L'eterna zitella di Lorca di Osvaldo Guerrieri
l/eternq zitella di Loria «Donna Rosita nubile», poco rappresentata in Italia, regista Lievi l/eternq zitella di Loria Da ragazza a vecchia: grande Galatea Ranzi TORINO. Come sono centrali le donne nel teatro di Federico Garda Lorca. Sembra quasi che esse soltanto facciano da perno ai sentimenti e all'azione. Gli uomini, al contrario, nella pigra e assolata provincia andalusa, appaiono spesso chiusi nella penombra della marginalità e dell'evasività. Questo universo spaccato in due è totalmente assorbito dai tre atti di «Donna Rosita nubile», l'ultima commedia che Lorca pubblicò in vita: un canto lento, un'elegia che pone un sigillo di cenere a una vita d'attesa. Pochissimo rappresentato in Italia, «Donna Rosita nubile» è in scena fino a domenica al Carignano, prodotto da Emilia Romagna Teatro con la regia di Cesare Lievi, che dopo una lunga esperienza in Germania torna a lavorare nel nostro Paese. La commedia narra di una ragazza che attende per trentacinque anni un fidanzato che non arriverà mai e anzi, partito per l'Argentina con la promessa di un rapido ritorno e del matrimonio, sposerà una donna ricca. Rosita aspetta e, mentre accumula un corredo inutile, appassisce. Al suo ingrigire assistono impotenti la zia, la babà, lo zio che si lascia assorbire dalla coltura delle rose; per non parlare delle numerose amiche che, come un coro frivolo o buffonesco, incarnano la mentalità e la vuota ritualità della provincia. Nella linearità dei tre atti s'insinua l'ombreggiatura simbolistica della rosa, che a sera ha già perduta la fresca carnalità del mattino; e in questa sua metamorfosi, o in questo suo smorire, è simile al linguaggio di Rosita: lirico, visionario e scintillante di metafore nel primo atto; secco e arido nel terzo. Ma tanta ricchezza di motivi si prosciuga nella regia di Cesare Lievi, che insegue, par di capire, una visione cecoviana del dramma di Rosita. Già la scenografia di Margherita Palli (una cornice marmorea dalla ba- se obliqua, con serra, cieli smaltati, pavimento d'erba e lampadario appeso al cielo) ha un che di estetizzante. Se poi pensiamo che il lirismo di Lorca si irrigidisce in quadretti di maniera, allora dobbiamo concludere che tutto scorre verso lo schema dello spettacolo ben fatto, ma sostanzialmente estraneo all'anima del testo. Se però accettiamo questa visione parziale, dobbiamo ammettere che tutto funziona a dovere e che funziona, in particolare, l'interpretazione dei protagonisti. Galatea Ranzi è bravissima nel restituirci (senza trucco, con naturalezza) l'invecchiamento di Rosita, il suo progressivo irrigi¬ dirsi e il suo svuotarsi di energie. Anna Maria Gherardi, nella parte della zia, sa essere molto persuasiva dal secondo atto in poi. Barbara Valmorin, la babà invadente e petulante, esprime una bella forza plebea e terragna. Renato Carpentieri fa uno zio giustamente svagato e molto vicino a certi vuoti gentiluomini che Cechov ha reso indimenticabili. Un po' meno in parte ci sono sembrati gli attori secondari, soprattutto gli uomini. Ma è doveroso segnalare il bel macchiettismo di Aide Aste. Pubblico molto attento, a tratti divertito e alla fine affettuoso di applausi. Osvaldo Guerrieri Una scena della commedia di Lorca al Carignano
Persone citate: Aide Aste, Anna Maria Gherardi, Barbara Valmorin, Cechov, Cesare Lievi, Galatea Ranzi, Margherita Palli, Renato Carpentieri
Luoghi citati: Argentina, Emilia Romagna, Germania, Italia, Loria, Torino
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