YEHOSHUA DA ISRAELE NON SI DIVORZIA di Giovanni Tesio

Appena usciti Appena usciti A cura di Franco Contorbia Eugenio Montale Immagini di una vita Mondadori, pp. 326, L 65.000 Ritorna, mentre è in corso a Genova la mostra «Una dolcezza inquieta», il ritratto di Montale a cura di Franco Contorbia. Nel centenario della nascita, un'occasione per ripercorrere la vita di Eusebio (come il Nobel fu soprannominato). Città, libri, donne, riviste, giornali, amici e nemici: un fiotto di istantanee. In copertina, l'ormai classica foto di Mulas: il Nobel e l'Upupa, l'«ilare uccello calunniato dai poeti». L'introduzione è di Gianfranco Contini, il Maestro che curò l'edizione critica dell'Opera in versi per Einaudi. Robert McLiam Wilson Ripley Bogle Garzanti, pp. 379, L. 28.000 Un eroe randagio raccontato dal poco più che trentenne scrittore nativo di Belfast. Ripley Bogle, figlio di una prostituta irlandese e di un gallese alcolizzato, onora sino in fondo la vocazione della strada. Nei bassifondi di Londra, «interpreta» un irriverente week-end, come bersagli la politica, la cultura e la finanza. Traduzione di Enrico Palandri. Anna Banti Lavinia fuggita La Tartaruga, pp. 64, L 4000 Visita nel Settecento veneziano: Lavinia, maestra del coro delle orfane della Pietà, altera le partiture di Antonio Vivaldi. Il racconto di Anna Banti (l'autrice di Un grido lacerante) è fra i primi titoli della nuova collana di piccoli tascabili La Tartaruga. Sono finora usciti (identico il prezzo) Come si legge un libro (Virginia Woolf), La carta gialla (C. Perkins Gilman), Hotel Bella Vista (Colette), Gli uccelli (Daphne du Maurier), Acque infide (Jean Rhys). Tiziano Scarpa Occhi sulla graticola Einaudi, pp. li4,1. 18.000 Veneziano, l'autore (all'esordio nella narrativa) imbastisce un teatrino di figure bislacche. Chi sta preparando una tesi sulle brutte figure in Dostoevskij. Chi campa producendo liquido seminale come cosmetico per la padrona di casa. Chi (una donna) sbarca il lunario disegnando fumetti porno. Ovvero - come recita il sottotitolo - «breve saggio sulla penultima storia d'amore vissuta dalla donna alla quale desidererei unirmi in duraturo vincolo affettivo». Alfredo Panzini Il romanzo della guerra nell'anno (914 Edizioni La Vita Felice pp. 126. L 16.000 Quasi un diario dello scrittore-professore, vissuto tra il 1863 e il 1939. Pagine che raccontano il periodo compreso fra il 30 giugno e il 14 novembre 1914, con l'Italia ancora indecisa se entrare in guerra. Ma il pacifista Panzini «sente» quale sarà la scelta: «Ormai non si tratta più di cultura, ma di mortai». Presentazione di Gilberto Finzi. Maria Pia Bonanate Il Vangelo secondo una donna Paoline, pp. 266, L 24.000 Il Vangelo di Luca al femminile. Ne sono protagoniste due donne. L'una vissuta duemila anni fa, Myriam, seguì Gesù fino al Calvario. L'altra, radicata nell'oggi, alla luce del Cristo cerca di «intendere» questo fine millennio. Maria Pia Bonanate, che ha fra l'altro legato il suo nome a Suore (Rizzoli), da cui Dino Risi ha tratto un film, è vicedirettore del settimanale II nostro tempo. IL TRENO DI BARICCO SU BINARI DI SETA Uno spettatore della vita alla ricerca della verità IN genere quando leggo un romanzo (o qualsiasi altro genere di scrittura) ho l'abitudine di indicare con un segno a matita i passi, frasi o parole che per una ragione o l'altra hanno fermato la mia attenzione. Poi a lettura finita il più delle volte scopro che quelle sottolineature sono altrettante tappe nella formazione di un giudizio che a libro chiuso raccolgo in una unità. Ora che cosa ho sottolineato in Seta di Baricco? Vediamolo in ordine di pagina. Pag. 10: «Era uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria ogni ambizione di viverla». Pag. 41 : «Trovò Baldabiou da Verdun, al biliardo. Giocava sempre da solo, contro se stesso. Partite strane, il sano contro il monco, le chiamava. Faceva un colpo normalmente, e quello dopo con una mano sola. Il giorno che vincerà il monco - diceva me ne andrò da questa città. Da anni il monco perdeva». Pag. 53: «Tanto a qualcuno la dovrai raccontare, prima o poi, la verità». «Lo disse piano, con fatica, perché non credeva, mai, che la verità servisse a qualcosa». Pag. 61 : «Una volta ho conosciuto uno che si era fatto costruire una ferrovia tutta per lui; e il bello è che se l'era fatta fare tutta diritta, centinaia di chilometri senza una curva. C'era anche un perché ma non me lo ricordo. Non si ricordano mai i perché». Infine pag. 65: «Ascoltandolo, la gente di Lavilledieu imparava il mondo e i bambini scoprivano cos'era la meraviglia. Lui raccontava piano, guardando nell'aria cose che gli altri non vedevano». Che cosa posso ricavare da Alessandro Baricco, già autore di «Castelli di rabbia» e « Oceano mare» Tra Europa e Giappone, il viaggio di un compratore di bachi: un linguaggio asciutto e insieme stupefatto, veloce e secco, con qualche dolcificante cu troppo STp p queste sottolineature? Che cosa mi suggeriscono? Intanto mi accorgo che dicono tutte la stessa cosa o comunque sono costruite tutte secondo lo stesso schema: negano ciò che hanno appena affermato. Il protagonista anziché vivere la vita che pure ama, preferisce guardarla da lontano. Il deuteragonista anziché giocare per vincere, gioca per perdere. Ancora: il protagonista si accanisce nella ricerca della verità pur sapendo che la verità non serve a niente. Il deuteragonista non ricorda il perché di un evento incomprensibile di cui pure gli era stato spiegato il senso: ma non se ne dà per inteso, tanto i perché non si ricordano mai. Infine il protagonista, giunto alla fine della vita, mentre racconta ai bambini le tante avventure che ha vissuto, vede nell'aria ciò che non si può vedere. Dunque si tratta di tante tessere tutte uguali con le quali non riesco a costruire una figura: un senso circolare che mi restituisca l'arco delle intenzioni dell'autore. Il testo se ne sta fermo e, pur raccontando lt vita in fondo movimentata del signor Hervé Joncour - che per ben quattro volte compie il difficile (siamo nell'800) viaggio dalla Francia al Giappone - tiene l'orologio, sia stilistico (il colore e la temperatura del linguaggio) che psicologico (l'evoluzione dei personaggi) bloccato alla stessa ora. Eppure il protagonista vive avventure straordinarie: viaggia a cavallo, per mesi e mesi, attraverso i'Europa e l'Asia condotto dal motivo tutto pratico di acquistare bachi da seta. Motivo che tuttavia si rive¬ la un pretesto per scoprire nuovi costumi, nuovi volti, altri amori, nuovi desideri, nuove sofferenze, altri dolori, nuovi visioni, indimenticabili passioni. E allora? L'impressione del lettore è che il testo (peraltro brevissimo) proceda (e il solo modo che ha di camminare) snocciolando, uno dopo l'altro, tante vistose palline, anzi perline, tutte belle, anzi bellissime, dello stesso colore, di pasta raffinata, pure e senza ombre. Sono vistose palline anzi perle luminosissime, che comunicano piacevolezza e trasmettono fremiti al tatto. Ma da dove provengono? Si sa che il valore di una perla è il conoscerne l'origine. A soppesarle e rigirarle nelle mani non è facile venirne a capo. A momenti sembrano di estrazione calviniana situan- Esce da Einaudi un romanzo diYehoshuadcll'82 ALLO scopo di ufficializzare il proprio nuovo rapporto con una donna più giovane che oltretutto sta per dargli un bambino, un israeliano sessantaseienne di origine russa, da qualche anno emigrato in America, torna in patria per qualche giorno a procurarsi il divorzio dalla moglie internata in un ospedale psichiatrico; e così facendo rientra in contatto con i figli e le loro famiglie - disseminati fra Haifa e Tel Aviv nonché con il Paese che crede di essersi lasciato dietro per sempre. Naturalmente lo splendido romanzo di Yehoshua, datato 1982, è leggibile anche come una allegoria dell'impossibilità per un ebreo di scrollarsi di dosso il proprio retaggio, né c'è carenza di simboli a rinforzare continuamente tale messaggio subliminale: la peregrinazione di questo Yehudà dura nove giornate, coincidenti con una serie di festività culminanti con la Pasqua (la festa del «passaggio»); per assicurarsi il divorzio, lui laico è costretto da ultimo a sottoporsi a una cerimonia rabbinica; il finale, tragico e beffardo, contiene l'incontro con un folle che si chiama Mussa, ossia Mose in arabo. Tuttavia, proprio come accade nella vita, quella componente allegorica che darebbe un senso ad avvenimenti apparentemente slegati e casuali è nascosta lì per lì da continue sensazioni più prepotenti, legate al momento e alla corporalità, che questo scrittore è maestro neh"evocare, non solo sapori, odori, colori, rumori, ma anche stati d'animo meno analizzabili, disagio, incertezza, rancore, paura e via dicendo. Con autentico virtuosismo di narratore, Yehoshua affida la cronaca quasi sempre in di- YEHOSHUA: DA ISRAELE NON SI DIVORZIA retta delle nove fatidiche tappe ad altrettanti partecipanti, ciascuno dei quali parla in prima persona, cominciando con Gadi, il grassoccio, complessato ma non sciocco nipotino di Yehudà, rimasto in casa con questo nonno sconosciuto che dorme per smaltire il fuso orario e che si è scordato di portargli un regalo; e concludendo con Yehudà stesso, che alla fine del suo percorso invece di andare all'aeroporto e salire sull'aereo traccheggia fatalmente e finisce per disfare quello che aveva ottenuto. di qAll'interno di questa parentesi parlano e agiscono i vari membri della famiglia o ex famiglia di Yehudà, disintegrata anni prima, come viene fuori gradualmente, dalla crisi che portò la madre dove si trova attualmente, dopo un gesto violento contro il marito: sono tutte persone variamente inquiete e frustrate, una figlia aspirante scrittrice, umiliata dall'indifferenza del marito in fatto di sesso; un figlio docente di storia che tenta di razionalizzare il passato partendo dai moti libertari in Russia; un genero avvocato difensivamente sarcastico con tutti ma poi pateticamente ansioso di far bella figura con la difesa di un presunto omicida che evade per passare le feste con i suoi; un altro figlio oggetto della passione omoerotica di un bancario, una visita notturna del quale contiene uno dei grandi pezzi di bravura del libro, affidata com'è soltanto alle battute rivolte da questi all'amico e, dopo, al padre di costui, con omissione delle loro risposte. Sullo sfondo dell'affannarsi di questi personaggi alle prese con i problemi quotidiani legati ai soldi, alla carriera, ai bambini (ma il loro affrontarli nevroticamente è spia di una inquietudine più profonda), c'è il moderno e già un po' sgangherato Stato di Israele, coi suoi autobus che corrono nella notte, i suoi taxi dai conducenti chiacchieroni, il suo sapore di «falafel» secco e di crauti untuosi, e la sua popolazione araba fornitrice di manodopera a basso prezzo, disprezzata dai colonizzatori non senza un sottofondo di disagio. Tutti danno la sensazione di vivere in una continua tensione che un nonnulla rischia sempre di far scattare, con la sola eccezione della squilibrata, la cui reclusione nel manicomio è vissuta con ammirevole calma e serenità. dosi all'incirca intorno a «Le città invisibili». O forse, proseguendo in questa ispirazione, potremmo ipotizzare che rappresentino un prelievo dai settecentisti francesi magari dalle parti delle Lettere Persiane (ovviamente a viaggi e testimonianze rovesciati). Ci indurrebbe in questo sospetto il linguaggio asciutto e insieme stupefatto, veloce e secco, argomentante e emotivo. Ma qui ci fermiamo. Infatti Baricco se riesce a tenere meravigliosamente a bada il linguaggio, impedendogli di tracimare, non resiste alla tentazione di cospargerlo di additivi adescanti (e seduttivi). Fatto sta che quel linguaggio si offre al lettore con un di più di piacevolezza, facendo sospettare da parte dell'autore l'uso di dolcificanti non proprio consentiti. In altre parole il sospetto è che Baricco incorra in un eccesso di manipolazione, indulgendo ad una confezione di modello alto-classico (alla maniera di più di un autore adelphiano di recente memoria). Ma è solo un sospetto al quale sono pronto a rinunciare quando leggo queste parole di Baricco: «Quando non hai un nome per dire le cose, allora usi le storie. Funziona così. Da secoli». E allora perché non credere che Seta, come tutti i grandi libri, e con la sua irriducibilità a un senso troppo definito, sia stato scritto per dire ciò che non si può dire? Angelo Guglielmi Alessandro Baricco Seta Rizzoli pp. I00.L 18.000 Masolino d'Amico Abraham B. Yehoshua Un divorzio tardivo trad. Gaio Sciloni Einaudi, pp. 366, L 36.000 '<-, tsdw< ALLO SPECCHIO DI VERONESI «Live», il mondo in diretta SANDRO Veronesi è uno che le cose le va a vedere. Forse come reporter si narra troppo, forse come scrittore civetta un po'. Ma non si può dire che non ce la metta tutta per darci cose viste di prima mano, e che non le sappia guardare con occhi puntuali. «Vedere è una scienza», sentenzia il geografo Paganel nel romanzo di Verne, I figli del capitano Grant. Veronesi fa però qualcosa di più che guardare con occhi puntuali. Ci mette una buona dose di ironia e di buona salute (ma ha smesso o non ha smesso di fumare?), sa cogliere il comico delle situazioni e lo sa esprimere con efficacia, sa raccontare la continua tragedia che rovina la faccia della terra, a dispetto delle apparenze più rassicuranti (sono i più volte citati Cani neri dello scrittore inglese Ian McEwan, immagine-simbolo del «male» che continua a scorrazzare per l'Europa anche dopo la grande svolta di Auschwitz). Ma sa anche dire - senza paura di cadere nella retorica - che la storia senza la leggenda è niente. i i Li ggTutto questo troviamo in Live, un libro di «ritratti», «sopralluoghi» e «collaudi», che è appena uscito presso Bompiani e che raccoglie articoli (uno solo è inedito) già pubblicati sull'Unità. Da Foscolo a Varela II libro tiene perché sa parlare di tante cose con passione e tante ne sa mescolare incrociando suggestioni che vengono dal mondo della letteratura come dal mondo della tecnica, da Ugo Foscolo a Nicholson Baker, dalla realtà-realtà di un'asceta della tv satellitare alla realtà virtuale di uno schianto aereo su una pista dell'aeroporto di New York, dalla memoria pro¬ ditoria di un mito come Obdulio Jacinto Varela, il capitano della nazionale uruguayana (i raffinati dicono uruguagia) che nel 1950 «sbancò il Maracanà soffiando la coppa Rimet al Brasile di Zizinho». Senza contare che i «sopralluoghi» su Belgrado o sulla cittadina carpatica di Vrsak possono trasformarsi in un'ottima chiave di lettura dei film di Kusturica, e specialmente di un Underground finalmente sottratto alle vacue ipoteche ideologiche. Una voce agra alla Bartali Veronesi può dirci di un nonno formidabilmente esperto nell'«arte di accontentarsi», e nello stesso tempo di un Sandro Mazzinghi che in una sua lingua antica e composita, «smerigliata da una voce agra alla Bartali», non si rassegna alla vergogna di un verdetto disonesto. Il suo mondo va dal piede di casa alla lontananza più remota. Viaggia da Torre del Lago, dove incontra i frammenti di un nome dimenticato come quello del jazzista Dean Benedetti - «sgangherata biografia degna di un romanzo di John Fante» - e attraverso passaggi imprevedibili, ivi compresi gli incontri mancati con la Madonna delle Pizzorne o con le voci di Videotel tentate nei sotterranei delle nuove abbazie telematiche, finisce per approdare alla simulazione di un orribile crash in MD 11. Nella diretta di Veronesi, così attenta ad esplorare il nuovo, ma a resistere contro l'invasione della stupidità e dell'identico, giornalismo e letteratura riescono a giocare una buona partita. Giovanni Tesio Sandro Veronesi Live Bompiani pp. 14 l,L. 20.000 li