«L'omicidio di Ligato fu ordinato dai boss»

L'ex presidente delle Fs ucciso: 5 ergastoli L'ex presidente delle Fs ucciso: 5 ergastoli «L'omicidio di Ligoto fu ordinato dai boss» I giudici: nessun delitto di Stato venne eliminato dalla 'ndrangheta REGGIO CALABRIA. Fu mafiosa la decisione; fu mafiosa la mano che, nell'estate di sette anni fa, a Reggio Calabria, pose fine alla vita di Lodovico Ligato. Queste le conclusioni della Corte d'assise reggina che ieri mattina ha condannato alla pena dell'ergastolo tre mafiosi come presunti mandanti e due «uomini d'onore» come carnefici dell'ex presidente delle Ferrovie dello Stato, ucciso nel cortile interno alla sua casa estiva, alla periferia di Reggio Calabria. Ci sono state anche due assoluzioni: riguardano Santo Areniti e Domenico Serraino. Entrambi erano accusati dell'omicidio quali mandanti. Quindi, nessun «delitto di Stato», nessuna dietrologia per un omicidio che fu e resta marchiato dalla logica della 'ndrangheta. I nomi dei presunti responsabili dell'omicidio (Pasquale Condello, Paolo Serraino e Diego Rosmini, presunti mandanti; Giuseppe Lombardo e Natale Rosmini, presunti esecutori) poco contano rispetto alla motivazione che mosse i sicari, armati di una micidiale Glock, una pistola di fabbricazione austriaca, arma preferita di uno dei gruppi di fuoco che si resero protagonisti della «guerra di mafia» che, a Reggio Calabria, fece centinaia di morti. Lodovico Ligato, esponente della parte più aggressiva della democrazia cristiana calabrese, fu eliminato perché - spazzato dai ruoli dei «gran commis» dallo scandalo delle lenzuola d'oro aveva deciso di rientrare a Reggio Calabria, per tornare ad occuparsi di politica ma soprattutto di affari. E di quelli grossi poiché, in quei mesi, sulla città dello Stretto stavano per piovere le centinaia di miliardi del «Decreto Reggio», un provvedimento dello Stato che avrebbe dovuto portare sollievo alla gravissima crisi economica Lodovico Ligat o della città e che invece aprì una faida tra le cosche della 'ndrangheta che lottarono, a colpi di fucile, pistola e mitra, ma anche di bazooka, per aggiudicarsene le fette più grosse. Ligato, che la forza elettorale aveva reso arrogante, era uscito ridimensionato dall'esperienza al vertice delle Ferrovie. Un'arroganza che l'aveva portato a dire a chi lo accusava di non poter essere il manager giusto per risollevare le sorti dell'Ente, che non gli mancavano certo le capacità, essendo lui «figlio di un ferroviere». Ma lo scandalo lo travolse, spingendolo a tornare in quella Reggio Calabria che ne aveva celebrato i fasti e che ne avrebbe segnato la fine. A Reggio Calabria Ligato poteva diventare, disse l'allora pubblico ministero Bruno Giordano, un masso che rischiava di ostruire il flusso dei finanziamenti. E questo ___ era inaccettabi¬ le per le cosche rivali a quella dei De Stefano, di cui egli - lo hanno ribadito i magistrati della Procura reggina - era referente politico. Per questo fu decisa la sua fine. La difesa dei sette imputati ha tentato ogni carta, giocando quella estrema: che a sparare erano stati killer incaricati di tappare la bocca a qualcuno che poteva parlare delle molte cose di cui era a conoscenza, di legami e «connection» spregiudicate, ben al di là di quanto consentito dalla legge. Niente di tutto questo. Un omicidio di mafia. Un omicidio come tanti nella Reggio della fine degli Anni Ottanta, dove si poteva morire per molto, molto di meno. Figurarsi per la montagna di denaro che avrebbe dovuto fare di Reggio Calabria una città finalmente diversa. Diego Minuti Lodovico Ligato

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