TOGNI la tigre d addio

Fra gli artisti e i ricordi di un mondo che muore: così si ritira una dinastia storica del circo Fra gli artisti e i ricordi di un mondo che muore: così si ritira una dinastia storica del circo la tigre d'addio BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Abbiamo aspettato che ci dicessero addio, seduti nell'ultima fila in alto, guardando i cavalli che se ne andavano via con il muso eretto. Un circo che chiude è un clown seduto sulla panca di legno, con le bretelle verdi e i capelli che sembran di stoppa. «Che cosa fa la Juve?», chiede. Vince. Sorride come fanno i clown, con gli occhi all'ingiù. Un circo che chiude forse lascia le note di una musica e una trapezista da guardare, con le gambe lunghe e affusolate e le scarpette rosse di Biancaneve. Una memoria di Fellini. Un pezzo di cuore. Eppure, tutto passò come se le luci dello spettacolo non si fossero più accese, semplicemente così, e il vecchio pagliaccio fosse rimasto lì nella penombra ad aspettarle ancora. La giacca nera e quelle scarpe rotonde aperte davanti come una scatola di tonno. I bambini aspettavano di ridere, in braccio alla mamma o nella fila vuota accanto al papà. Non è che un circo chiude così, salutando il suo pubblico. Un circo quando chiude è come se morisse dimenticato, è come un clown che finisce il suo numero senza che i bambini se ne accorgano. Tornerà di nuovo a farci ridere, pensano. Su uno spiazzo terroso come questo, appena orlato da scampoli di prato, alla Fiera Nord di Bologna, dentro a un tendone con la bandiera in cima, i fratelli Petriev scalpiteranno nella sabbia che circonda la rotonda dello spettacolo, con i loro costumi sgargianti e le facce tristi. Qui è venuto a morire il circo Darix Togni, ultimo spettacolo l'8 aprile. Gli altri due Togni che restano spegneranno le luci il 31 marzo a Messina e il 25 aprile a Firenze. E gli altri sono già spariti prima, quello di Cesare, quello di Oscar appena dieci giorni fa, quello di Leonida Casartelli, marito di Valy Togni. Poi, quando Corrado si sarà tolto la parrucca da clown e i fratelli Petriev si saranno vestiti come noi, il circo Togni non esisterà più, e anche tutto questo mondo, tutta questa vita. C'è una maschera con la sua divisa verde che gli balla sulle spalle. C'è la foto di Gerardo Togni sbranato da un leone, a Parigi, tanti anni fa. Morì. Anche se ci pare solo un'immagine della fantasia. La trapezista sale in alto prima di volare. Il circo Togni. Siamo venuti a vederlo per l'ultima volta, una domenica di cielo grigio. Benvenuti nel tempio, il giorno del funerale. La giraffa sta nel recinto affacciato sulla strada dove vanno i Tir con i rimorchi che ballonzolano. La cassetta rossa dei ricordi è piazzata sotto al bar, di fronte allo zucchero filato. I cavalli a dondolo. La carrozza di Ercole Togni, con il disegno di un violinista in posa da pugile, e le note verdi come la sua camicia. Un'altra carrozza: «Venite dalla maga. Elisir di lunga vita». I cammelli dietro al tendone. Un rinoceronte che forse dorme. E' un mondo di fiaba, un corteo di fantasmi che escono dall'Orlando furioso, che arrivano dal Medioevo. Quando si muove, questa carovana è lunga un chilometro di strada e ci vogliono pure mille metri di nave per tenerla tutta. Settanta artisti e centinaia di animali. «Qualcuno di loro forse verrà scritturato all'estero», dice Livio Togni. «Ma noi tutto questo siamo disposti a regalarlo allo Stato, se lo fa andare avanti così come abbiamo fatto noi. 0 la nostra bandiera resta alta o niente». C'è dal 1872, questa bandiera. Quando si unirono le compagnie erranti del circo Torinese e della famiglia Togni, che venivano dalla Francia, perché discendevano dai De Lagarenne, nobili francesi scappati alla rivoluzione e alla ghigliottina. Cominciarono come attori, vagando per l'Italia. Dalla comme¬ dia dell'arte al circo, in fondo è una storia comune. Una storia che non appartiene solo all'immaginario dei più piccoli. In giro per il mondo, attraverso i mari e gli oceani. A Venezia, quando portarono per la prima volta gli elefanti e dovettero aspettare la bassa marea per farli passare sotto i ponti. Nonno Ercole, 1920. Ci furono anche le disgra¬ zie, due grandi incendi, nel '53 e nel '62, e «morì Checco nelle fiamme», racconta Livio Togni, «un bagonghi della nostra casa che aveva sempre vissuto con noi». Storie dei Togni. Oggi vivono di poco pubblico e delle sovvenzioni statali, «che equivalgono a dieci giorni di spese», come dice Livio. «Perché la nostra vita costa 14 mi- lioni al giorno». Il mantenimento degli animali, il costo del personale, le luci, le tasse, le affissioni, lo smaltimento dei rifiuti, lo smaltimento del letame: è una città il circo. «Vorremmo che il ministero, il governo, le autorità comunali gestissero in maniera diversa il nostro problema: perché noi siamo cultura. Noi siamo il primo spetta- colo che i bambini di tutto il mondo vedono dal vivo. Vorremmo che chi deve facesse delle scelte: che distinguessero fra i circhi importanti e quelli no, ci dessero piazze più centrali e non ci costringessero ad accamparci qui accanto agli zingari. Rispettassero la nostra dignità, la nostra bandiera». Per questo chiudiamo, dice. Per questo muore il mondo fantasioso dei pagliacci e dei trapezisti, dei giocolieri e dei domatori, delle tigri e dei cavalli. «E non siamo i soli. Il circo Rinaldo Orfei ha chiuso definitivamente. Le società di Nando e Moira Orfei sono fallite e le loro carovane chissà come sopravvivono». Sotto il tendone, il pagliaccio con la giacca nera ha finito di far ridere. Livio Togni ha il vestito del domatore, pizzi bianchi sulla camicia nera, il cappellino e gli stivali. Come una vecchia fotografia. Gli orchi e le donne cannone. Chissà perché la memoria è una fantasia che svanisce. Lui dice: «La nostra attività non è più una resa commerciale, e noi lo sappiamo bene. E' una missione che dobbiamo portare avanti, perché i nostri fantasmi ce lo impongono, i nostri vecchi ce lo chiedono». Ecco come chiude un circo. Lasciando i fantasmi dietro di noi, portandoli via dal tendone con il vessillo in cima. Non salutano nemmeno. Non c'è più tempo. Pierangelo Sapegno Cimeli e glorie di un'arte sconfitta dai tempi e dalla burocrazia // saluto di clown e domatori, gli animali aspettano scritture dall'estero Nelle foto sopra: Teresa De Bianchi e Aristide Togni, i capostipiti della dinastia circense. Sotto: un manifesto di Cesare Togni La tigre e il domatore, un classico del circo Togni

Luoghi citati: Bologna, Firenze, Francia, Italia, Messina, Parigi, Venezia