Buona morte Leary, in diretta con gli amici di Gabriele Romagnoli

Buona morte Leary, in diretta con gli amici Festa d'addio a Bologna in collegamento Internet dalla sua casa americana: l'agonia, ultimo viaggio Buona morte Leary, in diretta con gli amici «Il mio cancro è un biglietto aereo, merita di essere vissuto» BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Il dottor Leary dice che ogni giorno è un buon giorno per morire, ma che oggi sarebbe perfetto per farlo, perché è cominciata una nuova stagione sul pianeta. Si evolve la natura e allora dovrebbe farlo anche l'uomo: partire per un viaggio, uh qualunque viaggio, riscoprirsi pioniere e andare oltre una frontiera del possibile o dell'immaginabile. Caricarsi uno zaino di ricordi da accarezzare e desideri da realizzare e poi prendere la lunga, ventosa strada. Morire non pensando «è finito tutto», ma piuttosto «comincia qualcosa», andare a vedere, come giocatori al tavolo verde. Assicura il dottor Leary che morire con questo spirito, portandosi dentro un cancro come se fosse un biglietto aereo, è un'esperienza che vale la pena di essere vissuta. Più che dirlo lo scrive, giorno per giorno, aspettando di partire e affidando il diario di questa lunga vigilia alle pagine di Internet, dove c'è la sua casa, con la sua faccia che dà il benvenuto prima di mostrarti il salotto, la biblioteca con tutti i suoi scritti a tua disposizione, la camera dove lui muore e ti racconta come, perché tu possa condividere l'esperienza e farti sedurre dall'idea che l'ultima sofferenza su questo pianeta sia lo scrigno di una insospettata felicità. E allora, a uno così, a un uomo che ha passato la vita a evadere, prima dall'Università di Harvard per darsi alla psichedelia, poi da un carcere americano per fuggire in Algeria, quindi dal mondo per andare nel cyberspazio, ora dall'agonia per tracciare l'ultima via d'uscita, a uno còsi, a un «dead man dreaming», un morto che sogna, all'età di 76 anni, si può anche organizzare una festa di morte. L'hanno fatto a Bologna, all'interno della rassegna Starship, realizzata da un gruppo di «pensatori evolutivi» che si rifa alle dottrine psichedeliche degli Anni Sessanta, combinandole con filosofie orientali, tecnologie moderne e allegria esistenziale. Cerimonieri della festa: Fianco Berardi e Franco Bolelli. Al primo, che fu un leader del movimento studentesco nel '77, va riconosciuto che, mentre la maggior parte dei suoi compagni di strada è annegata nel gorgo di una semplice strofa di Vasco Rossi («però ricordo chi voleva un mondo meglio di così/ ma non mi dire che è proprio così, non mi dire che son quelli lì»), lui è ancora qui a elaborare utopie che ora chiama «derive febei». Del secondo, per rispetto della par condicio, bisogna dire che ha appena pubblicato un libro dal titolo Vota te stesso, aperto da una opportuna citazione di Tom Robbins: «La politica è fatta per chi ha qualche passione per cambiare la vita e nessuna passione per viverla». I partecipanti alla «festa di morte» sembrano condividere una salda passione per l'esistenza e negare che una stupida soglia come la morte possa spegnere questo fuoco. Su una parete della grande sala bianca continuano a scorrere le immagini cibernetiche della biblioteca del dottor Leary e le pagine del suo diario scorse al computer da Franco Berardi. Sulla parete opposta si proietta il volto di Jerry Garcia, leader dei Grateful Dead (Morti riconoscenti), scomparso l'anno scorso. Un altoparlante diffonde una canzone dei Rem che dice «è la fine del mondo come lo conosciamo e io mi sento bene». Il lama Labsong Dorje spiega come il buddhismo abbia superato l'idea occidentale della morte come episodio imbarazzante e descrive nei particolari cosa accade a un morente («dal cervello scende la goccia bianca, perché l'energia si dissolve e allora nella mente appare un cielo tutto bianco»). I cento giovani distesi su stuoie e cuscini ascoltano, leggono, annuiscono. Mandano messaggi telematici al dottor Leary. «Buon viaggio», mica condoglianze. Li guardi da vicino e ti accorgi che non sono giovani, sono ragazzi invecchiati. Sono i tuoi vecchi amici del liceo e qualche loro fratello maggiore. Sono fuori posto e fuori tempo come sempre. Per loro e per chiudere la festa d'arrivederci al dottor Leary, Neil Young graffia l'aria cantando: «La gente della mia età non fa le cose che faccio io/loro vanno in qualche direzione mentre io scappo via insieme con te». Gabriele Romagnoli Dalla frontiera psichedelica a quella tecnologica Distesi sulle stuoie ad ascoltare musica e inviargli messaggi

Luoghi citati: Algeria, Bologna