Come salvare quel ben di Dio di Lorenzo Mondo

Interno Come salvare quel ben di Dio nessuno gli ha insegnato che la bellezza è una forma della verità, che vendere i beni artistici di una chiesa è operazione sacrilega? Che quegli oggetti appartengono in primo luogo alla comunità dei fedeli, contribuiscono a identificarla e cementarla? Il parroco di Montecchio Precalcino, presso Vicenza, ha venduto agli antiquari, per una manciata di milioni, una parte del museo parrocchiale (quadri, crocefissi, stendardi) e poi è andato dai carabinieri a denunciare un furto. Qualcuno sospetta che volesse incassare i soldi dell'assicurazione stipulata dalla Curia. Se così fosse, non parliamone più, don Pianalto sarebbe un ladro e un truffatore come ne esistono nelle migliori famiglie, il suo caso non insegnerebbe niente. Ma se fosse andata diversamente, se accettiamo le sue spiegazioni imbarazzate, allora vale la pena di ragionarci su. Ha detto di essersi indebitato per i restauri della chiesa settecentesca e della canonica, era angosciato dalla scadenza del mutuo bancario. E questo è di per sé grave. Il prete che si fa cattivo impresario non scusa il trafficante inesperto di beni dei quali dovrebbe essere zelante custode (come può giudicare fra l'altro se un quadro del Cinquecento vale meno degli stucchi o dell'imbiancatura di una chiesa?). Ma il peggio viene, quando pensa di autoassolversi con unzione degna di altri tempi: «Ero in buona fede. Mi sento un po' tome una madre che per procurare cibo ai figli fa una sciocchezza». Giudicate voi la congruità della «predica». Gli va riconosciuta tuttavia una scusante, che non ha saputo mentire, si è imbrogliato e ha finito per confessare, permettendo il recupero del materiale. Questa storia riaffaccia purtroppo il problema, immenso, che riguarda la custodia delle chiese, dei monasteri, degli istituti religiosi, moltissimi periferici e disertati. Sono esposti all'umidità, alla sporcizia, al degrado, ai furti su commissione, alla disaffezione delle comunità che spesso si sono sfaldate (per la fuga in città, per immigrazioni recenti) e hanno conservato tenui legami con le tradizioni che nel campanile avevano un tempo il loro fulcro. Ma ci si mettono anche parroci avidi o poco avveduti. Basta entrare in un negozio di antiquario o in una tana di rigattiere per rendersi conto che non solo i furti ma le svendite fanno più danni di una guerra. Sono dipinti, candelabri, crocefissi, acquasantiere. Giorni fa ne ho vista una barocca, una conchiglia color carnicino: strappata chissà dove, sembrava conservare il calore delle mani che per secoli vi si erano immerse cercando il refrigerio della fede. Ho visto un magnifico Crocefisso ligneo del Seicento, ottenuto con una «offerta» di 50 mila lire. Il parroco lo teneva in un pollaio, lo aveva sostituito, sopra l'aitar maggiore, con un orrendo manufatto «moder¬ no». Capisco che è pressoché impossibile un controllo capillare, che sarebbe necessaria una maggiore cultura e consapevolezza. Ma in attesa che nuovi preti crescano (qualcuno ne conosco, che restaura gelosamente libri, paramenti, tappeti) bisognerà pur fare qualcosa, ostacolare il vergognoso sacco. Credo che i vescovi, e per essi i collaboratori più svegli, dovrebbero coinvolgere i giovani appassionati. Fare appello a una specie inedita di volontariato che provveda quantomeno a un inventario del ben di Dio che ammuffisce, per provvedere al salvataggio, a una più oculata custodia. So bene che la messe è tanta e gli operai sono pochi, ma si tratta anche di un cambiamento di mentalità, di un diverso apprezzamento delle opere dell'uomo: che ricevono il pregio, non in grazia di una immagine sacra comunque rappresentata, ma da quel tanto di intelligenza, di sensibilità, con cui l'hanno interpretata e rivissuta. Distinguere finalmente tra arte e paccottiglia, come si è saputo fare nei secoli andati. C'è una sacralità che si esprime nell'arte, c'è un'anima imprigionata. Occorre, intanto, partire di qui. Lorenzo Mondo doj

Luoghi citati: Montecchio Precalcino, Vicenza