Wilson un albero di nome Butterfly

17 L'artista parla del suo allestimento a Bologna: voglio che la gente si metta a piangere Wilson, un albero di nome Butterfly Un genio texano tra rock e mèlo SBOLOGNA I alza in piedi - ed è lungo, molto lungo -, flette il braccio destro ad angolo retto e lo appoggia al petto, la mano dritta e tesa; allunga il sinistro all'altezza della spalla. Sembra un tronco d'albero con due rami. Di colpo, l'indice sinistro scende giù, come la lama di una ghigliottina. «Questo gesto basta a dire che Butterfly muore. Non c'è bisogno d'altro, U naturalismo ha ucciso il teatro». Bob Wilson, l'immaginazione al potere. Il regista, scenografo, costumista, scultore e artista visivo texano è a Bologna per curare l'allestimento della Madama Butterfly di Puccini, creato tre anni fa a Parigi con enorme successo. Nel 1976 Einstein on the beach, presentato al Festival di Avignone con le musiche di Philip Glass lo rivelò, e da allora per sempre, al pubblico europeo. E lui si convinse ad abbandonare la sua prima professione, quella di medico. «Un gesto è uno spazio mentale. Via gli arredi inutili: questa è una storia di dolore, bisogna riuscire a vedere 0 dolore di lei». Parla con lentezza estrema: può restare con la mano appoggiata alla fronte per un minuto intero in assoluto silenzio (si può sentire 0 suo respiro) prima di rispondere ad una domanda. 0 è molto stanco, o molto concentrato. «La mia prima Butterfly, vista da ragazzo allo zoo di Minneapolis. Un'emozione così profonda. Alla fine sentivo piangere gli animali. Vorrei che accadesse lo stesso, ora». Perché cerca sempre l'astrazione? «Quello che vedo è troppo superficiale. Mi siedo in teatro, guardo gli spettacoli che vincono il Premio Pulitzer o il Tony Award e capisco che disperatamente imitano i tempi della televisione... Ali ali ali... Oh oh oh... Ogni due minuti arriva la battuta che ammicca al pubblico. Perfino in un testo sull'Aids non c'è una scena che duri di più! Odio il naturalismo, è basato sulla menzogna. Essere sul palcoscenisco è qualcosa di artificiale. Se accetti di essere artificiale allora sei più vero». Gran parte del melodramma è il contrario dell'astrazione, il trionfo del gesto esibito... «Io lavoro sull'immobilità. Detesto le produzioni troppo movimentate, è così difficile stare fermi senza diventare una statua. Dice Ezra Pound: "Nella quarta dimensione c'è l'immobilità e il potere della bestia feroce"». C'è un biancore accecante in palcoscenico, quando Butterfly muore... «E' mi paesaggio artico, senza ombra, è il giorno più luminoso del mondo. Lei può vedere la sua morte per milioni di miglia e questo attimo può durare per sempre». Se potesse, i cantanti li farebbe sparire? «Lo farò presto, nella prossima opera di Glass, I mostri della grazia. Staranno in buca, con l'orchestra. In scena solo luci, mimi, visioni». Riuscirebbe a convincere Pavarotti? «Non mi è mai capitato di lavorarci. Intanto ho convinto Jessy Nor- man». Si alza ancora, inclina un pacchetto di sigarette verso un bicchiere. «Lei era in una stanza, di notte. Andava verso la finestra a guardare la luna, tornava al centro, cominciava a versare acqua da una caraffa dentro un bicchiere, lo riempiva, versava ancora, lentamente l'acqua dilagava sul tavolo, colava sul pavimento, fino a quando la caraffa era vuota. Poi. appena mormorava Amazing Grace calava il sipario. Durava dodici minuti, essere astratto vuol dire non fissare alcuna idea nella mente, vuotarla di un'interpretazione a tutti i costi. Solo così diventa piena di senso». Questo è molto poco occidentale... Ride di gusto e risponde subito. «Provi a rappresentare un testo di Schiller al pubblico tedesco con 45 minuti di completa astrazione: forse non capirebbero! Noi occidentali siamo stati educati allo psicologismo: guardare, interpretare. Il teatro No giapponese non si crea questi problemi: fare qualcosa senza alcuna ragione per farla. E' un'idea zen, capire che non capiamo mai nulla in modo definitivo se non teniamo la mente aperta. Più l'opera è grande più è indecifrabile, Shakespeare non ha capito quello che ha scritto. Dobbiamo chiederci che cos'è, non dire che cos'è». Preferisce vedere o ascoltare? «Il dilemma fondamentale è il /rame, il luogo, la struttura che separa e congiunge ascolto e visione. Per trovarlo ci sono due possibilità: ascoltare un radiodramma e immaginare di vedere qualcosa oltre quelle parole e quei suoni, oppure vedere un film muto e dare parole e suoni a quelle immagini. Uniamo le due cose, andiamo oltre le comici per trovarci di nuovo senza limiti». Lei sta preparando il prossimo spettacolo di Lou Reed, «Time Rocker». Debutterà ad Amburgo, a giugno. «Il rock è un ottimo contrappunto al melodramma. Sarebbe fantastico allestirlo alla Fenice». Dentro le sue macerie? «Naturalmente. Se hai un mobile barocco e ci metti sopra un candelabro barocco, lo vedi poco. Ma se sopra metti mi computer, vedi benissimo tutti e due». Perché si è fatto albero per mostrare Butterfly? «Come un pino nel bosco, alto e immobile. In scena non uso che pietra, legno, roccia, materiali naturali e il massimo della tecnologia contemporanea. L'astrazione non ha tempo, via i ciliegi, i mandorli, i pannelli, la giapponeseria, i richiami banali fotocopia della televisione». Sandro Cappelletto Dal dolore di Puccini aLouReed, una provocazione da allestire dentro le macerie della Fenice un albero di nome Bunio texano tra rock Dal dolore di Puccini aLouReed, una provocazione da allestire dentro le macerie della Fenice Bob Wilson. Il regista, scenografo, costumista, scultore e artista visivo texano è a Bologna per curare l'allestimento della «Madama Butterfly» di Puccini Bob Wilson. Il regista, scenografo, costumista, scultore e artista visivo texano è a Bologna per curare l'allestimento della «Madama Butterfly» di Puccini

Luoghi citati: Amburgo, Avignone, Bologna, Minneapolis, Parigi