URSS L'ora della nostalgia

LA STAMPA LA STAMPA URSS L'ora Depurato di orrori e tragedie, il passato diventa un luogo ideale Un impero che univa ottusità e fantasia gentilezza e barbarie no eguali di fronte al potere. William Pfaff ha recentemente riassunto nèlì'Herald Tribune la tesi di un libro, Chronicle ofafamily (Cronaca di una famiglia), apparso recentemente in inglese. L'autore è Vladimir Fedorovic Alliluev, cugino di Svetlana Allilueva, figlia di Stalin; e la famiglia di cui si parla è, per l'appunto, quella del dittatore. Lo scopo di questa oleografia «legittimista» è quello di proclamare al mondo la grandezza e la nobiltà del passato sovietico. La sua apparizione ha suscitato l'indignata reazione di Svetlana. Dall'Inghilterra, dove ha trascorso gli ultimi dieci anni, la figlia di Stalin ha scritto una lunga lettera, apparsa in una rivista russa, in cui dice di avere letto il libro con «occhi increduli». Il cugino Vladimir sembra avere dimenticato tutto: le vessazioni della polizia segreta, la fucilazione del padre nel 1938, l'arresto della madre nel 1949, il suicidio della zia, moglie del dittatore, e la lettera con cui la madre di Svetlana rievocò prima di morire la sua infernale esistenza all'ombra di Stalin. Ma la nostalgia è un sentimento irrazionale. Quando fanno fatica a comprendere il presente e ad affrontare il futuro gli uomini dimenticano il passato vero e ne inventano uno falso in cui trovano conforto e consolazione. La nostalgia è un rifiuto della modernità, il più reazionario dei sentimenti umani, e può accadere che essa venga usata per un disegno politico restauratore. Svetlana sostiene che il libro del cugino è soltanto un tassello nella strategia controriformista della vecchia nomenklatura. Alla nostalgia russa per l'Unio- Un libro riabilita Stalin e i suoi tempi di «nobile grandezza» Qui sotto, Zjuganov, leader dei neocomunisti che vogliono restaurare la vecchia Urss; accanto un soldato dell'Armata Rossa; a sinistra, una manifestazione di nostalgici leninisti ne defunta corrisponde una larga gamma di nostalgie occidentali. Vi è in primo luogo, soprattutto in Italia, la nostalgia di coloro che sono stati comunisti e non riescono ad ammettere di avere investito tanta parte della loro vita su un progetto fallito. Gli errori di El- tsin, la criminalità economica, la disoccupazione e la guerra cecena sono, per questi nostalgici, una piccola rivincita, un premio di consolazione. Il comunismo non ha vinto, ma il capitalismo potrebbe fallire. Dopo avere smesso di sperare nel trionfo dell'«idea» molti comunisti italiani si accontenterebbero di un pareggio. E' lo stesso sentimento che ha messo radice nel cuore di molti fascisti e nazisti alla fine della seconda guerra mondiale. Gli errori degli altri servono a correggere, almeno in parte, le colpe che i fedeli delle religioni totalitarie hanno commesso nel corso della loro vita. Vi è poi la nostalgia dei «vip». Con i suoi ospiti utili e illustri l'Unione Sovietica era adulatrice e generosa. In anni di grande penuria economica Bernard Shaw viaggiò su un treno pieno di ogni ben di Dio. André Gide, Henry Barbusse, Romain Rolland furono vezzeggiati, accarezzati, adulati. Ricordo un viaggio di Alberto Moravia a Mosca nel 1987. Gli stimati colleghi dell'Unione degli scrittori lo ascoltavano con attenzione, le graziose italianiste dell'università e dell'Istituto Thorez lo guardavano devotamente, i giornalisti pendevano dalle sue labbra. Quale altro pubblico in Europa avrebbe trattato il vecchio Moravia con altrettanta considerazione? Durissima verso i «nemici di classe», i rinnegati come Gide e le «iene con la macchina da scrivere», come Zdanov definiva gli scrittori anticomunisti, l'Urss riservava una straordinaria munificenza ai compagiù di strada, ai fiancheggiatori e ai simpatizzanti. Lo stesso trattamento veniva esteso agli uomini d'affari, ai banchieri e ai politici degli Stati amici. Ciascuno di essi non poteva fare a meno di confrontare l'ospitalità sovietica con l'accoglienza sobria e senza fronzoli che gli veniva fatta quando andava a parlare d'affari con gli americani o con i tedeschi. Esiste poi una terza forma di nostalgia, comune a tutti coloro che hanno trascorso lunghi periodi in Urss e da cui io stesso so di essere afflitto. Provate a riunire in un salotto ideale alcune delle persone - giornalisti, uomini d'af¬ fari, diplomatici - che hanno vissuto a Mosca negli ultimi cinquant'anni: Enzo Bettiza, Giulietto Chiesa, Paolo Galimberti, Ezio Mauro, Piero Ottone, Alberto Ronchey, Franco Venturini, Demetrio Volcic, l'autore di questo articolo e, se fosse ancora fra noi, Alberto Jacoviello. Hanno idee politiche e gusti diversi, sono di destra e di sinistra, presidenzialisti e parlamentaristi. Ma sono tutti membri complici e solidali di una «loggia» chiamata «Unione Sovietica», tutti partecipi di uno stesso rito iniziatico. Hanno fatto le stesse esperienze e sanno di poter parlare per cenni, allusioni, sorrisi, strizzatine d'occhio. Basta una sola parola perché ciascuno abbia gli stessi ricordi. La parola più efficace è «remont». Significa riparazione, restauro, rifacimento ed è il miglior simbolo di un Paese in cui tutto si rompeva e tutto veniva continuamente riparato, aggiustato, ridipinto. Non vi è straniero che non abbia vissuto quelle esperienze e sono molti quelli che le ricordano con tenerezza. Ne ho l'ennesima prova in un vecchio libro, ritrovato qualche giorno fa in una libreria dell'«usato» a Washington, accanto a Dupont Circle. E' il diario russo [A Russian Journal) che John Steinbeck scrisse dopo un lungo viaggio con il fotografo Robert Capa nella primavera e nell'estate del 1947. S'incontrarono in un bar di New York e decisero di realizzare Steinbeck con la pernia, Capa con la macchina fotografica - un grande reportage sulla vita in Unione Sovietica. Era l'inizio della guerra fredda, un periodo segnato, sui due lati del sipario di ferro, da una profonda diffidenza reciproca. Steinbeck e Capa arrivarono a' Mosca con un aereo sgangherato che volava a bassa quota su città distrutte, boschi bruciati, campagne sconvolte dai carri armati che le avevano attraversate nei due sensi fra il giugno del 1941 e la ritirata tedesca nei primi mesi del 194^ '1 libro è un lungo «servizio giornalistico», illustrato dalle fotografie di Capa: ima grande manifestazione aeronautica nei pressi di Mosca alla presenza di Stalin, la vita in im kolchoz ucraino, una serata al circo, uno spettacolo teatrale in una piccola città di provincia, i prigionieri tedeschi al lavoro nelle vie di Stalingrado, una manifestazione sportiva, una lunga visita in Georgia. Come tutti gli iniziati della loggia «Urss» anche Steinbeck e Capa furono respinti e affascinati da quella straordinaria miscela di modernità e vecchiiune, gentilezza umana e barbarie amministrativa, penuria e abbondanza, ottusità e fantasia, sciatteria e diligenza, stakanovismo e pigrizia, patriottismo e cinismo che riempiva nelle sue infinite combinazioni il grande contenitore sovietico. Si armarono di pazienza, ironia e riuscirono a comporre insieme il libro che ciascuno di noi, vecchi veterani dell'Urss, avrebbe voluto scrivere e pubblicare. Oggi, dopo la morte dell'Urss, quelle impressioni e quei sentimenti si sono colorati di una sorta di irrazionale rimpianto. Nel nostro ricordo l'Urss è diventata una «bella cosa di pessimo gusto», il più straordinario pezzo di «modernariato» della storia contemporanea. Sergio Romano FERRARA blicazione di Yellow Kid, il bambino con il grembiulone giallo con cui Richard F. Outcault inaugurò un nuovo modo di raccontare per immagini. ff l gFerrara offre qualcosa di diverso: non una semplice raccolta di tavole originali, tanto interessante quanto statica, ma un' ambientazione quasi teatrale dei «grandi» del fumetto: dieci ambienti, uno per decennio, ricostruiti da Ugo Nespolo in modo originale e spesso provocatorio. Dalla locomotiva nera che ospita i disegni delle origini, per rappresentare l'ansia di movimento della nuova arte, alla camera da letto per i sogni del primo Novecento. l ii iUna stris gUn lungo e stranissimo viaggio che finisce all'interno di un Cent'anni in mostra a Ferrara: tutti gli eroi di carta «ambientati» da Nespolo