MENUHIN Il mondo salvato dalla musica

Incontro con il grande violinista, che sta per compiere 80 anni e pubblicare la sua attesissima autobiografìa Incontro con il grande violinista, che sta per compiere 80 anni e pubblicare la sua attesissima autobiografìa MENUHIN 77 mondo salvato dalla musica ]LONDRA L giro di boa degli ottant'anni coglie Yehudi Menuhin in piena navigazione. L'ex fanciullo prodigio, il cui violino strappò di bocca ad Albert Einstein la frase: «Ora so che c'è un Dio», parla come un maestro d'umanità, più che come un violinista. Discendente di una grande famiglia di ebrei chassidici emigrati a San Francisco, ha l'intelletto affilato di un antropologo culturale e una spiritualità pacifista che lo attira verso il sincretismo delle religioni, ma non disdegna la politica: «Gli ebrei hanno portato la loro croce attraverso i secoli - dice -. E' il loro desiderio di mettere termine alle persecuzioni ad attirare l'odio e il risentimento del mondo? Con l'assassinio del coraggioso soldato della pace, Ytzhak Rabin, temo che la missione di Israele sia diventata da territoriale a morale. Con la prossima guerra santa, già presente per la paura del fondamentalismo islamico, Israele farà da arbitro, da leader lungo canunini ecumenici, abracciando i suoi vicini a un più alto livello, o si unirà ai cristiani in una non-santa alleanza contro i musulmani?». Menuhin è sempre stato un campione di «politicai incorrectness»: gli ebrei americani non mandarono mai giù il suo sodalizio con Wilhelm Furtwaengler, idolo della Germania di Hitler. C'è grande attesa in Inghilterra per la sua autobiografia aggiornata, Unfinished journey (Viaggio non terminato), che uscirà da Methuen in concomitanza con 0 suo compleanno il prossimo 22 aprile. Il libro racconta gli ultimi 20 anni di un talento leggendario, scoperto fin da bambino quando impose ai genitori la scelta dell'insegnante di violino; e fiorito nell'adolescente che incuteva rispetto a Toscanini. Lei è un campione di umanesimo musicale. Ma la musica e l'arte occidentale non hanno impedito Auschwitz: «H gridi sul palcoscenico ha soffocati il grido sulla strada», come dice George Steiner. «Senza dubbio. Ma la musica e l'arte non sono state praticate propriamente. I nazisti amavano la musica tedesca in modo sentimentale, ma non avevano scuole in cui i giovani potessero ascoltare musica ebraica o slava, o quella di altre etnìe. Non solo: non avevano nessun senso della storia della musica. Di certo non ascoltavano i canti gregoriani dei monaci medievali spagnoli e non ballavano al suono del buon jazz, non improvvisavano, ma ascoltavano soltanto Beethoven, eccetera, e le marce militari: questo non li ha certo distolti dal loro senso di superiorità. Le proporzioni si possono stabilire soltanto conoscendo molte cose». Lei crede invece che la musica possa migliorare il mondo? «Non è soltanto questione di ascoltare la musica che si conosce nelle sale da concerto, ma portare i bambini piccoh* a cantare e ballare al suono di altre tradizioni, siano queste giamaicana, ungherese, inglese o turca. Se gli si insegna la musica popolare, e più tardi quella corale, U rnimo, le arti marziali e l'artigianato, si costruisce una società affettuosa, armoniosa e interessante, che si arricchisce coi con- tributi di ciascuna e che poi può espandersi nel mondo astratto e nella conoscenza dei grandi personaggi del passato: ma prima deve partire dal rapporto coi nostri sensi. Ho un progetto che si chiama Mus-E: in nove Paesi andiamo nelle scuole più difficili e nel giro di pochi giorni, le assicuro, l'atmosfera a scuola diventa perfettamente felice, ordinata, avida di comunicazione e di fiducia. I mezzi sono così semplici che mi fa veramente arrabbiare il fatto che non siano riconosciuti e usati in generale. Abbiamo fatto breccia in Spagna, dove il rninistero dell'Istruzione ha firmato un protocollo con la mia fondazione grazie al quale ogni scuola riceverà un aiuto finanziario speciale per introdurre tutte queste cose». Lei sostiene che la musica sia indispensabile: ma per molti è intrattenimento, non una forza di cambiamento morale «Ma questa forza ce l'ha: l'unica cosa che ci salverà è la bellezza delle grandi creazioni. Non conoscere la musica è brutto come non avere da mangiare. C'è un rapporto fondamentale tra arte (o artigianato) e criminalità: più si ha dell'una, meno si ha dell'altra. Ma la musica dev'essere insegnata molto presto, nelle scuole e nelle prigioni, gradualmente, ma non ci si può aspettare che un organo suonato in Parlamento influenzi il comportamento dei politici. Bisogna riconoscere che ogni cosa di questo mondo dipende da tutto il resto, oggi più che mai. La malattia della mucca pazza era immorale fin dal principio: se si dà da mangiare agli erbivori proteine animali, si disubbidisce agli ordini divini e si fa una cosa criminale. La maggior parte delle cose oggi sono in termini di monocultura esagerata come quando si costringono certe isole a coltivare soltanto canna da zucchero o tabacco: il fatto è che rispondono a una monocultura mentale in cui il denaro è l'unico valore della vita. Abbiamo monoculture dell'odio, monoculture della vendetta, della frustrazione, della malattia mentale». Si considera un artista impegnato? A un certo punto della sua vita ha forse sentito che fare musica non era abbastanza per lei? «Non è una questione di consapevolezza sociale. Quando suoni il violino e dipendi da una canzone per raggiungere i cuori degli altri, è automatico, sei in comunicazione con tutti gli altri. E' la musica che mi ha portato in molte parti del mondo la cui cultura posso capire con l'esperienza diretta e il contatto personale. La musica è meglio delle parole, perché è un continuo mentre le parole si interrompono. La gioia del cantare e del ballare ti fa imparare questi elementi della natura umana, e allora puoi crescere filosofo o scienziato. Ma oggi i giovani, anziché tirar fuori le im- magini dalla loro fantasia e memoria, le mutuano bell'e fatte dalla televisione: come fai ad aspettarti un risultato diverso dalla criminalità? Bisogna invece che siano allevati a sentire il dolore che causano agli altri, siano essi vecchi o giovani, zingari o ebrei». La sua è davvero un'utopia dell'educazione. Ne ha altre? «Vorrei che rispettassimo tutto ciò che è vivo. E' un concetto animista: io credo che tutto sia abitato da Dio. Non credo che Dio sia fuori di noi: è dentro di noi. Prendi la prima cellula umana che produciamo: è posseduta dall'immanente, cioè dall'immediato, e dall'eterno. Allo stesso modo noi e il nostro spirito siamo posseduti daU'mfinito e dall'eternità, e qui entra in gioco la fede. Ma non siamo fatti per essere distrutti il momento dopo». Il suo ebraismo è diventato più eclettico a contatto con altre fedi? Hitler, re: voleva uo lavoro» «Credo che la base sia sempre l'antico fondamento ebraico dell'unità monoteista. Gesù ci ha costruito sopra e Einstein ha trovato la stessa sensazione dell'unità nel rapporto tra la luce e la materia. Tutte le cose si appartengono a vicenda, Perciò ciascuno di noi è parte del tutto, ha in sé una parte di infinito e di sopravvivenza immediata. Questi sono sentimenti fondamentali di fede e convinzione che potrebbero unire tutte le religioni». Lei è un cosmopolita della musica, le piacciono i Beatles e il jazz, ma ce l'ha con quel genere «da supermercato» che, lei dice, <ananipola menti vuote». «Quella musica è un abuso. Non mi piace essere trattato come qualcuno che non sa quello che vuole: se vado al ristorante, scelgo quelo che mi piace. E quindi voglio potermi scegliere la mia musica. Se sono triste, non voglio sentire quella ridicola musica da ballo negli uffici, così come non voglio vedere film di combattimenti aerei quando volo. Però mi piacciono gli esperimenti: la musica elettronica e la collage music, per non parlare della musica tradizionale africana, sudamericana, indiana o cinese. Non si può tenere la cultura in prigione: il meticciato di diverse culture è vitale e il nazionalismo è una tale maledizione. Ecco perché quando le nazioni vanno verso sviluppi come quello nazista o come quello di Le Pen in Francia, scoppiano le guerre». Lei è un uomo di alti princìpi. Invece Furtwaengler ricorda un po' il «Mephisto» cinematografico di Szabó: il grande artista che trova comodo separare arte e politica nella Germania nazista. Che cosa trovava mai in lui, oltre al grande musicista? «Se gli Stati Uniti diventassero un Paese fascista, non vi metterei più piede. Ma considererei ciò un atto di vigliaccheria, perché il mio dovere sarebbe quello di restare e aiutare quanta più gente possibile. Furtwaengler era un grand'uomo, un grande musicista e un tedesco nobile, che è restato finché ha potuto salvando i musicisti della sua orchestra. Non c'era traccia di opportunismo in lui. Non è mai stato membro del partito nazista. Karajan invece lo è stato, due volte, ma neppure lui si può accusare: è rimasto perché voleva fare musica, tutto qui. Oistrakh non è mai stato un membro del partito comunista, e gli volevo un gran bene. Non è affar nostro giudicare gli altri e in ogni caso chi cerca di rendersi superiore perché ha fatto un'altra scelta è semplicemente un essere umano stupido». A proposito di grandi uomini: lei ha praticato lo yoga con Nehru, il padre dell'India moderna. «Lo era davvero, un grand'uomo. Tutti i primi leader delle nazioni, Gandhi, Nehru, Weizmann, sono sempre persone di prim'ordine. E' quando devono essere eletti in seguito che diventano scadenti». Maria Chiara Bona zzi «Dobbiamo portare i bambini a cantare e ballare al suono di altre tradizioni: così costruiremo una società affettuosa e armoniosa» «I nazisti ascoltavano solo le marce militari: questo non li ha certo distolti dal loro senso di superiorità» «Karajan è rimasto con Hitler, ma non lo si può accusare: voleva soltanto continuare il suo lavoro» e : o ' e o n o e a a a a : o a d ), il o a e ie o i i iraa a ni a n o o ni e n a n, ero ni oa lle mal no nla la e oen- Yehudi Menuhin. A destra varie espressioni del maestro M7tennpsMlprfzsrnmrtzcls«cll«I nazisti ascoltmilitari: questodistolti dal loroIn alto a destra, Nehru, padre dell'India moderna Yehudi Menuhin. A destra varie espressioni del maestro In alto a destra, Nehru, padre dell'India moderna