Autobombe, l'ora della verità di Vincenzo Tessandori

Autobombe, l'ora della verità Firenze, il pm Vigna: i boss più pericolosi sono ancora in libertà Autobombe, l'ora della verità Stragi del '93, chiesti 35 rinvìi a giudizio FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Va bene, i corlconesi che ti ammazzano per un nonnulla e non ci pensano due volte a usare il tritolo. Va bene, Totò «'u Curtu» Riina, il piccolo Napoleone del crimine che comandava ai suoi di uccidere e ancora uccidere. Vanno bene i picciotti e gli uomini del disonore scoperti e chiusi a doppia mandata in celle di qualche carcere speciale. Ma i più pericolosi, i più subdoli, i più inlidi e repellenti sono ancora in libertà. Liberi, sconosciuti e indisturbati, avverte con una punta di rammarico Piero Luigi Vigna, procuratore di Firenze. Le 15,30 di ieri, l'ora della resa dei conti: si chiede il rinvio a giudizio per vassalli e valvassori di una serie di stragi che hanno insanguinato il nostro Paese, fra il '93 e il '94, massacri che avevano lo scopo di paralizzare lo Stato impegnato in una guerra tremenda contro la mafia. Le bombe di via Fauro a Roma, di via dei Georgofili a Firenze, di San Giovanni al Velabro e di San Giovanni in Laterano a Roma e di via Palestra a Milano, e quella di Formelle che avrebbe dovuto cancellare il pentito Totuccio Contoi no. C'è il peggio del peggio della mafia, in quegli ordigni fatti scoppiare fra la gente, e il procuratore Vigna dice: «Cosa nostra fa parte di un sistema criminale integrato, con contatti con associazioni occulte e politici corrotti». Ecco, sono costoro i farabutti ancora sconosciuti: quelli che militano nelle associazioni occulte e quelli che usano e abusano della politica per fini loschi. ((Abbiamo notato anche il movimentismo che c'è stato fra il 1990 e il 1992 da parte di leghe di varia natura nate al Sud». «Sicilia libera» è il movimento che, forse più di altri, ha attirato l'attenzione degli uomini della Divisione distrettuale antimafia, e dei suoi segreti ha parlato Tullio Cannella, egli pure uomo del disonore che ha deciso di collaborare. Ma altri gruppi «leghisti» sui quali hanno indagato gli inquirenti fiorentini sono nati in Calabria e fra i promotori, ha sottolineato Vigna, c'era anche Licio Gelli. Trentaquattro imputati e mia imputata, divisi in quattro livelli: mandanti, organizzatori, esecutori logistici ed esecutori materiali; eppoi parecchi fiancheggiatori. Accusati di strage sono in 29. Bei nomi della criminalità, naturalmente, nel grappo esclusivo di coloro che appartengono al primo livello, compreso quello di Riina, benché fosse già in carcere quando esplosero le bombe. Il che significa o che il piano era già pronto prima della cattura del boss dei boss, oppure che lui ha potuto ideare e dare ordini anche dal carcere. Qualcuno aveva avuto l'idea di usare la strategia delle bombe per combattere l'articolo 41 bis, il regime particolarmente rigido nelle galere riservato anche ai mafiosi. «Ma quella battaglia la mafia l'ha persa», dicono ora gli inquirenti. Il punto è che Cosa nostra covava progetti più ambiziosi e le stragi avevano finalità terroristico-eversive, insomma, bisognava far capire chi comandava e 0 piccolo Napoleo¬ ne e i suoi non ci pensavano due volte a far esplodere bombe in mezzo alla gente. Cominciò così, in via Fauro, a Roma, il 14 maggio '93: 24 feriti, illeso Maurizio Costanzo. E ora Vigna commenta: «Sì, questi attentati erano attività finalizzate alla sovversione. Per esempio, per quanto riguarda la vicenda di Costanzo, si è cercato di incidere su una delle libertà fondamentali: il diritto di cronaca». C'erano poi stati 5 morti e 38 feriti in via dei Georgofili, a Firenze, 27 maggio; e nella notte fra il 27 e 28 luglio, gli ordigni in via Palestra a Milano, con 5 morti e 12 feriti, e a Roma contro le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, ancora 22 feriti. Quindi,-i progetti di uccidere Totuccio Contorno e di far saltare in aria un bus dei carabinieri, allo stadio Olimpico di Roma. Sei, i fedelissimi del piccolo Napoleone che, secondo gli inquirenti, avrebbero materialmente compiuto gli attentati: Salvatore Benigno, Vincenzo Ferro, Vittorio Tutino, Francesco Giuliano, tutti già dietro le sbarre, e Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli, latitanti. E Grigoli era uno che sgomitava, per scalare il vertice di Cosa nostra: sarebbe stato anche l'assassino di don Puglisi, parroco del Brancaccio a Palermo. Lo avrebbero eliminato, avrebbero detto due pentiti, ma il loro racconto non è stato creduto. Dunque, siamo soltanto all'inizio, perché si cercano ancora quegli ispiratori senza volto, e Pippo Micalizio, vicedirettore della Direzione investigativa antimafia, assicura: «La Dia è una struttura di polizia giudiziaria. Non siamo la polizia di Vichy, ma una struttura operativa di uno Stato democratico». E ha aggiunto: «Continueremo a lavorare per trovare, se ci sono, eventuali mandanti a volto coperto». Vincenzo Tessandori Via dei Georgofili a Firenze dopo l'esplosione della bomba. In basso, Maurizio Costanzo, sfuggito a un attentato della mafia