Da Togliatti a Veltroni 50 anni di odio-amore

L'«Unità» condannava i cartoni di Disney oggi Occhetto cita Da Togliatti a Veltroni 50 anni eli odio-amore E ROMA proprio nel giorno sospiratissimo del riconoscimento sembra di sentir gracchiare «Il Canzonieri; delle lame» negli altoparlanti delle feste dell'Unità: «L'America è fatta col sangue/ degli uomini che ammazzò/ le vittime ormai sono tante/ nessuno contarle le può!». Musica a suo modo solenne e testo piuttosto impegnativo se si considora che quella lontana nazione veniva liquidata a suon di chitarre come una «scrofa assassina». Mentre in un'altra canzone, con recitativo ritmato, rendeva noto sempre in rima a tanti compagni che: «La civiltà del napalm/ da Johnson a Me Namara/ dalle Pantere nere/ una lezione impciflaara!». Ce n'era, d'altra parte, per tutti i gusti, persino in termini di colonne sonore. Perché sì, certo, la guerra fredda. E i seivizietti della Cia, l'imperialismo, i sommergibili atomici alla Maddalena, le basi in Friuli, i missili a Comiso, le portaerei a Napoli, le storiche connivenze con la mafia, i sospetti su piazza Fontana e il caso Moro: e tuttavia tra l'America di Togliatti e quella di Veltroni non c'e solo mezzo secolo di storia ufficiale e segreta, ma qualcosa di più complicato e appassionante. C'è anche il vecclùo Ingrao, ad esempio, che all'improvviso vuol sapere tutto su Brace Springsteen. Ci sono i carciofi alla giudia che certificano i primi incontri al ristorante tra i dirigenti del Bottegone e gli analisti-spie di via Veneto. C'è Ustica e, appena uscito, ci sarebbe pure il libro che l'ex deputato Flamigni ha dedicato a tutte iu più tragiche vicende italiane con Gelli in copertina e il titolo «Trame atlantiche». Per cui è davvero difficile cominciare, e ancora di più ripercorrere il sentiero di un'evoluzione che al dunque appare soprattutto psichica, mitologica, culturale. Dal rigore diffamatorio dell'insigne critico cinematografico dell' Unità, che condannava i cartoni animati di Walt Disney per le «ripugnanti» vocette che assegnavano «una nota vagamente erotica» a tutto il film, alla compiaciutissima battuta dell'ospite Occhetto - «Mi pare di essere in un film di Woody Alien» - più che un cambiamento si misura in realtà una vertigine. Quello stesso Occhetto, s'intende, che una ventina d'anni prima, riprendendo l'euro-saccenteria professorale del Migliore sulla cretineria quasi di ordine etnico, se n'era uscito con la storia degli americani «perfettamente idioti» che «combattono in Vietnam solo per finire di pagare le rate della tv». Se Tanti-comunismo degli Usa, infatti, è stato a lungo un'ossessio- ne con veri e propri sviluppi maniacali, l'anti-americanismo dei comunisti italiani, oltre che il frutto conseguente di una scelta nel campo dell'Urss, sembrava alimentarsi di pregiudizi ispirati dalla più assoluta e propagandistica ignoranza. E forse persino da una certa superiorità nei confronti di un popolo di eterni bambinoni che mangiavano troppe bistecche e torte di mele.* L'America restava comunque, per centinaia di migliaia di militanti, un «gendarme planetario» in perenne crisi, sopraffatto da disoccupazione, delinquenza, razzismo. La fonte dell'Occidente imputridito, eccetera. Andò avanti così per molti anni, con qualche vaga atte- nuazione, semmai, alla ricerca di una fantomatica «altra America». Che non era certo, si capisce, quella dell'ambasciatrice Clara Booth Luce, addirittura convinta che la squadra di pittori che doveva ritinteggiarle l'appartamento volesse in realtà avvelenarla; e così sbrigativa nel pretendere da Sceiba la messa fuori legge del pei. E neppu¬ re, più tardi, poteva essere l'America di Kissinger che dell'Italia andava dicendo: «Laggiù c'è solo un gran casino». Ora, è difficile stabilire quando esattamente - comunque nei primi Anni Settanta - il saldissimo immaginario comunista cominciò a lasciarsi sfiorare da qualche dubbio sulle ragioni e soprattutto sulle convenienze politiche di un atteggiamento così chiuso, e cieco, e improduttivo. «Nel Comitato centrale - ha poi scritto Antonio Rubbi - le persone che avevano una buona conoscenza della lingua inglese si potevano contare su una mano». Di sicuro fu Berlinguer, dopo il successo elettorale del 1975, a capire che con gli americani - anzi: soprattutto con gli amrricani - bisognava fare i conti. «Sarei molto contento di visitare l'America spiegò con candore al New York Times -. Per me è un mondo da scoprire». Lui, per la verità, non fece a tempo a scoprirla. Ma piano piano, aggirando faticosamente quella legge Mac Carron-Walter che impediva l'ingresso ai comunisti — sospesa nel 1988, abrogata nel 1990, ma che nel 1976 costò il no a Napolitano — iniziarono i primi pellegrinaggi informali e accademici negli Usa. Partì Colaianni, viaggiatore solitario nella metropolitana, partì Eugenio Peggio, partì libertini. Con un sistema dei suoi Andreotti si portò dietro Segre e Calamandrei. Pecchioli e Boldrini visitarono anche il Pentagono e la fabbrica di un bombardiere strategico. Partì il sindaco di Firenze Gabbuggiani (che pure, ad una inaugurazione, si ritrovò impiccato in effigie da alcuni manifestanti). Partirono quindi Napolitano e Giovanni Berlinguer, che sul suo viaggio scrisse anche un libro. Ma con il senno di poi è probabile che il vero ripensamento, questa tardiva scoperta del vento dell'Ovest sia dipesa da fattori, per così dire, generazionali. Cioè dall'arrivo di una leva di giovani che l'America l'avevano sognata negli anni Sessanta, con Kennedy. E che anche a prescindere dalla fine del legame con Mosca, pure dal punto di vista dei gusti personali, per dirla in tutta franchezza, non avevano più problemi a preferire una bella vacanza coast to coast rispetto a una crociera nel Mar Nero sulla nave «Ivan Franco». Questo non impedì tuttavia ai comunisti - e poi, veramente, anche ai pidiessini più «clintoniani» di mantenere nei confronti dell'Impero un curioso stato d'animo, una specie di «complesso americano» che alla ricerca spasmodica di legittimazione s'intrecciava (talvolta con qualche ragionevole motivo) ai retropensieri più atroci sulle stragi nere e sul terrorismo rosso. Punto e a capo, adesso. Ma non si capisce bene se il via libera segna l'inizio o la fine di una storia. Forse, come accade, tutte e due le cose insieme. Filippo Ceccarelli L'«Unità» condannava i cartoni di Disney oggi Occhetto cita i film di Woody Alien Dalle scritte «Yankee go home» a Ingrao che ascolta Springsteen com'è cambiato il rapporto tra comunisti e «Amerika» L'ex leader del pei Palmiro Togliatti A sinistra: Topolino Henry Kissinger con Aldo Moro nel 1974 A sinistra: l'ex ambasciatrice Usa in Italia Clara Booth Luce