Ildegarda, la santa che inventò le tisane di Silvia Ronchey
Ildegarda, la santa che inventò le tisane Una biografìa della suora medievale che raccontò in parole e immagini le sue «implacabili visioni» Ildegarda, la santa che inventò le tisane Ricette sperimentate da mille anni contro il «male di vivere» JA monaca siede davanti a una scrivania, sorretta dall'alto schienale di una sedia. E' pronta a scrivere o trascrivere qualcosa: tiene in mano l'occorrente, due tavolette di cera nera a due colonne ciascuna. E' nera anche la veste claustrale, drappeggiata di un mantello marrone, e le maniche della cotta bianca stringono i polsi che reggono lo stilo. Nella miniatura del suo libro l'autrice ha relegato in basso, in un piccolo riquadro ihuminato, quest'autoritratto. Il viso è rivolto verso la parte principale del foglio, che la sovrasta con la visione da cui traboccano lingue di fuoco. «Nel 1141° anno dall'Incarnazione, quando avevo 42 anni e 7 mesi, una luce di fuoco abbacinante, proveniente dal cielo aperto, calò sulla mia intera mente e su tutto il mio corpo e pervase il mio petto, come una ffcr"ma che non ustiona ma brucia nel suo calore immenso...». Ildegarda di Bingen, detta la Sibilla del Reno per il dono profetico che le fu attribuito, badessa di un piccolo convento, ma dotata di grande genialità, era autrice di rappresentazioni e composizioni sacre, che risuonavano nelle chiese di tutt'Europa, e di prediche, che ripeteva a Treviri, a Colonia, a Magonza. Sulle rive del grande fiume tedesco, tra le vigne, si recavano a visitarla contadini e potenti e persino imperatori e papi le si rivolsero a consulto, di persona o nelle lettere conservate dal suo grande e prezioso epistolario. Tanta sapienza per essere perdonabile a una donna richiedeva, ai suoi stessi occhi, il sigillo dell'irrazionalità, della soprannaturalità o della sensiti¬ vità. I talenti di Ildegarda nella forma di visioni mistiche ebbero il riconoscimento del papa, dei vescovi e di San Bernardo di Chiaravalle, al termine di dispute che investirono tutta l'Europa, come riferisce Regine Pernoud, direttrice degli Archivi Nazionali di Francia, docente di Storia Medievale alla Sorbona, in Storia e visioni di Santa Ildegarda, che esce da Piemme. La monaca nerovestita, assistita dal vecchio confessore Volmar e dalla giovane e aristocratica consorella Richardis, impiegò dieci anni per trascrivere nella sua prima opera, lo Scivias, letteralmente "Conosci le vie", «i misteri, i segreti e le implacabili visioni». La tormentavano da quando ne aveva 5 e solo quando superò i 40 si consentì di consegnarle alle parole e alle immagini, ancora decifrabili nel manoscritto mimato del Libro delle opere divine alla Biblioteca Governativa di Lucca. Tacere ciò che vedeva e sapeva le aveva fatto trascorrere una giovinezza macerata nell'ansia, «soffrendo nel midollo e nelle vene della carne, con lo spirito e la ragione contratti e in preda a grandi patimenti corporei». Tra gli esiti delle visioni di Ildegarda, «dettati» dalla divinità alla Sibilla e da lei solo compitati come una medium, vi furono anche le in¬ tuizioni e le ricette di una medicina anestetizzante e dolce, basata sulla relazione ecologica tra l'uomo e la natura e sull'idea mistica di malattia come rottura dell'armonia tra corpo e spirito: «L'anima è una sinfonia. La salute è il superamento dell'isolamento». Questo regime immagmifico ha per indicazione un unico grande morbo, il male di vivere. «Ho accerchiato le rovine del suo cuore per timore che il suo spirito si inalberasse d'orgoglio o vanagloria, e perché dalla sua sapienza provasse timore e tremore anziché gioia ed esultanza». Le terapie di Ildegarda sono state sperimentate ininterrottamente per quasi un millennio. Tuttora sono eseguite nelle cliniche ildegardiane del mondo tedesco e da chiunque, per fede nell'ispirazione divina o più spesso per scetticismo verso la comune medicina, abbia attinto al Liber divinorum operum o alla Physica Hildegardis o alle Causae et curae, dalla Patrologia latina del Migne o dagli Analecta sacra del Pitra. Lì si possono leggere le incantevoli ricette della Sibilla del Reno: la minestra del digiunatore o quella di marrobbio alla crema, disintossicanti; l'issòpo, «in cui sono nascoste virtù che rendono allegri»; la tisana di santoreggia, «che rischiala gli occhi dell'uomo» dalla tristezza, o di melissa, rosa canina e salvia, o il tè di tanacéto, in caso di vera e propria psicosi; l'elisir di violetta, di peonie, di scolopendrio o anche di gìchero, «nel caso di una forte malinconia o di un'ipocondria che duri da mesi»; il suo vino spento, contro «l'ansia che rende malati», o i suoi celebri «biscottini per i nervi», che levano ogni amarezza dal tuo cuore, aprono la tua intelligenza, stimolano i tuoi sensi ottusi e diminuiscono in te gli umori tossici». Infine le pietre preziose e i cristalli: il diaspro color oliva, da accostare alla bocca e inumidire col fiato caldo; il calcedonio celeste, da portare sulla pelle, un meraviglioso psicotonico; la sardonica, «datenere sul ventre nudo e leccare spesso», contro l'indisciplina; il diamante, da lasciar cadere nell'acqua che si beve, così chiamata «acqua di diamante», la miglior droga contro lo spleen. Silvia Ronchey
Persone citate: Bingen, Regine Pernoud
Luoghi citati: Chiaravalle, Colonia, Europa, Francia, Lucca, Magonza, Treviri
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