McEwan e un uomo nell'armadio di Osvaldo Guerrieri

McEwan e un uomo nell'armadio Oliviero Corbetta all'Adua per il Gruppo della Rocca, sino a fine mese McEwan e un uomo nell'armadio Un racconto crudo e terribile, molti applausi Sul suolo coperto di sabbia scura sono disseminati i reperti di un'infanzia non sappiamo quanto lontana: una motoretta fortemente degradata, una ruotina persa, uno skateboard conficcato nella rena come un feticcio simbolico. Sul fondo, troneggia un armadio antiquato e sghembo. In questo cimitero psicologico si materializza all'improvviso un uomo che comincia a parlare di sé, di ciò che è oggi e di ciò che è stato in varie fasi della sua vita. La confessione - apprendiamo - è rivolta a un invisibile assistente sociale che poi, nella sostanza della finzione scenica, siamo noi spettatori, sistemati nel buio denso della sala Mariani del teatro Adua. Comincia così, brutalmente e malinconicamente, la «Conversazione con l'uomo nell'armadio» di Ian McEwan, che Oliviero Corbetta ha allestito sulla propria misura fisica e interpretativa utilizzando la scabra traduzione di Stefania Bertola. Prodotto dal Gruppo della Rocca, lo spettacolo ha esordito qualche settimana fa al festival «La mente assediata» di Cuneo. Ora è approdato nella sua sede naturale, dove resterà fino alla fine del mese. Ed è un monologo che utilizza il complesso di Edipo come una scintilla capace di mandare in corto circuito un'intera esistenza. Il personaggio dimesso e diafano, che sulla scena tormenta il proprio maglione non meno delle parole che va pronunciando, ha prolungato la propria infanzia oltre il lecito e il verosimile. A quattordici anni veniva ancora imboccato dalla mamma, protetto con bavagli dalle colature del cibo, escluso («è un quartiere pericoloso») dall'educazione scolastica. Ciò che segue è un campionario sconvolgente di disadattamenti e di difficoltà a partecipare ad una vita normale. Non solo perché la mamma trova per sé un uomo di poche parole ma di molti fatti, non solo perché il ra- gazzo viene recluso e dimenticato in collegio, ma perché, una volta fuori il giovanotto non ha più un punto d'appoggio. Lavora, fa lo sguattero in un albergo, ma viene perseguitato dal capoccia, che arriva a rinchiuderlo nel forno e a «scaldarlo» fin quasi alla cottura. La rivolta del malcapitato, il suo versare olio bollente sul ventre del persecutore, placa l'orgoglio ferito ma non contribuisce a rinsaldare i pezzi sparsi della vita. Andare alla ricerca della casa di una volta, la casa della felicità, e trovarla occupata da altri, fa il resto. Racconto terribile, malessere spinto fin oltre la soglia della sopportabilità, crudezza di situazioni, delirio logico. Corbetta affronta tutto ciò con adesione e concentrazione assolute. Applausi meritati. Osvaldo Guerrieri Oliviero Corbetta in «Conversazione con l'uomo nell'armadio» di Ian McEwan

Persone citate: Ian Mcewan, Mariani, Oliviero Corbetta, Stefania Bertola

Luoghi citati: Cuneo