CASINO' l'epica del vizio

Grandezza e sentimento nel bellissimo film di Scorsese Grandezza e sentimento nel bellissimo film di Scorsese CASINO l'epica del vizio CON una giacca rosa confetto, con scarpe e pantaloni bianchi da dandy tropicale, Robert De Niro monta su una Cadillac Eldorado dell'82: l'automobile esplode e fiammeggia, il corpo di lui viene proiettato in aria, sale, ricade, mentre la musica di Bach accompagna l'inizio della storia dell'ascesa e della caduta di Sam «Ace» (Asso) Rothstein, gangster ebreo, conquistatore di Las Vegas negli Anni Settanta e poi sconfitto da se stesso. Comincia così «Casinò», uno dei più bei film di Martin Scorsese, paragonato per grandezza e sentimento di fine a «Senso» di Visconti, interpretato da De Niro al suo meglio, da Joe Pesci, da una Sharon Stone-rivelazione candidata all'Oscar. Un addio a quella metafora d'America che è la capitale del gioco d'azzardo, metà documento, metà invenzione: per raccontare durante quasi tre ore i meccanismi d'arricchimento e il sistema di potere della mafia in un universo criminale vent'anni fa ancora ordinato, regolato, gerarchizzato, dai profitti industrializzati, espressione del Sogno Universale di fare soldi senza lavorare; per dire l'impossibihtà dell'amore in una società imputridita dal danaro; per tornare su quel tema sotterraneo e perenne nell'opera di Scorsese che è l'autodistruzione. Las Vegas venne fondata negli Anni Quaranta da un altro gangster ebreo, Bugsy Siegel (Barry Levinson ha raccontato la sua vicenda in «Bugsy», 1991) che, finanziato dal boss Meyer Lansky, inaugurò nel 1946 il primo Casinò nel deserto del Nevada, il Flamingo: un insuccesso disastroso, destinato ad aprire la via a ricchezze immense. Frank «Lefty» Rosenthal, giocatore e delinquente, il personaggio vero del quale Nicholas Pileggi ha scritto la biografia (pubblicata in Italia da Rizzoli) da cui «Casinò» è tratto, ci arrivò nel 1971, inevitabilmente: «Per un giocatore, andare a Las Vegas era come per un cattolico andare a Roma»; ebbe grandi successi, «i miei Casinò, 4000 dipendenti, una mia rete televisiva, Nancy e Ronald Reagan come ospiti...»; adesso è vecchio, ha un ristorante a Boca Raton in Florida. Quando, nel film, il giocatore Robert De Niro ci arriva nel 1973, incaricato dalla mafia di Kansas City di gestire il Tangiers Hotel e Casinò, Las Vegas è un Eden della delinquenza: niente ostacoli della legalità; nel deserto si aprono fosse per seppellire clandestinamente gli avversari ammazzati; i soldi vengono rastrellati, contati, impaccati, stipati in borse, trasportati da fattorini (senza problemi, in aereo di linea) sino a retrobottega di panetterie del Kansas dove i vecchi boss impietriti diventano sempre più ricchi; ai bari vengono spezzate le dita, a martellate. Bravissimo, totalmente padrone di sé, apparentemente impermeabile a ogni emozione, De Niro raddoppia gli incassi, impone uno stile, conduce un ristorante alla moda sempre affollato di politici e di gente di spettacolo, rafforza i legami illeciti con amministratori e autorità di polizia locali. A perderlo sono la fiducia, l'amore, l'amicizia: i sentimenti. S'innamora dell'ex prostituta Sharon Stone, la sposa sapendo di non essere amato da lei, ne è tradito, la perdona, non riesce a impedirle di bere, fiutare cocaina, spendere migliaia di dollari, ricercare un ex protettoreamante, sentirsi infelice, odiarlo, volerlo morto. Prende con sé per amicizia Joe Pesci, compagno da sempre, killer nevrastenico, anarchico, quasi pazzo, e non sa evitare che quello s'abbandoni a brutalità e violenze estreme, inopportune. L'amata e l'amico compiono la devastazione psicologica e professionale di De Niro, rovinano i suoi rapporti coi padroni mafiosi, lo inducono a mosse sbagliate. Tutto va in pezzi, un grande massacro e molti arresti conclùdono la vicenda: Joe Pesci dopo essere stato costretto ad assistere all'uccisione del fratello viene ammazzato a bastonate, Sharon Stone muore, De Niro salta in aria ma si salva e tornerà dove aveva cominciato, al gioco dei cavalli. Un'epoca è finita. Finalmente Sharon Stone è davvero brava: «Desid .rava così tanto la parte, in pratica non è stata pagata», dice Scorsese. De Niro è eccellente. Joe Pesci è ripetitivo e manierato ma efficace. La visione dell'autore è più netta che in altri film, assolutamente priva d'ogni indulgenza e mitizzazione, d'ogni brivido sentimental-nostalgico. Lo stile di «Casinò» è d'un virtuosismo strepitoso: rapidità, esattezza, ritmo, umorismo, una costruzione impeccabile; il racconto proliferante, l'accumulazione delle immagini creano nella fotografia di Robert Richardson una fantasmagoria veloce, un vortice di luci e di soldi; i movimenti della macchina da presa sono febbrili, con effetti ottici, piccole dissolvenze, sovrapposizioni che moltiplicano i punti di vista; l'esplosione iniziale del film risulta significativa quanto l'esplosione finale di «Zabriskie Point» di Antonioni; l'uso delle voci narranti (sono diverse, variano a seconda dei differenti momenti) è assai abile; le scenografie di Dante Ferretti sono perfette. Ne esce l'immagine d'una società-spettacolo degradata dal cattivo gusto e dall'eccesso, un apologo sui soldi e sulla contraddizione insanabile tra potere e affetti, una tragedia che è anche il ritratto d'un tempo, d'una città, d'una cultura, forse simboleggiante ogni comunità efficiente, ricca e priva di valori, dunque nello stesso tempo arcaica e contemporanea. Ma, soprattutto, il risultato è un film appassionante, molto belio. Lietta Tornabuoni Deserto del Nevada, nel 1946 fti inaugurata la prima casa di gioco: il «Flamingo». Fu un tonfo disastroso destinato ad aprire la strada a ricchezze immense Sharon Stone una vera rivelazione nella parte dell'ex prostituta CASINO' di Martin Scorsese con Robert De Niro, Sharon Stone Joe Pesci, James Woods Lux (Torino); Cavour, Medlolanum (Milano); Ambassade, Arlston Atlantic, Broadway, Capito! Excelslor, Rouge et Nolr (Roma) «Casinò» con Robert De Niro e Sharon Stone. Sotto: Las Vegas