«Venerdì Santo con le rane» di R. Cri.

Il Sant'Uffizio Il Sant'Uffizio «Venerdì Santo con le rane» ROMA. Ma la rana è carne o pesce? A porre l'inusuale quesito, in vista del digiuno del Venerdì Santo, è stato un sacerdote romano che, spinto dalle insistenti domande dei suoi fedeli, si è visto costretto a compiere una lunga trafila prima di arrivare a scoprire l'esatta interpretazione: nulla sapeva la penitenzieria apostolica del Vaticano, e buio totale anche tra i massimi esperti della congregazione del clero. Alla fine, però, un vescovo del Sant'Uffizio ha sciolto ogni dubbio, scoprendo la "verità" in un libro di teologia morale che si rifa all'insegnamento di San Tommaso: la rana, recita la "sentenza", è un pesce e come tale può essere tranquillamente mangiato. Scrive infatti il santo-filosofo: «...La chiesa ha vietato quei cibi che provocano più di ogni altro piacere nel mangiarli e soprattutto provocano l'uomo ai desideri venerei. Tali sono le carni degli animali che vivono sulla terra e respirano, perché piacciono di più e portano maggior vantaggio al nutrimento del corpo umano...». L'astinenza non riguarda invece i pesci e «tutti quegli animali che non hanno sangue, neppure freddo»: granchi, gamberi, lumache, conchiglie, ostriche, rane, testuggini, vipere, locuste. «Questi animali - si legge ancora nella summa come i pesci vivono e respirano nell'acqua oppure si nutrono di pesci o almeno non hanno un sangue caldo». [r. cri.]

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