tempo della debolezza e della necessità del capitalismo privato italiano, così come lo era dell'inevitabilità di un forte ed efficiente settore pubblico. Su queste linee si ebbe la convergenza del Partito d'Azione, fautore di una qualche forma di supervisione sul «grande capitale» e della necessità di una concentrazione della finanza «laica», da contrapporre dialetticamente a quella cattolica. Uno dei suoi principali esponenti, Adolfo Tino, ne fu per lungo tempo il presidente; si può anzi sostenere che proprio Mediobanca rappresenti l'eredità più importante di quel partito così precocemente dissoltosi. Un'azione «totalizzante» Per la sua funzione centrale, per il suo ruolo, sin dall'inizio inteso come istituzionale, Mediobanca ha dovuto svolgere un'azione, per dir così, totalizzante: nessuna sistemazione societaria italiana di una certa dimensione, nessuna grande raccolta di fondi dal mercato finanziario italiano, nessun salvataggio o sostegno doveva avvenire senza l'assenso dell'istituto di Via Filodrammatici, il quale, del resto, dimostrava in queste cose un'indiscussa eccellenza tecnica. Era Mediobanca a stabilire le ca- ratteristiche dell'intervento e a organizzare il concerto delle banche finanziatrici; in questo senso svolgeva un ruolo non troppo dissimile da quello del Fondo Monetario Internazionale nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. E' chiaro che un'istituzione del genere doveva essere a un tempo minutamente informata e rigorosamente distaccata dalle vicende della finanza e della politica; e questa condizione contribuisce a spiegare la sua totale riservatezza. In un mondo pettegolo come quello dei mezzi di informazionei i suoi esponenti hanno difeso la propria vita professionale e privata con un'ostinazione quasi maniacale (oltreché con grande successo) dall'assalto dei rotocalchi e delle gazzette. Forse per questo, personaggi come Adolfo Tino e il suo successore, Enrico Cuccia, sono divenuti leggendari. Con queste premesse, Mediobanca ha accompagnato, passo dopo passo, la grande espansione del «miracolo italiano», ha sostenuto, consigliato, indirizzato le grandi operazioni finanziarie nei periodi successivi. Se la grande industria italiana è oggi quello che è, con i suoi punti di forza e di debolezza, lo deve in gran parte a Mediobanca. E in tutta questa gigantesca azione, Mediobanca non sembra essersi attenuta a qualche grande progetto e neppure sembra averne sviluppato alcuno con il passare degli anni. Si è mossa, invece, con una sorta di pragmatismo conservativo, amministrando l'equilibrio, considerato come bene da salvaguardare e ragione stessa del suo esistere, più che facendolo evolvere in qualche direzione precisa. L'ordinato universo di Mediobanca comincia a vacillare per due motivi. In primo luogo perché l'economia italiana esprime nuove concentrazioni capitalistiche, non più necessariamente legate alle «grandi famiglie»; questo nuovo capitalismo italiano mal sopporta la «primogenitura» dell'Istituto. In secondo luogo perché Tiri dà segni di una debolezza strutturale sempre più difficile da contrastare. Le liberalizzazioni dei mercati di capitali, che relegano Milano al ruolo di «piazza» secondaria nel contesto finanziario europeo, alterano definitivamente il quadro originario. Mediobanca si trova così immersa, e non più al di sopra della concorrenza e del mercato. Nasce da questi mutamenti il nuovo ruolo di Mediobanca, più problematico, più difficile, ma al quale la banca, di cui Cuccia è ancora presidente onorario, può certamente rivolgersi con grandi energie. Lo si può definire così: traghettare il capitalismo finanziario italiano dalla dimensione nazionale a quella di sottosistema ordinato, efficiente e importante del capitalismo finanziario europeo. Su questo terreno, la partita di Mediobanca si identifica largamente con la sopravvivenza della variante italiana del capitalismo in un più ampio contesto, con la necessità di accettare aperture maggiori delle attuali ma anche, al tempo stesso, di salvaguardare i suoi tratti caratteristici. Mario Deaglio Un raro esempio di impresa finanziaria nata su premesse «teoriche» Nessuna sistemazione societaria, nessun salvataggio senza il suo assenso In quel progetto voluto da Mattioli l'eredità del partito d'azione Figure leggendarie da Adolfo Tino a Enrico Cuccia LA CRONOLOGIA 1944 In agosto Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia, nell'ufficio di rappresentanza Comit a Roma, discutono per la prima volta l'idea di creare un grande istituto di credito a medio termine, con l'idea di denominarlo «Unionbanca». 19461! 10 aprile si costituisce a Milano «Mediobanca», controllata da Comit e Credit (con due quote rispettive del 35%), e dal Banco di Roma (con una quota del 30%). E' presieduta da Eugenio Rosasco, industriale comasco, la cui gestione operativa è affidata al trentanovenne Enrico Cuccia, in qualità di direttore generale. 1947 II 29 ottobre il consiglio è ampliato da cinque a sette membri, ed entrano Raffaele Mattioli e Giuseppe Brughiera. 1951 Mediobanca gestisce gli aumenti di capitale Montecatini, Sip e Fiat. 1955 II 14 dicembre si costituisce il primo patto di sindacato in Mediobanca. 1956 Nell'autunno Mediobanca assume quote nelle Generali, Bastogi. Fondiaria, Montecatini, Sade. Nel capitale entrano le banche estere Lazard e Leheman. e l'istituto di via Filodrammatici viene quotato in Borsa. 1981 In giugno Cuccia gestisce ia privatizzazione di Montedi- son. 1985 II 27 novembre Cuccia, già settantottenne, «scade» come consigliere anziano per raggiunti limiti di età. ma l'assemblea gli chiede di rimanere in consiglio. 1987 H61ebbraio Antonio Maccanico viene nominato presidente di Mediobanca. 19881128 ottobre parte la privatizzazione di Mediobanca. 1994 In febbraio scoppia la guerra Prodi - Cuccia per la privatizzazione di Comit e Credit: alla fine la spunta il «patron» di Mediobanca. 1995 II primo settem| bre viene annunciata in Borsa l'operazione Supergemina, per la costituzione di un grande polo della chimica privata. e i d l d di Mdib i Una vecchia foto di Enrico Cuccia con Ugo La Malfa. Sotto Antonio Maccsnico Nell'immagine grande la sede di Mediobanca i.i via Filodrammatici a Milano. Sotto Raffaele Mattioli

Luoghi citati: Milano, Montecatini, Roma, Sip