Chi ha paura dell'orchestra Rai?

polemica. Il maestro denuncia una «congiura» contro Torino: vittima di rivalità campanilistiche polemica. Il maestro denuncia una «congiura» contro Torino: vittima di rivalità campanilistiche Chi ha paura dell'orchestra Rai? Sinopoli: cresce bene, ha molti nemici L-il TORINO 7 ORCHESTRA Nazionale della Rai dà fastidio a quella della Scala. Non deve crescere, non deve diventare un'importante compagine musicale. E' una congiura? Un criminoso disegno anticulturale? L'accusa arriva da Giuseppe Sinopoli. L'erede della tradizione straussiana, direttore stabile della Staatskapelle di Dresda, ha diretto il complesso della Rai da mercoledì a ieri sera, all'Auditorium del Lingotto, due repliche trionfali della Nona sinfonia di Beethoven, ma soprattutto ha eseguito, mercoledì e sabato, la splendida e raffinatissima Donna senz'ombra di Richard Strauss. Un evento culturale, l'opera con cui la Filarmonica di Vienna e la Staatsoper hanno deciso di chiudere il millennio con un nuovo allestimento, diretto sempre da Sinopoli, nel dicembre 1999. Il Maestro non arriva a denunciare esplicitamente la congiura e il movente lo lascia sfumato. Ma ne individua con precisione i sintomi: «Due giornali nazionali hanno mandato i critici a Torino e poi, di fronte a un successo straordinario, venticinque minuti di applausi, o non hanno pubblicato la recensione o l'hanno relegata nelle pagine locali». Secondo lei perché, Maestro? «Sono cose che scattano quando ci si scontra con gli interessi campanilistici, quando gli orgogli e le vanità delle singole persone non tollerano che altri facciano. Con la chiusura delle Orchestre sinfoniche della Rai, il Nord Italia restava con l'orchestra della Scala e basta. Una situazione peggio che in Bengala. Ora, però, a Torino c'è la possibilità che un'orchestra lavorando sodo diventi competitiva». Intende dire che a Milano, alla Scala, al maestro Muti può dar fastidio la crescita artistica dell'orchestra di Torino? «Messa così mi sembra davvero troppo. Noto però che un evento come l'esecuzione di un'opera importantissima, portata in Italia l'ultima volta dieci anni fa da Sawallisch alla Scala, è stato censurato da due giornali nazionali». Che cos'è, si è sentito trascurato? «Al contrario. Non ho nessuna paranoia di questo genere. Penso che quanto è successo non abbia a che fare con la mia persona. La mia vita musicale si è svolta al di fuori dell'Italia. Oggi dirigo stabilmente alla Staatskapelle di Dresda, al Festival di Bayreuth e molto spesso la Filarmonica di Vienna. Non ho nessun obbligo per questo Paese che pure amo e dove si sta perpetrando un sistematico smantellamento culturale. Oggi le grandi orchestre sinfoniche in Italia sono rimaste poche, dopo la chiusura dei complessi Rai di Napoli, Roma e Milano. E sono Santa Cecilia, l'orchestra di Torino e la Filarmonica della Scala. Santa Cecilia è superprotet- ta. Torino invece si potrebbe chiudere con una seduta del consiglio di amministrazione». Perché tutto questo attaccamento a Torino, Maestro? «Non ho ragioni di debolezza nei confronti di questa orchestra. Semplicemente è un complesso che ha avuto la forza di uscire da una situazione martoriata e di chiedere aiuto a direttori importanti come Sawallisch, Giulini o me. Io ho addirittura rinunciato alla ripresa di Elettra alla Scala per venire qui per quasi quattro settimane e lavorare su Strauss. Basta qualche aggiustamento e può diventare un'orchestra di grande livello. Mi irrita che non se ne ri¬ conosca il valore. Io non sono uno che dirige le orchestre della provincia italiana. Dirigo i più importanti complessi del mondo e mi rendo ben conto quando un'orchestra sa o non sa suonare». Se sono così bravi, questi musicisti, perché non incide anche con loro? «Non lo escludo. Intanto abbiamo molti programmi comuni. Nel 1997 partirà un progetto Mahler: l'intero ciclo delle sinfonie da concludere in cinque anni e da portare anche a Roma e Napoli. Poi è in discussione una tournée all'estero. Lavorare con loro al Lingotto è stata una grande esperienza». Il Lingotto che molti apprezzano e qualche musicista discute. «Non è vero. A Torino c'è la più bella sala da concerti d'Italia. Una delle migliori. Ha un'ottima acustica. Sostengono che c'è una cattiva acustica quei direttori che non sanno disporre l'orchestra in maniera adeguata per questa sala». Lei prima parlava di smantellamento culturale in Italia: che cosa intende? «Basta guardare le televisioni e i giornali per capirlo. Non ci sono più spettacoli seri, non c'è più teatro di prosa, documentari, in tv. Si cerca sempre il colpaccio, la notizia, il cadavere per la strada. Vediamo scene ignobili. Un esempio? Le immagini patetiche che abbiamo avuto in tv con la Fenice di Venezia. L'opera sotto un tendone, ora, diventa un fatto di pubblicità e interesse. In realtà, un'opera sotto un tendone è cosa di pochissimo interesse. Non bisognerebbe parlarne. Ma siccome ciò stimola la curiosità morbosa e malata della gente, allora si fanno grandi servizi televisivi. Qualsiasi cosa vada in tv viene definita cultura, anche il calcio e l'avanspettacolo». E non è così? «No che non è così. Cultura ha un significato storico ben preciso, depositato. Lo squallore della tv italiana è irraggiungibile: una quantità infinita di programmi, partiti, urla, idiozie, esposizioni pubbliche di tragedie personali. Sante parole quelle di Umberto Eco quando ha scritto che la televisione fa spettacolo dando legittimità di parola all'ultimo scemo del villaggio». Chi è responsabile di questa situazione? «Il livello bassissimo della scuola italiana. Il risultato è che abbiamo gente che non sa parlare, non sa scrivere, non sa vedere le differenze, e omologa tutto. Assistiamo al sopravvento del visuale sul concettuale, alla sopraffazione dell'immagine sul simbolo, sul concetto. Nessuno sa andare oltre l'immagine che vede. E questo appiattimento totale è rafforzato dai mass media». Sergio Trombetta «L'auditorium del Lingotto è tra i migliori d'Italia, i direttori che lo criticano non sanno disporre gli strumentisti» «Sono rimasti pochi complessi sinfonici Favoriti solo la Scala e Santa Cecilia» A sinistra Riccardo Muti, direttore della Scala. A destra l'auditorium del Lingotto a Torino Nella foto in alto Giuseppe Sinopoli, direttore stabile della Staatskapelle di Dresda