La festa triste di Sarajevo unita

La festa triste di Sarajevo unita I musulmani che tornano tentano di riprendere la convivenza con i duemila serbi rimasti La festa triste di Sarajevo unita Ore 6, l'ultimo quartiere torna ai bosniaci REPORTAGE LE RUGHE DELLA PACE D SARAJEVO AL condominio di Petrovacka Ulica 478, una costruzione bianca e rossa sulla collina, Grbavica si vede tutta. Festa per strada e tapparelle chiuse, una fiumana di gente lungo il ponte, bandiere bosniache, nuove targhe stradali, scritte in cirillico tirate giù in fretta, molta diffidenza. Nel giorno della riunificazione l'ex roccaforte si mostra un po' meno spettrale. Sono venuti a migliaia per vedere come stavano «gli altri», se i loro appartamenti esistono ancora, come i serbi in fuga abbiano ridotto questo quartiere affacciato sul centro, un tempo simbolo di modernità. La polizia bosniaca ha varcato il ponte alle 6, poco dopo è toccato alla delegazione che in pompa magna ha fissato la nuova insegna sull'edificio del Comune. Al ponte distribuivano volantini con su scritto «Attenti alle mine», un poliziotto è già rimasto ferito. Il programma era di far passare solo chi aveva avuto casa da questa parte, 50 persone per volta, ma l'argine è saltato. E in questo condominio ha finito col raggrumarsi tutta la storia di queste ore. C'erano belle case, qui. Due mesi fa la famiglia di Biljana Popovsky, unica a parlare inglese in tutto il quartiere, mi aveva invitato per un caffè nell'appartamento sulla scala «A», secondo piano. Adesso dicono che Biljana è fuggita a Belgrado col suo ragazzo, ma i genitori ci sono ancora. E' la casa che è cambiata. «Perché starno rimasti? Non avremmo saputo dove andare; e poi non abbiamo nulla da rimproverarci. Abbiamo creduto alle vostre promesse: adesso speriamo che ci ternate al sicuro». Come può cambiare una casa. Milorad Popovsky, un pensionato di origine macedone con moglie serba, ha fatto accomodare gli ospiti nella stessa stanza di prima, ma adesso il luogo si è impoverito, scarnificato. Al posto del grande tavolo un tavolino basso, dov'erano quadri di qualche pregio povere stampe, mancano i mobili, non ci sono più stereo né tappeti. «Biljana ha portato tutto con sé, così adesso non c'è più nulla che abbia valore». Perché, temete che vengano a rapinarvi? «Speriamo di no: ma qui accanto, stamani...». Accanto, nell'appartamento al primo piano, abita da sola Lazarina Mimsilo, psicologa serba sulla sessantina. «Anche mia figlia Jelena è partita, la notte scorsa avevo spostato un mobile sulla porta. Ma stamani, verso le 11, ho sentito qualcuno che tentava di forzare l'ingresso con grossi ferri. Ho gridato, quelli mi hanno lanciato qualche insulto e se ne sono andati, ma senza fretta. Erano quattro o cinque, una gang di ragazzetti...». Sono ancora intorno al palazzo, quei ragazzotti: uno, giubbetto bicolore, capelli tinti di bion- do, sembra il capo. Si atteggia a curioso, soprattutto quando vedono avvicinarsi un blindato dei bersaglieri italiani. Ma non se ne vanno. C'è una parte della Sarajevo musulmana, estremista o semplicemente criminale, che già pensa a cosa potrà prendere ai mille, forse duemila «nemici» rimasti qua. Dragomir Krizic è un ragazzo alto e inagrissimo, serbo di origine, ma fino a quattro giorni fa stava dall'altra parte. «Ho combattuto con l'esercito bosniaco, poi qualcuno mi accusò di essere un traditore. Tre mesi di carcere prima che mi rilasciassero e mi restituissero la divisa. Adesso sono in licenza, sono venuto a difendere i miei amici». Biljana era una com¬ pagna di scuola, Jelena Mimsilo la sua ragazza. Era? «Credo lo sia ancora: sono venuto a dare una mano a sua madre. A difenderla, se sarà necessario». E con che cosa? Il ragazzo mostra le mani aperte: «Con queste». C'è stata paura nel condominio, due o tre giorni fa: «Qui abitavano le famiglie di sei ufficiali. Prima di andarsene han¬ no dato fuoco alle case, all'interno esplodevano le munizioni, temevamo di saltare tutti...». Una delle case bruciate è quella che adesso, dal basso, una coppia sta guardando con aria sconsolata. Hahid Lagumdzya, musulmano, piccolo imprenditore, abitava qui fino al '93 poi si era rifugiato nell'altra Sarajevo. «Una casa da cen- tornila marchi», ricorda. Sua moglie mostra le foto di com'era: «Adesso i serbi ci hanno portato via tutto». I serbi? «Una famiglia di estremisti, di cetnici: sono fuggiti, ma sappiamo bene chi sono». E gli altri, quelli rimasti, i vicini di un tempo? Il marito pare sulle spine: «Beh, penso che tornare a vivere in armonia sarà difficile... Certo qualche brava persona c'era, forse c'è ancora. Ma non so, vedremo». Pochi minuti dopo, forse a beneficio degli stranieri, l'incontro con Lazarina Mimsilo, proprio sull'androne. Fra le due donne, un bacio di circostanza. «Eccola lì, casa mia: la rivedo dopo quattro anni e non vi posso mettere piede». Dal secondo blocco del condominio è appena uscito un uomo che avevo conosciuto dall'altra parte. Ferdo Shehovic lavora nelle Forze speciali bosniache, in guerra sua moglie è stata uccisa: adesso è tornato a casa solo per trovarla minata. «Penso che lo sia, almeno. Dalla porta socchiusa s'intravede un filo di nailon, ho lasciato tutto com'è, vado a chiamare gli artificieri. Quei maiali sapevano che sarei tornato, volevano far fuori proprio me... e credimi, non volevo vedere se avessero lasciato i mobili, so che troverò niente. Cercavo solo di capire se almeno avessero lasciate le foto di mia moglie: mia figlia ha 4 anni e quasi non se la ricorda. Ma gliela farò vedere, a quei porci». Su Grbavica comincia a scendere la sera, la polizia federale si è piazzata in una pizzeria, le piccole gang sono sempre in giro. Il portavoce Ifor, Chris Janowski, dice: «Chi voleva che i serbi abbandonassero Sarajevo ha raggiunto il suo scopo all'85 per cento». Giuseppe Zaccaria Nella notte gang di ragazzi tentano di svaligiare le case dei «nemici» barricati all'interno. Qualcuno ha trovato l'alloggio minato Il pianto di un serbo che ha abbandonato la sua casa Nelle foto a sinistra, due musulmane che piangono di gioia e la polizia che appende una insegna croatomusulmana

Persone citate: Chris Janowski, Dalla, Dragomir, Giuseppe Zaccaria, Jelena Mimsilo, Milorad Popovsky

Luoghi citati: Belgrado, Sarajevo