Dini rinvia le nomine pubbliche

Ma i vertici dell'Eni devono essere rinnovati per legge entro il 15 maggio Ma i vertici dell'Eni devono essere rinnovati per legge entro il 15 maggio Pini rinvia le nomine pubbliche, Ulivo e Polo: giusto decidere dopo il voto ROMA. Al voto al voto. Le elezioni bloccano tutto. Anche il rinnovo dei vertici di grandi società pubbliche, come Eni e Bnl. Il presidente del Consiglio Lamberto Dini ha rinviato a dopo l'apertura delle urne le nomine, da settimane al centro di roventi dispute politiche. Lo stop è previsto da una direttiva approvata ieri dal Consiglio dei ministri. E si applica sin da oggi: l'assemblea del Credito industriale sardo non potrà procedere alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione prevista dall'ordine del giorno. Ma ovviamente non è stato il Cis a provocare l'altolà di Dini. Al centro dell'attenzione c'era soprattutto la ricca Eni e quindi il destino dell'amministratore delegato Franco Bernabò e del presidente Luigi Meanti, in attesa di conferma in seguito alla scadenza del mandato sabato scorso. A lungo il Polo di centrodestra ha insistito per evitare le nomine, ritenendo inopportune designazioni in piena campagna elettorale da parte di un governo dimissionario. Dini sembrava invece intenzionato ad andare avanti, come avvenuto per la fondazione che controlla il San Paolo, per rispettare le scadenze di legge. Dini ha però preferito schivare nuove polemiche e la possibile accusa di voler assegnare a suo piacimento poltrone importanti. E così ha concepito una mossa distensiva: nessuna decisione fino alle elezioni. A destra come a sinistra, la direttiva del Consiglio dei ministri è stata su- : ■ \ . GLI è più consona, d'accordo. Ma non basta, a spiegare questo addio al valzer, sostituito da un repentino «paso doble» sulle nomine. «Che sono un fatto tecnico, servono a dare certezza ai mercati internazionali, soprattutto per società di dimensioni mondiali come l'Eni, che oltretutto è in via di privatizzazione e che conta nel suo azionariato i maggiori investitori internazionali», ha sempre sostenuto Dini, gettando acqua sul crepitante fuoco di sbarramento dei Gasparri, dei Parlato e degli Storace, che di confermare Franco Bernabò all'Eni e Mario Sarchielli alla Bnl non vogliono proprio saperne. Ora cosa è cambiato? Perché è caduta questa pregiudiziale tecnica, che il premier ha usato in questi mesi per respingere gii attacchi del Polo «qualunquista e ignorante»? A farla capitolare è stata in realtà la politica. E nemmeno tanto le scomposte intemerate della destra, quanto le discrete pressioni del centrosinistra. Prima tra tutte quella di Massimo D'Alema. Sabato sera, al termine della convention di Rinnovamento italiano, pare che il leader della quercia abbia parlato a lungo con il premier: «Lamberto - è stato il messaggio telefonico partito da Botteghe Oscure - non ti intestardire sulle nomine. Se le fai rischi solo di invelenire ancora di più la campagna elettorale. Lancia un messaggio distensivo, e il centrosinistra ne trarrà immediatamente un premio politico». Lo stesso segnale, a Dini, è arrivato poche ore prima anche da Gerardo Bianco e, tramite lui, da Romano Prodi: «Meglio non forzare con la linea degli atti dovuti - è stato il ragionamento del leader dei popolari - se di fronte ai decreti che prevedono solo benefici di carattere economico e sociale la destra monta tutta questa polemica, figuriamoci cosa farebbe se davvero si procedesse con le nomine all'Eni e alla Bnl prima delle elezioni». Lì per lì Dini - caparbio come ogni bravo toscanaccio non si è sbilanciato, con i suoi alleati: «Ci rifletto nel weekend», è stata la risposta un po' perplessa, quasi sof- ferta. Perché Lamberto non avrebbe voluto comunque darla vinta a quello che ormai è il suo nemico giurato di questa campagna elettorale, cioè Gianfranco Fini, e in generale ai suoi avversari del Polo. Ai quali avrebbe anche stavolta preferito sibilare un «me lo devono chiedere in ginocchio!», come già fece qualche mese fa, quando tolse in Parlamento la fiducia sulla legge finanziaria. Ma stavolta la posta in gioco è più alta: non c'è solo l'onore, ma la vittoria alle elezioni. E così alla fine il premier si è convinto: meglio non regalare altre armi alla destra, soprattutto in questi ultimi giorni di campagna elettorale, durante i quali si marcano le scelte di quella decisiva «zona grigia» di elettori moderati, rimasti ancora in mezzo al guado. Oltretutto, Dini si è poi reso conto che applicando anche alle nomine la strategia del «dente per dente», avrebbe rischiato di rompersene qualcuno in più dei suoi avversari. A spiegarglielo è stato Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, che prima di tutto gli ha ricordato il vertice del 21 marzo scorso con Tatarella, durante il quale il soave Pinuccio - anche in quel caso all'insegna dei suoi personalissimi princìpi di Armonia, tanto cari al plenipo¬ 1> LA STAMPA

Luoghi citati: Cis, Roma, San Paolo