Lamberto, il mattatore

Lamberto, il mattatore Lamberto, il mattatore L'esordio dei «sette» del centrosinistra TUTTI INSIEME VERSO LE URNE AROMA ricucire lo strappo con Lamberto Dini sul «caso Dotti», cioè sulla candidatura offerta dal presidente del Consiglio all'ex capogruppo di Forza Italia e bocciata da tutti i leader dell'Ulivo, ci ha pensato martedì mattina Massimo D'Alema. Il segretario del pds ha fatto capolino a Palazzo Chigi alle 11 del mattino e se ne è andato un'ora dopo. Sessanta minuti per rabbonire Lambertow dopo la figuraccia del giorno prima e per dissipare i dubbi, non pochi, che il capo del governo aveva sull'opportunità di una sua partecipazione alla conferenza stampa dei leader della coalizione di centro-sinistra in programma per il giorno dopo. Alla fine il segretario del pds l'ha spuntata, con un argomento ovvio quanto efficace: «Per vincere bisogna dare la fotografia di una coalizione imita». Ieri, cioè il grande giorno, dato che la prudenza non guasta mai, Romano Prodi, Massimo D'Alema, Walter Veltroni, Gerardo Bianco, Carlo Ripa di Meana e Antonio Maccanico, un'ora prima dell'incontro con la stampa si sono visti in una saletta dell'Hotel Jolly per evitare scollamenti e polemiche in diretta. Passo obbligato per non rinnovare quell'immagine di coalizione litigiosa che l'Ulivo ha dato non poche volte. e, con una ventina di minuti di ritardo, è arrivato anche Dini. Quattro chiacchiere per mettere insieme le cose da dire e per capire quelle che sarebbe stato meglio tacere e, soprattutto, per evitare brutte sorprese, frutto di quella competizione, di quella gara sotto traccia tra Romano Prodi e Lamberto Dini. e in quell'oretta passata da soli i sette, se «magnifici» o meno lo si vedrà dopo il 21 aprile, hanno deciso un po' tutto: il tempo degli interventi di ciascuno e le risposte da dare. Innanzitutto hanno convenuto che la conferenza stampa sarebbe stata aperta da Prodi, ma che subito dopo di lui avrebbe parlato il capo del governo. Il gruppetto ha immaginato anche le domande che sarebbero potute venire dai giornalisti: la proposta di detassazione dei Bot del Polo, la giustizia, la desistenza con Rifondazione e, naturalmente, la premiership. Sui buoni del Tesoro ha chiesto di parlare Prodi, ma anche Dini ha fatto presente di voler dire la sua. «Mi piacerebbe». A fine conferenza Ripa di Meana commenterà: «Anche questa volta è stato Dini il più efficace tra i due». Sulla giustizia sono state decise le repliche dure da rifilare a Mancuso. Mentre sul rapporto con Rifondazione, Prodi e Bianco hanno ribadito la loro posizione agli altri: «Bisogna dire che l'Ulivo non conta sui voti di Rifondazione, non li ritiene indispensabili». Un aiuto insperato è venuto da un giornalista dell' Unità, l'unico che si è accorto che il programma del Polo, in alcune sue parti, è uguale a quello dell'Ulivo. «Hanno copiato, hanno commesso un plagio», ha esultato Prodi. La cosa gli è piaciuta e in conferenza stampa ha ripetuto quelle frasi venti volte. Infine, la questione della premiership, cioè l'eterno dilemma su chi guiderà il governo. In quella stanza con un Dini volutamente silenzioso sull'argomento, si è deciso che sarebbe stato Prodi a dare questa risposta per tutti: «L'Ulivo ha un suo programma e un suo candidato per il governo. Per quanto riguarda la formazione della squadra e la composizione si vedrà dopo le elezioni». Quindi, almeno tra quelle quattro mura l'ha spuntata Prodi. Ma fuori, in conferenza stampa, come tradizione, Dini ha fatto di tutto per mantenere una posizione ambigua. Per l'occasione il presidente del Consiglio ha usato questa formulazione: «Il nostro obiettivo è vincere le elezioni. Una volta vinte le elezioni, vedremo quello che dovremo fare. Ho già detto che abbiamo messo insieme le migliori professionalità. Poi vedremo...». Il che, tradotto da Ripa di Meana, significa: «La corsa, la competizione tra i due per Palazzo Chigi rimane aperta». Così, gira che ti rigira, il problema del centro-sinistra rimane il dualismo tra il professore e il banchiere. e non è un problema da poco visto che condizionerà la campagan elettorale di entrambi. Se qualche settimana fa era in difficoltà Prodi che in qualche momento è andato di matto, adesso le parti si sono invertite tanto che Dini ieri ha lasciato da parte l'aplomb abituale per dare a Mancuso addirittura del «cane rabbioso». Ragione? Semplice, per il capo del governo farsi sentire, alzare i toni, in questo momento è vitale. Il mago di Dini, Piepoli, infatti, quan¬ do illustra i suoi sondaggi veri (quelli del secondo livello, come li chiama lui, perché quelli del primo servono solo a depistare gli avversari) descrive una situazione di parità tra i Poli, ma con la formazione del capo del governo in discesa. e i problemi del banchiere, manco a dirlo, sono spifferati ai quattro venti da chi nell'Ulivo è dalla parte del professore: «Si sta sgonfiando confida Sergio Mattarella, popolare fedelissimo di Prodi -: Dini era partito fortissimo, ma poi ha fatto degli errori. Non parliamo del caso Dotti. e' il solito dilettantismo. Inoltre non bisogna confondere la popolarità con il consenso». Quindi si può star sicuri, gli «alti» e «bassi» dei due candidati premier e le conseguenti polemiche sotterranee tra i due Centri dell'Ulivo, saranno un «leitmotiv» dell'intera campagna elettorale. Come rimarrà quell'atmosfera di sospetto che ha condizionato finora i rapporti tra Prodi e Dini. e non si può dar certo torto al professore per questo. L'ultimo che ha dato retta al capo del governo, quel Giovanni Mongello, che è stato il suo sottosegretario al Tesoro nel governo Berlusconi, che se ne è andato dai ecd per seguirlo e che alla fine si è ritrovato senza un posto in lista, ancora ieri imprecava contro di lui nelle vie del centro di Roma: «Dini prima mi ha scippato l'idea del partito per darla alla moglie eppoi mi ha fatto fuori. Debbo ricredermi, davvero la Banca d'Italia non sbaglia mai! Ha fatto bene a non farlo governatore. Ha sbagliato tutto: doveva fare un partito popolare e, invece, ha fatto un partito di élite...». Augusto Minzolini Foto di gruppo per i leader dell'Ulivo Da sinistra: Vittorio Ripa di Meana, Walter Veltroni, Romano Prodi, Lamberto Dini Massimo D'Alema, Antonio Maccanico e Gerardo Bianco

Luoghi citati: Meana, Roma