ATLANTA la metropoli che non c'era di Gian Paolo Ormezzano

ATLANTA ATLANTA la metropoli che nondera DATLANTA A circa sei anni Atlanta vive in uno stato di febbrile attesa dell'inizio dei Gio 1 chi Olimpici, previsto per il 20 luglio. L'imponente aeroporto cittadino - il più grande terminal passeggeri del mondo e il sesto per traffico complessivo - è in corso di ristrutturazione per accogliere un milione di visitatori. Ogni giorno il quotidiano locale, Atlanta Journal Constitutìon, pubblica in prima pagina uno striscione trasversale annunciando il count down olimpico. E una recente guida turistica annuncia trionfalmente: «Da quando il sindaco Maynard H. Jackson ha ricevuto dal sindaco di Barcellona la bandiera olimpica nell'estate 1992, la capitale della Georgia è entrata nel novero delle metropoli internazionali». William Payne, l'avvocato quarantottenne che ha organizzato i preparativi olimpici di Atlanta, va ancora oltre: «Sarà il più grande evento pacifico nella storia del mondo». Certo queste dichiarazioni nascondono l'ansia di una città provinciale, ancora insicura del suo posto nel pianeta, ma è indubbio che nello spazio di una generazione Atlanta si è trasformata da capitale regionale in una delle maggiori e più ricche città degli Stati Uniti. Trent'anni fa era una sonnolenta città del Sud con mezzo milione di abitanti. Da allora la popolazione si è moltiplicata sei volte, oggi è di 3 milioni e 400 mila abitanti. Nel 1990 è stata la città con la crescita più rapida di tutti gli Stati Uniti, in testa alla classifica nazionale sia per il numero di nuovi posti di lavoro, sia per quello di nuove case. Le costruzioni progrediscono in ogni direzione, da ogni parte si cammini si sente il rumore di cantieri. Gradualmente è anche cambiata l'immagine di Atlanta nel mondo. Fino a oggi era conosciuta come la città che brucia alla fine di Via col vento. Crescendo, è diventata nota come capitale dell'impero televisivo Cnn e della CocaCola. «Dieci anni fa, quando si parlava di Atlanta, la maggior parte degli americani la confondeva con Atlantic City e pensava subito al gioco d'azzardo», spiega Jim Babcock della Camera di Commercio di Atlanta. «Adesso sanno chi siamo». Sempre più compagnie giapponesi hanno investito in Georgia. Dato che partiva da una posizione di relativa oscurità, Atlanta ha dovuto lavorare duro soprattutto nel campo dell'autopromozione. Una città come New York ha un modo di lavorare più autocompiacente, convinta (spesso sbagliando) che le cose andranno bene comunque da sé. Atlanta invece deve uscire e vendere se stessa, come ha fatto con il Comitato Olimpico, sconfiggendo la concorrenza di Atene che sembrava favorita. Guadagnarsi le Olimpiadi è stato un passo imprenditoriale enorme per questa città di imprenditori. Fin dall'inizio i leader economici locali erano ben determinati a gestire i Giochi con denaro privato, senza usare fondi governativi. E in pochi anni William Payne ha messo insieme una società da 1,7 miliardi di dollari (2700 miliardi di lire), con 2800 impiegati, che ha speso 500 milioni di dollari in opere architettoniche, incluso uno stadio da 207 milioni di dollari. Per pagare questi enormi investimenti, Payne non ha smesso un attimo di «vendere» Atlanta e i Giochi. Ha convinto la Nbc a pagare 463 miliardi di dollari per i diritti televisivi e si è prodigato senza posa per indurre le grandi aziende a farsi sponsor. Naturalmente la Coca-Cola è la bevanda non alcolica ufficiale dei Giochi e la Delta Airlines (anch'essa con sede a Atlanta) è la linea aerea ufficiale. C'è anche un hot-dog ufficiale e un servizio di sicurezza ufficiale. Addirittura, per costruire un parco di sette ettari che avrebbe connesso i vari luoghi olimpici e nello stesso tempo risanato una periferia povera, Payne ha avuto l'idea di vendere i mattoni che sarebbero stati usati. Per 35 dollari chiunque poteva avere il suo nome scritto su un mattone olimpico e così 340 mila persone hanno dato una cifra di dieci milioni di dollari. La campagna olimpica è solo il culmine di 25 anni di sviluppo che hanno radicalmente cambiato la città, ma anche cancellato gran parte del suo passato e della sua identità regionale. Piuttosto che restaurare i vecchi edifici dell'800, in molte zone Atlanta ha preferito buttarli giù e costruirne di nuovi, fatti di acciaio e cemento armato. Le antiche, belhssi- me costruzioni si perdono in un'infinita serie di ristoranti e negozi: Pizza Hut, The Waffle House, Mail Boxes Etc, Pier 1, HoldEverything... Gli abitanti sono fieri del profilo della loro città, con i nuovi grattacieli disegnati dai famosi architetti Michael Graves e Richard Meyer, ma nella corsa a farsi capitale Atlanta è diventata una città uguale a tutte le altre: l'architettura è identica a quella che si trova a Houston, Phoenix, Denver o San José. Tradizionalmente Atlanta ha sempre avuto uno strano rapporto con la sua storia. Bruciata e rasa al suolo dal generale nordista William Tecumseh Sherman durante la guerra civile, è rimasta in una situazione strana e paradossale, ossessionata da un glorioso passato di cui però non c'era letteralmente più traccia tangibile. Quando l'ho visitata per la prima volta, quindici anni fa, in una settimana ho sentito parlare della guerra civile più di quanto ne ab¬ bia sentito parlare in una vita nel Nord del Paese. Adesso che la città sembra totalmente proiettata nel futuro, del generale Sherman si sente parlare assai meno. Non è dunque sorprendente che abbia perso molto della sua identità regionale: quasi nessuno fra quanti vivono a Atlanta è di Atlanta. Il boom della popolazione è stato aumentato da persone venute da lontano, in gran parte da fuori della Georgia, molti dal Nord o dal Midwest. Si è trasferito qui persino uno Sherman, discendente del generale, che si chiama anche lui William Tecumseh e abita in uno dei sobborghi ricchi, Buckhead. Insieme con la ricchezza e la popolazione, anche il potere politico di Atlanta è cresciuto. Non è probabilmente un caso che il leader della nuova destra repubblicana, Newt Gingrich, abbia la sua base politica qui. Atlanta è anche la città di Martin Luther King e ha dato i natali a molti altri lea¬ der di movimenti per i diritti civili come Ralph Abernathy, Julian Bond e Andrew Young, ex sindaco e ex ambasciatore alle Nazioni Unite. La città rifiuta le facili etichette ed è piena di contraddizioni. E' governata da neri, ma la bandiera confederale sventola ancora sul palazzo del Governo, il che costituisce una questione politica spinosa. Le relazioni tra razze sono probabilmente migliori che nella gran parte delle città americane. C'è una ricca e numerosa classe media e medio-alta di neri, che occupano posti di reale potere in campo economico e politico. Un terzo delle famiglie nere di Atlanta guadagna più della famiglia media americana. I figli e i nipoti dei neri che si erano trasferiti al Nord per sfuggire alla discriminazione razziale, stanno tutti tornando a Atlanta. I neri e i bianchi lavorano insieme e hanno molte più cose in comune di quanto accada nelle città del Nord, eppure le aree residenziali sono ancora per la maggior parte separate. I neri abbienti hanno i loro sobborghi, che sono immagini speculari dei sobborghi bianchi ricchi. Vicino a Cobb County - la base elettorale di Newt Gingrich è stata approvata una legge antigay, ma a Atlanta c'è una comunità gay assai visibile con un suo giornale e negozi molto vistosi. La ragione principale per cui Atlanta rifiuta le facili etichette è che in realtà non è una sola città, ma molte dozzine di città in una, con caratteri profondamente differenti. L'area metropolitana include sette diverse municipalità e 55 governi locali, con una notevole confusione istituzionale. La «City», che ultimamente si è ridotta all'area della vecchia città, ha una popolazione di 500 mila persone, mentre gli altri, oltre due milioni e mezzo, vivono fuori. Atlanta è difficile da comprendere per un europeo. Il centro non è realmente il centro. E' soltanto una zona finanziaria piena di uffici che si svuota la sera quando i lavoratori tornano ai loro sobborghi. Eppure sarebbe inesatto dividere la città in «centro» e «sobborghi». Perché la gran parte di questi satelliti sono adesso centri di affari e commercio essi stessi, con i loro grattacieli, hotel e palazzi di uffici. Questo modello molto decentrato - a immagine di Los Angeles - forse rappresenta il futuro. Come a Los Angeles, qui non c'è un «qui»: ma Atlanta è ancora più difficile da immaginarsi. Il cinema è l'industria di Los Angeles e le dà anima e stile. Atlanta adesso ha i muscoli e i soldi (e le Olimpiadi) ma sta ancora cercando un'identità. In questo senso è curiosamente appropriata la scelta della mascotte olimpica: uno strano animale ibrido il cui nome è «Whatizit». Ossia: «Che cos'è?» Fra Coca-Cola e Cnn, ricchezza e contrasti in cerca di un'identità parte degli americani la confondeva con Atlantic City e pensava subito al gioco d'azzardo», spiega Jim Babcock della Camera di Commercio di Atlanta. «Adesso sanno chi siamo». Sempre più compagnie giapponesi hanno investito in Georgia. Dato che partiva da una posizione di relativa oscurità, Atlanta ha dovuto lavorare duro soprattutto nel campo dell'autopromozione. Una città come dollari. La campagna olimpica è solo il culmine di 25 anni di sviluppo che hanno radicalmente cambiato la città, ma anche cancellato gran parte del suo passato e della sua identità regionale. Piuttosto che restaurare i vecchi edifici dell'800, in molte zone Atlanta ha preferito buttarli giù e costruirne di nuovi, fatti di acciaio e cemento armato. Le antiche, belhssi- curiosamente appropriata la scelta della mascotte olimpica: uno strano animale ibrido il cui nome è «Whatizit». Ossia: «Che cos'è?» Cerano anche grandi differenze, e Carlo Airoldi, marciatore italiano, fu cacciato, pur essendo arrivato ad Atene a piedi, attraversando i Balcani, perché aveva accettato in patria un rimborso spese per una gara. Ma la fotocopia ingrandita di Atene 1896 è abbastanza Atlanta 1996.0, almeno, voghamo disperatamente, pateticamente pensarlo. Gian Paolo Ormezzano Da Atene aE NEIL DERANO