Il «modello veneto» sceglie An

Il «modello veneto» sceglie An Il «modello veneto» sceglie An Già roccaforte de e poi feudo leghista VERONA DAL NOSTRO INVIATO C'era una volta, nella prima Repubblica, qui nella Bassa veronese, ui Comune che faceva eccezione: invece di essere bianco, come tutti gli altri, era rosso, come se fosse in Emilia. Anche adesso, una sera di marzo fredda e deserta, Nogara fa eccezione: in municipio c'è ancora un sindaco «rosso» (pidiessino), ma qui al ristorante Europa (specialità risotto) c'è un salone stracolmo di gente seduta e in piedi, cappello in mano, giaccone slacciato, baffi asimmetrici, che sta attenta e composta davanti a due enormi manifesti da cui sorride rassicurante e ammiccante Gianfranco Fini. Il microfono ce l'ha in mano Sergio Berlato, neoassessore di An nella neogiunta regionale di destra, che con un'assenza di retorica insolita in un ex missino racconta a questo pubblico di agricoltori come stia provando a «scardinare» il sistema agricolo che per 40 anni ha mantenuto e perpetuato il sistema di potere de. Quel «modello veneto» che gli stereotipi consociativi della politica italiana contrapponevano al «modello emiliano» dei comunisti. Cosa racconta Berlato? Che fin dall'inizio, appena dopo aver vinto le elezioni, quando i vincitori si trovarono a dover mettere insieme la giunta e a dividersi gli assessorati, l'unico vero scoglio fu per l'appunto l'agricoltura: «Erano disposti a mollare su tutto, non sull'agricoltura». Loro di Alleanza nazionale, spiega, alla fine però riuscirono a spuntarla. E giorno dopo giorno Berlato riuscì finalmente a scoprire il perché di tanta resistenza. Il decantato modello veneto era in realtà un ferreo sistema di potere e di governo che usava il mondo della campagna per mantenere se stesso ben più che per sostenerlo. «Abbiamo incominciato a scoperchiare le pentole e ne sono venuti fuori miasmi soffocanti: miliardi e miliardi di contributi pagati dai contadini e usati per far sopravvivere enti, strutture e persone. Se almeno un po' dei soldi stanziati per l'agricoltura fossero arrivati davvero a chi lavora - dice Berlato - la nostra campagna sarebbe in grado di competere con quella di Francia e Germania. Invece no». Sullo sfondo di tutto questo c'è l'inchiesta del pm veneziano Carlo Nordio che si è concentrato sui miliardi svaniti nel nulla nella catena di fallimenti delle cooperative agricole rosse; ma che se mai deciderà di dedicarsi anche a quelle bianche, deve mettere in programmi* un bel po' di anni di lavoro. Un sistema di potere duro a morire, come racconta Berlato agli agricoltori di Nogara e che sopravvive anche tra i suoi alleati (il riferimento è a Forza Italia) che più di una volta - racconta lui - gli hanno detto: «Ma cosa stai a romperti i coglioni con queste cose... Calma». Berlato promette che non starà calmo e che l'opera di «derattizzazione» continuerà. Vedremo. Qui nel salone dell'hotel Europa l'onorevole Nicola Pasetto, colonnello di Fini nel mitico Nord-Est italiano, sprizza sicurezza e allegria, nonostante la camicia grigio nera che fa da contrappunto alla sua faccia simpatica. Ha 34 anni, venti di militanza nel partito di Fini, battaglie e provocazioni che ne fanno un militante tipico e totale della destra italiana, compresa la partecipazione alla rissa in Parlamento contro il verde Paissan che gli è costata cinque giorni di «espulsione» da parte del presidente Pivetti. Ride Pasetto perché il salone dell'Europa è strapieno («Fino a due anni fa non ci sarebbe verni- to nessuno») e perché gli hanno appena consegnalo i dati dell'ultimo sondaggio elettorale. A Verona An sarebbe il primo partito con il 24 per cento, seguito da Forza Italia (20) e dal pds (19). Un anno fa alle regionali vittoriose An prese il 12 per cento; nel '94 il 10. Prima che esistesse An, nella prima repubblica democristianoveneta, la destra non andava oltre il 5, con una caduta arrivata fino al baratro del 2,5. Insomma la tumultuosa rivolta del Nord-Est dovrebbe beneficiare Fini ben più di Berlusconi, che anche visti da qui appaiono al tempo stesso alleati e rivali. Pasetto racconta che qualche giorno fa s'è rischiata la rottura con Forza Italia che aveva proposto di ricandidare uno come Giorgio Carollo, un ex assessore regionale condannato a 9 mesi. An punta su quel mondo vasto, composito e in eruzione di artigiani, piccoli e medi imprenditori delusi dalla Lega (che sarebbe adesso al 15 per cento contro il 30 del '94), attratti dall'idea di secessione, ma ancora più da quella di dare una bastonata a uno Stato che si fa vivo soltanto attraverso la richiesta di tasse su tasse. Gli imprenditori veneti sono con noi, dice Pasetto. A Conegliano si candida Ettore Setten, delle cucine «Record»; a Treviso si è schierato con An Giorgio Panto, quello di infissi e finestre, anni fa sponsor dei primi spogliarelli in tivù, smanioso di politica al punto da aver persino fondato un suo partito. Poi l'euforia prende la mano a Pasetto quando annuncia che Giovanni Rana, quello dei tortellini fatti come una volta, avrebbe dichiarato che «solo Fini può salvare l'Italia». Peccato che Rana ce lo abbia smentito più tardi: «Non ho mai detto una cosa del genere». Il cavaliere vanta amicizia con Silvio Berlusconi e ragioni di marketing gli sconsigliano entusiasmi così radicali in politica. Insomma anche qui la radicata attitudine ad una democristianissima cautela sconsiglia dichiarazioni impegnative. Probabilmente molti voteranno davvero per Fini, ma per adesso nessuno lo dice. Prendiamo per esem- pio il caso di Vicenza, dove sabato 25 novembre s'è celebrato il più clamoroso successo del leader di An, invitato ad un memorabile duello dialettico con Massimo Cacciari di fronte a una spropositata platea di mille e duecento imprenditori. Renzo Belcaro, 54 anni, che si autodefinisce liberal-democratico, titolare della Silmet di Agugliaro (cento dipendenti, lavorazioni metalliche, clienti in Germania e Italia), presidente dei piccoli industriali vicentini, è stato l'organizzatore dell'avvenimento: «Volevamo capire cosa avrebbero detto Fini e Cacciari sulle questioni concrete che ci riguardano e cioè come pensano di liberarci da quel polipo burocratico e ossessivo che ci sta stritolando». Risultato? «Soddisfacente», In che senso? «Fini ha sposato in pieno la nostra posizione e cioè di federalismo nell'unità che è l'opposto di quello che da queste parti sta predicando la Lega che straparla di secessione e ha deluso un po' tutti, soprattutto per il suo comportamento in Parlamento. Però...» Qual è il però? «Che Fini è certamente un grande leader, ma abbiamo l'impressione che intorno a lui non ci siano molti in grado di governare bene. Qui in Veneto, per esempio, dalla giunta regionale per ora non abbiamo visto grandi cose. Siamo ancora nei pasticci». Come voteranno gli imprenditori di Belcaro? «Credo in maggioranza per Forza Italia, Lega e molti anche per An. Poi ci sono i democristiani incalliti. Per Prodi, invece, pochi perché non convince la sua filosofia fiscale». E lei presidente, come voterà? «Confesso che non lo so. Deciderò all'ultimo momento. Per la prima volta sono addirittura tentato di non votare perché ho paura che non serva a niente, Dovevano fare la riforma elettorale, e invece Berlusconi si è mosso troppo tardi e ho paura che il voto non risolva nulla». Il dilemma, sintetizza una elegante signora ad una colazione fra imprenditori al Due Torri, è questo: «Se vince Fini, fanno la rivoluzione; se vince D'Alema andiamo a puttane». Il tumultuoso Nord-Est ci sta pensando su. Cesare Martinetti L'assessore Berlato: «Miliardi e miliardi di contributi pagati dai contadini sono stati utilizzati solo per fare sopravvivere enti, strutture e loro dipendenti senza trarne alcun beneficio» E sullo sfondo c'è l'indagine di Nordio sui fallimenti a catena delle cooperative rosse LA SFIDA TRA I POLI ^ L'Arena di Verona In basso da sinistra Nicola Pasetto di An e l'imprenditore alimentare Giovanni Rana • •