Tosti: romanze per tutte le stagioni

La grande mostra di Palazzo Grassi riapre il giallo legato al nomeludovisi La grande mostra di Palazzo Grassi riapre il giallo legato al nomeludovisi ROMA CCO finalmente l'Occasione. La offre Palazzo Grassi e potrebbe permettere - forse - di uscire dal groviglio di anatemi, furiose scomuniche, disquisizioni scientifiche, rumorose polemiche, che da circa un secolo si accavallano intorno a due bellissime vasche di marmo, finemente scolpite, che vanno sotto il nome di Trono Ludovisi e Trono di Boston. C'è chi le considera opere autentiche del V secolo a. C, chi le bolla come falsi clamorosi creati alla fine dell'800. Adesso sono vicine, a Venezia. In una sala tutta per loro. Al secondo piano del palazzo in cui ha luogo la grande mostra sui «Greci in Occidente», che proprio ieri ha superato i 25 mila visitatori. Con le pareti - tutt'intorno - costellate di scritte che riferiscono date, circostanze incongrue o misteriose relative al loro ritrovamento, la parola degli studiosi prò e contro. Ovviamente il comitato scientifico che ha curato l'esposizione, e che è presieduto da Giovanni Pugliese Carratelli, presenta le opere come autentiche. L'esperienza del confronto diretto, concessa per la prima volta, è un fatto straordinario. Ne può uscire una rilettura più serena dei due «casi», un superamento delle prese di posizione di un tempo, magari qualche autocritica? Federico Zeri scrolla la testa: «Ma è inutile parlarne! Quando una cosa è consacrata dalla celebrità, è inutile metterla in discussione o addirittura demolirla. La parola stampata ha una forza ipnotica. I mostri sacri non si toccano. Ci sono verità che è impossibile dire, perché nessuno le vuole ascoltare». L'indignazione non spegne la sua vorace curiosità. Incomincia a sfogliare il catalogo della mostra veneziana e via via si appassiona, si sofferma sulle foto delle opere più belle, cerca le schede, controlla se quei reperti sono stati mandati a Palazzo Grassi o no. Commenta: «Tutto, quasi tutto l'ho già visto!». La luce della primavera e i profumi della campagna romana invadono lentamente anche il suo studio. C'è un silenzio perfetto. Ecco le immagini dei due Troni e la faccia di Zeri diventa se possibile - ancora più scura. Ma il fronte del reperto che viene da Boston gli fa ritrovare l'impennata incandescente che gli è propria. Esclama: «E' il più bello. Sì, sono dello stesso autore, fatti dalla stessa mano, da uno che doveva essere consigliato e assistito da uno storico dell'arte o un archeologo professionista. Grandi falsi, tutti e due, nati per sembrare esattamente quello che non sono. Questo qui però presenta meno sciocchezze dell'altro. Magari ce l'avessi io! E' bellissimo». La sua voce non si è mai levata solitaria nel contestare l'autenticità del Trono di Boston, su «Un capoSimbolismcreato aper sodgli am «Un capolavoro del Simbolismo italiano creato a fine '800 per soddisfare gli americani» avoro del o italiano fine '800 disfare ricani» cui - da sempre - si sono sommati dubbi e perizie negative. Neppure il catalogo è in grado di riportare la data e il luogo del ritrovamento. L'archeologa Margherita Guarducci - che invece non mette assolutamente in discussione il Trono Ludovisi e anzi ne ha difeso a spada tratta l'autenticità - a metà degli Anni 80 sul Bollettino d'Arte edito dal Poligrafico dello Stato aveva pubblicato i risultati di una sua minuziosa ricerca sulla grande vasca di marmo che dall'inizio del '900 è esposta al Museum of Fine Arts di Boston. Secondo la sua «requisitoria» esistono infiniti elementi che provano come l'opera venne creata verso il 1893 per soddisfare le richieste degli americani frustrati dal fatto che lo Stato italiano stava vincendo la corsa all'acquisto della collezione Ludovisi. Passaggi di danaro, intermediazioni, date della trattativa e dell'acquisto, tangenti: tutto è stato ricostruito, da quando il Trono arriva nel negozio degli antiquari Jandolo di via Margutta nel 1894, poi parte per l'Inghilterra dove trova ospitante nel castello di uno degli emissari del museo americano e viene sottoposto a radicale puli-, zia, per approdare finalmente nel 1908 a Boston dove viene esposto l'anno successivo. Un vero romanzo, punteggiato da protagonisti internazionali del mercato dei falsi archeologici, consulenti artistici, rivalità di musei stranieri, spiate, rialzi di prezzo, passaggio di mazzette. Un esempio clamoroso di tutto il vasto mondo che ruota intorno a grandi collezioni, furbissimi mercanti, sprovveduti storici dell'arte, spregiudicati consulenti, e intere generazioni di quegli artigiani-artisti che Zeri con spavalda ammirazione chiama «meravigliosi falsari». Come il presunto autore dei due Troni, di quello Ludovisi anzitutto, che lui non si stanca di denunciare come una solenne contraffazione. Lo aveva scritto negli Anni 80 sulla Stampa e sul Giornale dell'Arte, ma il «caso» scoppiò quando le sue critiche le fece in una trasmissione televisiva, nella primavera dell'88. Ne nacque un putiferio. Che coinvolse il mondo scientifico e la pubblica amministrazione. Con requisitorie di difesa, repliche sdegnate, accuse di sensazionalismo, richieste e annunci di analisi scientifiche. Zeri commenta: «Il fatto è che gli archeologi studiano solo il mondo antico. Ignorano quello che è venuto dopo. Per loro tutto ciò che è dipinto o costruito in stile antichizzato è antico. E' un problema di cultura. Di pigrizia mentale. Di studi che procedono per settori specifici e distinti. Di una conoscenza che si affida agli schemi, a un sapere che è una sorta di sistema compatto. Quanti dei nostri archeologi hanno letto Proust o Baudelaire, co- EORTONA IACEVA a tutti. A Londra, la regina Vittoria lo riceve a corte come Liszt e Rubinstein, mentre Edoardo VTI lo proclama sir; a Roma Margherita di Savoia si «educa l'orecchio» alle sue lezioni di canto. A Napoli, Salvatore Di Giacomo scrive per lui Marechiare, mentre D'Annunzio gli dedica 'A Vucchella. Ruggero Leoncavallo lo definisce «principe della romanza italiana da camera, anima da trovatore moderno». H fiore di Francesco Paolo Tosti continua, miracolosamente, a non appassire, e a centocinquant'anni dalla nascita persiste la vitalità delle sue liriche da camera: quasi cinquecento ritratti sentimentali, intimi, decadenti, languidi o morbosi, preferibilmente tristi e lacrimanti, tali da regalargli una fama anche iettatoria. Casa Ricordi li pubblicava a cadenza regolare e E. A Mario, il compositore napoletano, ricordava così il clima di attesa: «Dame e damigelle aspettavano ogni anno le nuove romanze di Tosti come si aspetta che vengano le rondini dal mare». La sua città ha deciso di dedicar¬ gli un ampio progetto di celebrazioni. E' partita sabato scorso, con Raina Kabaiwanska, la serie di concerti organizzata dall'Istituto Nazionale Tostiano di Ortona. Si procede fino a dicembre, quando Renato Bruson e i Solisti Aquilani terranno il concerto di chiusura. All'inizio di giugno si svolgerà un concorso internazionale di canto, dedicato all'interpretazione della musica vocale da camera. «Il canto di una vita» è il titolo di una mostra (da luglio a settembre), mentre esposizioni e concerti avranno luogo anche a Londra, La Valletta e Ottawa, con la collaborazione dei nostri Istituti di Cultura. Giampiero Tintori presiede un convegno dedicato alla romanza da camera dell'Ottocento, la Edt ripropone mia versione aggiornata del volume curato da Francesco San vitale, Casa Ricordi prosegue la pubblicazione ANNO 130 NUMERO 82 15 MERCOLEDÌ' 3 APRILE 1996