Così si massacra fino all'ora X
Così si massacra fino all'ora X Così si massacra fino all'ora X Un uragano di fuoco sui villaggi ribelli LA DOPPIA STRATEGIA DEL CREMLINO B: MOSCA ORIS Eltsin ha promesso che i cannoni russi in Cecenia taceranno da mezzanotte. Ma ierj sera sulle montagne del Caucaso si combatteva ancora, selvaggiamente, ferocemente, senza badare ai mezzi. Missili, bombe, artiglieria pesante: la strada verso la pace di Eltsin è stata aperta da un massacro. Nei giorni scorsi infatti l'esercito russo ha scatenato una massiccia offensiva contro i villaggi ceceni, come se cercasse di combattere e distruggere a sazietà prima dell'inevitabile cessate-il-fuoco. Kadzhi-Jurt, Goiskoe, Vedeno, Samashki e decine di altri paesi nelle montagne sono stati bombardati a tappeto, martellati dall'artiglieria e infine «ripuliti» dalla fanteria e dagli Omon, le truppe di polizia speciale. La chistka, la «ripulitura», nel gergo cinico di questa guerra mai dichiarata ufficialmente, significa che i soldati perquisiscono le case, saccheggiando quello che ne è rimasto e sparando su tutto quello che si muove. . Secondo il comando russo, l'operazione militare delle ultime settimane si è resa necessaria per cacciare dai villaggi i guerriglieri di Dudaev. Nessuno però ha contato le vittime - in gran parte civili - di questa offensiva. Né i giornalisti, né le organizzazioni umanitarie come la Croce Rossa hanno avuto il permesso di entrare nei villaggi ripuliti. Forse perché il comando russo si rende conto che l'accaduto, se fosse raccontato da un testimone autorevole e indipendente, sarebbe sconvolgente quanto i massacri in Bosnia. I sopravvissuti parlano di centinaia di morti, soprattutto donne e anziani. Almeno 600 sono i morti di Samashki, già messo a ferro e fuoco dalle truppe russe qualche mese fa. I militari smentiscono, spiegando di aver permesso agli abitanti di abbandonare i villaggi prima di cominciare il bombardamento. Ma in molti paesi il corridoio per far uscire i civili non è stato mai aperto e la gente si è ritrovata prigioniera a morire sotto le macerie delle proprie case. Un'esplosione di violenza eccezionale perfino per la Cecenia, un'operazione militare che a tratti assomiglia piuttosto a un atto di genocidio. Eppure - e i militari russi non l'hanno nemmeno nascosto - faceva parte del piano di pace di Eltsin. Del resto, lo stesso presidente russo ieri l'ha ammesso: «La svolta non ci sarebbe stata senza le ultime operazioni dell'esercito». Il piano del Cremlino infatti prevede il ritiro graduale delle truppe dalle «zone tranquille» della repubblica ribelle. Per tranquille si intendono quelle province che hanno firmato con il comando russo accordi di pace nei quali si impegnano a non dare asilo ai guerriglieri e a consegnare le armi. Se il patto venisse violato, la responsabilità sarebbe tutta delle autorità locali, cioè degli anziani del paese e dell'amministrazione. In questo modo si sperava di isolare gli indipendentisti e di privarli dell'appoggio della popolazione locale che, sotto la minaccia di altri bombardamenti, gli avreb- be negato ogni aiuto. Dunque, per creare delle zone di pace, bisognava fare la guerra, piegare la resistenza. Secondo i russi, i due terzi dei villaggi ceceni hanno già firmato l'accordo con i russi. Per convincerli sono state usate appunto le bombe e le operazioni di «pulizia». Quelli che si sono rifiutati hanno subito una punizione esemplare. Ma perfino quei paesi che hanno accettato le condizioni dei russi non si possono considerare in salvo. Venerdì scorso Khadzhi-Jurt, un villaggio nel Sud della Cecenia, è stato bombardato da un aereo russo. Una bomba è caduta nel cortile di una casa, uccidendo nove persone, tra cui alcuni bambini e due donne incinte. I militari prima si sono scusati, spiegando che la bomba era stata sganciata «accidentalmente». Ma dopo qualche ora ci hanno ripensato e hanno accusato i ceceni di provocazione: avrebbero fatto esplodere loro stessi un ordigno per dimostrare che i russi non mantengono le promesse. Una pace portata con le bombe dunque. Ma, se è così, non durerà. Il confine tra guerriglieri e civili, nella Cecenia dei mille vincoli familiari e tribali, del codice d'onore e dell'odio per i russi è sottile, quasi invisibile. E dopo più di un anno di guerra i russi ancora - anche se non lo ammettono - non controllano davvero nemmeno la metà del territorio ceceno. Per Mosca si tratta di una guerra contro le «formazioni armate illegali», contro un pugno di banditi e terroristi che bisogna sterminare per riportare la pace. Per i ceceni però è una lotta per l'indipendenza e una vendetta contro quello che considerano un invasore. Anna Zaf esova
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