IL PALAZZO «Un inviato a tavola affilando i coltelli» di Filippo Ceccarelli

E Bertinotti «esclude» Pini IL PALAZZO Un invito a tavola affilando i coltelli |i pronto in ta■ A vola, si mangia. Ma chi cena con chi? Apparentemente innocuo, se non frivolo, ma in realtà sintomatico di qualcosa di assai profondo, svolazza da un paio di settimane sulla campagna elettorale l'interrogativo del Maurizio Costanzo show: scusi, chiede soave il conduttore al leader di turno, ma lei con chi preferirebbe andare a cena? E fa due nomi. Di solito il politico dapprima si schermisce, però poi non solo deve scegliere, ma anche spiegare il perché. Il campionario delle risposte fin qui offerte dai protagonisti, bisogna pur dire in via preliminare, non rifulge né per fantasia, né, forse, per sincerità. Il massimo dell'intrattenimento l'ha fornito Prodi dichiarando la sua predilezione per D'Alema, che pare sia un buon cuoco, mentre a lui «piace fare la spesa». Fini se l'è cavata con piatta essenzialità: meglio Casini di Dini, meglio Pannella di Casini e meglio D'Alema di Prodi. Tra Dini e De Mita, Veltroni ha cercato di fare l.p spiritoso: «Ma non sarebbe disponibile Claudia Schiffer?». In ogni caso: Dini sì, De Mita no. Infine è toccato a Berlusconi (che pareva preparato). Dini o D'Alema? gli ha chiesto Costanzo. «Resterei digiuno» è suonata la replica del Cavaliere. Anche se poi un breakfast con il segretario del pds sarebbe pure disposto a concederselo. Eppure, fatte salve le banalità, l'impressione è che il gioco del commensale renda meglio di qualsiasi altro quiz il grado estremo di semplificazione a cui sembra stia adattandosi quel che un tempo andava sotto il nome di «politica». Perché pure al di là dell'aspetto cerimoniale, mangiare insieme, quindi dividersi il cibo e anche preoccuparsi che tale spartizione avvenga secondo criteri di equilibrio e perfino di giustizia rimanda senz'altro ai primordi della vita sociale, a un'era remotissima nella quale gli uomini cominciarono a sperimen| tare il pasto in comune, cesI sando probabilmente di di¬ vorarsi l'un l'altro. Di questa ancestrale forma di convivenza, di questa reciproca garanzia primaria che rispunta fuori proprio in questi giorni sotto il velo quasi capriccioso dell'invito a cena, restano in tavola, a simbolico suggello, strumenti tutt'altro che inoffensivi quali i denti e i coltelli. Ora, se pure appare impensabile che al ristorante Fini azzanni Veltroni, o che Prodi infilzi Lambertow con l'obiettivo di un fiero pasto, c'è qualche ragione di ritenere che il quesito di Costanzo arrivi al cuore di un processo in cui i vari leader, dopo il big bang delle antiche consuetudini, sono in qualche modo costretti a ripensare nuovi codici di. coesistenza e compatibilità. Dopotutto, il centrosinistra fu gioiosamente varato da Moro, Nenni, Saragat e La Malfa nella trattoria di «Giggetto il Pescatore». Mentre al contrario, tra i più sinistri e spaventosi banchetti della Prima Repubblica, si può senz'altro annoverare quell'ultima cena alla Famija Piemonteisa nella quale, secondo la magistratura inquirente, si ritrovarono allo stesso tavolo i mandanti e la vittima dell'omicidio Pecorelli. Gli annali della vita pubblica propongono infiniti e anche comici spunti di rivelatoria convivialità: dall'usanza craxiana di fare la scarpetta nei piatti altrui, al party caprese di De Lorenzo, tragicamente conclusosi con una dissenteria di massa. Gli attuali protagonisti appaiono più cauti. Chissà se si rendono conto che proprio mangiando insieme - senza facili ironie - finiscono per propalare inconfessabili alleanze e nuove sospirate legittimazioni. Filippo Ceccarelli sili |