Il potere nella pietra di Sabatino Moscati

Ritratti imperiali a Roma Ritratti imperiali a Roma Il potere nella pietra "7T1UANTE bugie a sostegno I I dell'ambizione!» scrive un I I popolano di Pompei con caI ■ ratteri rozzi, ma ben ricoY I noscibili, sotto un manifev sto elettorale del tempo. E questo è ancor poco per dimostrare l'ostilità della gente verso la politica, o meglio verso certe sue degenerazioni. Più drastico appare il comportamento degli abitanti di Munigua, una città dell'Andalusia: quando muore l'imperatore Domiziano ne abbattono la statua e ne seppelliscono la testa in un pozzo. Gli archeologi l'hanno scoperta recentemente e hanno dovuto riconoscere che, per una sede così inusuale, non vi è altra spiegazione. Questi fatti potrebbero indurre alla riflessione i politici d'ogni tempo. Ma, per un paradosso solo apparente, essi dimostrano anche l'importanza delle immagini, che un tempo si scolpivano nel marmo e si esponevano nei luoghi di riunione, mentre oggi si stampano sui manifesti e si affiggono sui cartelloni. La dimostrazione migliore di quanto diffusa fosse l'arte del ritratto nel mondo antico viene dalla mostra Lo sguardo di Roma, che si può visitare in questi giorni nella sede dell'Acquario Romano e che espone un'ampia serie di ritratti imperiali scoperti in Spagna e in Francia, cioè nelle province occidentali su cui prima si estese il dominio imperiale. Vengono dai musei di Merida e Tarragona in Spagna, Tolosa in Francia; ma raramente rivelano componenti provinciali, suggerendo all'opposto l'omogeneità di un'arte che intendeva diffondere e affermare il volto del potere. E infatti questi ritratti, collocati nelle piazze e negli edifici pubblici, costituivano uno straordinario strumento di propaganda, un sofisticato sistema di comunicazione. Attraverso di essi, gli imperatori esprimevano la loro presenza, la loro potenza, la durevolezza e l'ineluttabilità del loro governo. Sorge spontaneo il quesito: avevano veramente un valore fisionomico quei ritratti, o rappresentavano immagini idealizzate? Per singolare che sembri, l'uno e l'altro aspetto sono riconoscibili, a seconda dei tempi e delle circostanze. Consideriamo il caso più tipico, quello di Augusto: la sua immagine ha certo le componenti del realismo; ma quando si osserva che non viene per nulla cambiata con l'avanzare dell'età, ci si rende conto che essa subì un processo di stabilizzazione, fino ad assumere il carattere di rappresentazione fuori del tempo, di un simbolo dell'ordine e dell'equilibrio nell'impero. Non sempre fu così. Al contrario dei ritratti di Augusto, quelli di Marco Aurelio variano talmente che in essi si riflettono via via non solo le diverse età dell'imperatore, ma anche i suoi stati d'animo. Talvolta intervengono fattori o mode di carattere religioso; e accade che alcune immagini di Settimio Severo rechino un singolare adattamento nell'acconciatura dei capelli alle connotazioni di Serapide, un dio egiziano salvifico il cui culto si era grandemente diffuso a quel tempo. Ma come, quanto e perché furono conservati questi ritratti? Alla fine dell'età antica, vari fattori di distruzione debbono registrarsi. A parte la vendetta dei vinti sui dominatori sconfitti, il materiale pregiato delle statue faceva gola agli artigiani di ogni tempo, per riutilizzarlo anziché acquistarne di nuovo. Poi vennero le norme contro il paganesimo degli imperatori cristiani, che fecero abbattere molte statue. Malgrado tutto ciò, la durevolezza del materiale ebbe la meglio: nel 550 d. C, quando ormai era cominciato il Medioevo, un testimone conta a Roma quasi quattromila statue! Poi, con il Rinascimento, la situazione si capovolge. L'antichità diventa un modello da collezionare, studiare, ammirare; e le sue testimonianze visibili si cercano, si proteggono, si riuniscono nei nascenti musei. L'inizio dell'età moderna vede gli scavi da cui nuove testimonianze emergono, la fondazione di accademie e altre istituzioni in cui vengono studiate l'arte e la storia. La classicità si afferma come una fase essenziale del nostro passato, in cui confrontarsi; e le statue imperiali costituiscono, di tale passato, l'espressione più evidente e durevole. Sabatino Moscati

Persone citate: Serapide, Settimio Severo

Luoghi citati: Andalusia, Francia, Pompei, Roma, Spagna, Tolosa