«Arafat amore e politica» di Foto Reuter
«Mi sono convertita all'Islam e leggo il Corano ma spesso vado in chiesa» DOCUMENTO La cronaca di sette anni a fianco del leader sullo sfondo del Medio Oriente in fiamme «Arafat, amore e poSitica» L'appassionata autobiografia di Suha UNA DONNA RACCONTA ESSER chiesta in sposa da Yasser Arafat, l'uomo che ai miei occhi incarnava la speranza dei palestinesi... Mi girava la testa. Risposi: «Sì, d'accordo. Sì, credo di amarti anch'io». Ma lui aggiunse subito: «Suha, bisogna però che tu lo sappia prima che la cosa vada troppo avanti: il nostro matrimonio dovrà rimanere segreto. E' una condizione indispensabile, e per te qualche volta potrà essere difficile accettarlo, ma so che sei forte e coraggiosa. Un matrimonio segreto». «E i miei?» chiesi. «Non preoccuparti, ogni cosa a suo tempo. Per il momento dobbiamo mantenere fra noi questo grande segreto. La situazione attuale è delicata: con l'Intifada, 0 nostro popolo non capirebbe che io pensi al matrimonio». Avevo risposto di sì senza pensare alle conseguenze né alla difficoltà di continuare a recitare la parte dell'assistente essendo sua moglie, soprattutto nell'ambiente tanto particolare della diaspora palestinese, con la sua grandezza, le sue critiche e, a volte, le sue bassezze... Accettai il matrimonio segreto, ma per la verità non sapevo che sarebbe stato così difficile. Amavo Arafat e anche lui mi amava, ma non potevamo vivere apertamente il nostro amore. Mi trovai esposta a tutte le critiche, a tutte le ironie, mai espresse davanti a me o a mio marito, ovviamente, ma percepivo intorno a me l'ipocrisia, le voci che correvano, i sottintesi e le gelosie. Con il tempo finii per abituarmici; per me contavano solo il lavoro che continuavo a svolgere e i momenti di intimità con Arafat. Per vivere al suo fianco ci vogliono una grande forza di carattere e anche molta energia. Bisogna veramente amare un uomo per sopportare di essere sua moglie, ma essere considerata solo la sua amante. Ho cercato di capire il perché di questo matrimonio segreto. Penso che Yasser fosse ossessionato dalla risposta che aveva dato un giorno a una giornalista e che era diventata il suo motto: «Ho sposato una donna che si chiama Palestina». Per lui il matrimonio era mia specie di tabù che rischiava di contaminare la sua immagine, un vero blocco psicologico. L'impegno e le responsabilità nei confronti dei palestinesi e dell'Olp lo mettevano in una situazione complessa, pensava di non avere diritto di sposarsi né di avere figli. Sapendo che animirava il generale de Gaulle, gli dicevo sempre: «Lui ha sposato la Francia durante la guerra, ma questo non gli ha impedito di avere una moglie e dei figli»... Continuava a non voler rivelare il nostro segreto e, siccome vedeva che soffrivo, mi diceva:. «Ci vuole pazienza, fatti coraggio». Il coraggio per lui è fontamentale: mai cedere alla disperazione, rialzarsi quando si tocca il fondo, questa è la sua vita e la sua forza di carattere, ma io, io non sono Arafat... Ci siamo sposati secondo il rito musulmano, benché io sia cristiana ortodossa; non è stato un ostacolo né per lui né per me. E' normale, quando si sposa un capo di Stato, adottare la religione del marito. Mi sono convertita all'Islam e leggo il Corano, ma questo non mi impedisce di andare in chiesa se ne ho voglia... Sono felice con un marito più vecchio di me. Ci sono uomini di trent'anni che sono già vecchi, con cui ci si annoia. La gioventù non è questione di età. Arafat è un uomo che ha avuto molte vite e, ogni volta, rinasce giovane. La questione dell'età non mi ha sfiorato neppure per un attimo... La vita è una lunga salite ripida, che bisogna affrontare senza negarsi le tappe ristoratrici, altrimenti non è possibile arrivare in cima soddisfatti e felici. Forse è proprio questo il segreto di Yasser Arafat. Continuavo i miei viaggi, tormentandomi a volte al pensiero che se il mio matrimonio fosse stato reso pubblico le cose sarebbero state diverse. Giravo per il mondo al suo fianco, sempre con la stessa frustrazione: non sopportavo più di essere disistimata. Mi sentivo soffocata da alcune delle persone a lui vicine: vedevo bene i loro futili giochi, quando cercavano di scendere dall'aereo prima di me per figurare nelle fotografie... Il viaggio in India nel '91 fu per me molto istruttivo. Arafat fu insignito del premio Nehru e io ebbi la fortuna di conoscere Madre Teresa di Calcutta. Che donna meravigliosa! Lasciando gli uomini ai loro impegni diplomatici, andai a visitare con lei i suoi orfanotrofi e i suoi centri di assistenza. La guardavo muoversi, così piccola, così minuta e così vecchia, ma piena di una forza e di un'energia... Parlava continuamente dei suoi progetti, della sua volontà di costruire, di continuare un'opera che pure sembrava titanica di fronte a tanta miseria. Mi diceva: «Bisogna fare il bene intorno a sé e si verrà sempre ricompensati. E' una ricompensa che non si riceve da nessuno, la si sente nascere in se stessi».... Le cose da fare sono molte, ogni giorno. Nell'attuale situazione politica posso dire, a titolo personale, che le cose non vanno molto bene. Bisogna spingere, andare avanti, altrimenti il processo di pace rischia di spegnersi. Oggi Arafat è l'unico a battersi, a voler continuare, a essere sempre pieno di entusiasmo. Il mio futuro, legato a questa terra, è adesso quello del mio bambino, un bambino concepito a Gaza, e mi preoccupa. Sarà il simbolo di un rinnovamento? Quale destino attende la creatura che porto in grembo? Sarà un bambino come tutti gli altri, condividerà le gioie e le pene della Palestina. Sono piena di speranza... Abbiamo già scelto il nome: se sarà un maschio si chiamerà Ammar, nome di battaglia di Arafat, e se sarà una femmina Zahwa, il nome della madre di Yasser, che in arabo significa «fiera». Voglio che questo bambino sia felice, che possa giocare in tutta libertà con gli altri e che il suo futuro non sia più un futuro di guerra e di sangue. Suha Arafat «Mi sono convertita all'Islam e leggo il Corano ma spesso vado in chiesa» Sarà a giorni in libreria (editore Sperling & Kupfer) «Nata in Palestina», scritto a quattro mani da Su ha Arafat e dal giornalista Gerard Sebag. Anticipiamo le pagine, in cui la first lady palestinese racconta la love story con l'uomo che ha coronato il sogno di dare una terra al suo popolo e i giorni difficili seguiti al ritorno a Gaza. Il leader palestinese Arafat e nella foto grande la moglie Suha con la figlia Zahwa nata dopo il ritorno della coppia a Gaza capitale del primo nucleo del futuro Stato palestinese [FOTO REUTER]
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