INTELLETTUALI la destra e il coraggio di Saverio Vertone

Da Pera a Vertone a Colletti, scelgono il Polo e fanno scandalo Da Pera a Vertone a Colletti, scelgono il Polo e fanno scandalo INTELLETTUAU La destra e il coraggio La prima volta fROMA OMPERE con l'establishment di sinistra vuol dire essere escluso dai circuiti dell'opinione». L'autore di questa sentenza apparsa in un suo articolo sul Foglio, Gianni Baget Bozzo, è come se avesse visto un drappello di uomini impavidi disposti a bruciare i ponti alle spalle, inimicarsi tutt'intero il temibile establishment, giocarsi il tutto per tutto - la buona reputazione e il conforto esistenziale, la sicurezza professionale e l'accesso nella buona società - pur di testimoniare le ragioni dell'antisinistra. La presentazione di un gruppo di illustri intellettuali nelle Uste del Polo - da Lucio Colletti a Vittorio Mathieu, da Saverio Vertone a Piero Melograni, da Marcello Pera a Giorgio Rebuffa, da Antonio Marzano a Renato Brunetta (quest'ultimo escluso nei tempi supplementari) - viene vista da Baget Bozzo come un atto di «coraggio», di rottura col passato. «Un fatto epocale», aveva detto Berlusconi nella conferenza stampa in cui è stato ufficializzato il costituirsi del «partito dei professori» nello schieramento del centro-destra. Un «fatto epocale» che segnerebbe una prima volta, lo spezzarsi di una continuità nelle consuetudini culturali dell'Italia. Una sfida al destino di «esclusione» che questa scelta comporterà, se ne dice certo Baget, per gli studiosi che ne sono protagonisti. Per la verità Baget Bozzo aggiunge un'analogia storica davvero sorprendente: «Visto il regime in cui viviamo, paragonerei l'uscita dei professori per il Polo al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce»..Un paragone forte, deliberatamente provocatorio che peraltro suggerisce al direttore del manifesto Valentino Parlato, interpellato dalla Stampa, una risposta sarcastica e dura: «A Baget Bozzo, che è genovese, mi permetto rispettosamente di ricordare un modo di dire della sua terra: sta confondendo il belìn con la marcia reale». E se si chiede a Parlato di spiegare la battuta in un'altra forma, lui accoglie l'invito così: «Molto semplice: gli intellettuali antifascisti rischiavano di esser cacciati dalle Università e dalle case editrici, mentre gli intellettuali berlusconiani corrono il rischio di diventare ministri. Ecco la differenza». Fatto sta che qualche nervo della cultura italiana deve esser stato colpito nella vicenda degli intellettuali che hanno detto sì al Polo. Angelo Panebianco, in un editoriale del Corriere della Sera, ha deplorato le «contumelie» che dalla stampa di sinistra sarebbero partite dopo l'annuncio delle candidature, spiegandole con l'irritazione per ciò che quella canditature rappresenterebbero: una rottura del «mo- nopolio culturale» della sinistra. Lo stesso Marcello Pera ha voluto interpretare il suo gesto come il rifiuto dell'antico «ricatto» secondo cui la «cultura o è di sinistra o non è». E in effetti da sinistra, sulle pagine dell'17nità e di Liberazione, non sono mancate le critiche e le bordate polemiche. Aveva cominciato Alberto Asor Rosa siili'Unità, deplorando con linguaggio d'antan «l'alleanza delle intelligenze per ributtare a mare un po' di proletariato in fregola di rappresentanze di potere». Rina Gagliardi su Liberazione, sulla falsariga di Asor Rosa, ha accusato gh intellettuali del Polo di prestarsi a operazioni «autoritarie». Il manifesto ha interpretato l'iniziativa come un'adunata di «ex craxiani» in cerca di casa politica. Infine è stata la volta prima di Corrado Augias e poi di Michele Serra che ha ironizzato sul «pool di sapienti» messo in campo da Berlusconi, sul «bouquet di intellettuali offerto dal miliardario ridens al suo elettorato, come ranuncoli all'amata». Su un terreno diverso si era svolta invece la critica di Claudio Magris che sul Corriere della Sera ha contestato ad alcuni degli intellettuali che si presentano col Polo (in particolare Colletti, Melograni e Vertone) l'appartenenza all'area degli ex comunisti i quali, perduta la fede, si spenderebbero in una nuova crociata contro la fede abbracciata in gioventù: «E' lecito cambiare idea, senza pretendere di cavalcare in testa al nuovo corteo, come si cavalcava un tempo alla testa di quello di segno opposto: se un vescovo perde la fede, possiamo ammirarlo per il coraggio con il quale rinuncia a ciò che è stato la sostanza e il sostegno della sua vita, ma lo ammireremmo meno se pretendesse di diventare presidente di una lega atea». «Ma¬ gris non ammette che chi è stato comunista possa non esserlo più, senza perdere i diritti civili», replica un editoriale non firmato del Foglio. E proprio sul quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, lo storico Dino Cofrancesco rivolge a Magris un interrogativo dì «ordine storico»: «Gh è mai capitato, nel mezzo secolo che ci divide dalla caduta del fascismo, di adoperare argomenti analoghi nei confronti di prestigiosi esponenti dell'intellighenzia liberale che passavano al pei o al psiup?». Una domanda che allude al fantasma che aleggia sulla discussione attorno al «coraggio» di cui avrebbero fatto mostra gli intellettuali che hanno scelto di aderire al Polo. Il fantasma dell'«egemonia culturale della sinistra». O, detto con espressione ancora più categorica da Baget Bozzo, lo spettro della «dittatura culturale» ancor oggi esercitata dalla sinistra sul «regime» italiano. Giorgio Bocca, ad esem- pio, non riconosce «alcun coraggio ad intellettuali che in realtà cercano un posto da deputato e nemmeno a un Baget Bozzo il cui percorso politico, dalla militanza con il cardinal Siri al craxismo al berlusconismo, è tutto sotto il segno della perversione politica». Ma lo stesso Bocca accusa quella che definisce la «mancanza di coraggio che in passato ha contraddistinto molti di questi intellettuali che si sono gettati nelle braccia di Berlusconi»: «Molti di loro facevano i conformisti di sinistra quando i comunisti stroncavano la mia biografia di Togliatti. Si credono i primi a combattere contro la cultura comunista: ma io, assieme al meglio della cultura azionista dei Bobbio, dei Mila e dei Venturi, è dal '45 che polemizzo con la cultura comunista, mentre loro stavano dall'altra parte». Il coraggio di oggi e il coraggio di ieri. In tutti e due i casi lo spettro della «cultura comunista» che avrebbe esercitato in Italia una funzione di censura sulla produzione culturale. «Quando nel 1974 - replica Lucio Colletti -, cercai di affrontare il tema del fallimento del marxismo e del fallimento di me marxista, il pei stava per raggiungere l'apice del consenso elettorale e della diffusione delle sue posizioni tra gli intellettuali. Questi ultimi si distinsero nel compito di impallinarmi come se fossero dei cecchini serbi». Si aprono squarci di «persecuzioni» passate, di ostracismi e di battaglie solitarie. Paradossalmente, è proprio da destra ad essere contestata, nella prima pagina del Secolo d'Italia con un articolo di Luciano Garibaldi diretto polemicamente contro un editoriale di Ernesto Galli della Loggia apparso sul Corriere detta Sera, l'immagine di una cultura «anti-sinistra» che negli Anni 70 avrebbe subito l'ostracismo dell'«opinione pubblica che contava». Per Garibaldi era perfettamente possibile vivere con «l'opinione pubblica che non contava» senza ricevere «incarichi, posti, prebende» elargiti dall'opinione «che contava». Resta però nell'articolo del Secolo l'immagine di una minoranza che «eroicamente» (ecco che torna l'archetipo del «coraggio») rifiutava le gratificazioni di un potere culturale tutto orientato sulla sinistra. «Ma quale coraggio - interlo¬ quisce Valentino Parlato -, non mi risulta che questi professori abbiano mai perduto una cattedra, o che siano stati rifiutati da qualche grande casa editrice». Sul Foglio si snocciolano gli esempi di un atteggiamento di permanente «scomunica» nei confronti degli intellettuali che non stanno a sinistra: dal caso dello scrittore Mario Vargas Llosa, di cui due anni fa fu chiesto l'allontanamento dalla giuria della Mostra del cinema perché «politicamente segnato», all'armamentario di «stile zdanoviano» che caratterizzerebbe la controffensiva della sinistra contro gli intellettuali che militano nel centro-destra. E si ricordano i. precedenti di Sergio Ricossa anatemizzato dalla cultura di sinistra negli Anni Settanta o quella che viene definita la «liquidazione di Ionesco», colpevole di aver avuto simpatia per la destra. Resta un'inalterata diffidenza tra due campi culturali che, a sette anni dal crollo del Muro, non si riconoscono reciprocamente dignità e legittimità. Perpetuando l'infinita polemica sul «coraggio degli intellettuali». Pierluigi Battista Gesto di rottura contro la cultura dominante? «Macché, continuano a essere conformisti» da Bocca a Parlato bordate polemiche Da Pera a Vertone a Colletti, scelgoGesto di rottura contro la cultura dominante? «Macché, continuano a essere conformisti» da Bocca a Parlato bordate polemiche Lucio CINTELLa desgli intellettuali che hdi aderire al Polo. dell'«egemonia culsinistra». O, detto sione ancora più cBaget Bozzo, lo s«dittatura culturaleesercitata dalla sinigime» itagio Bocc nte? Lucio Colletti e Saverio Vertone

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