Sangue al circo Tyson

In due riprese e mezzo il tigre nero ha divorato Frank Bruno strappandogli il titolo mondiale In due riprese e mezzo il tigre nero ha divorato Frank Bruno strappandogli il titolo mondiale Sangue al circo Tyson E alla fine restano solo dollari e vergogna LAS VEGAS DAL NOSTRO INVIATO E alla fine restano solo il sangue, i dollari e la vergogna. Rimangono i punti di sutura sul viso gonfio e tagliato del perdente, i miliardi che Don King distribuirà, prima di tutto a se stesso, e il senso di vergogna, appiccicoso come una sorta di sporcizia unta sulle dita di chi scrive, per avere partecipato, contribuito e assistito a un ballo in maschera divertentissimo e triste. In due riprese e mezzo, la metà del tempo che i più pessimisti bookmakers di Las Vegas avevano previsto, il tigre nero ha divorato il salsiccione britannico, l'americano Mike Tyson ha pestato l'inglese Frank Bruno, la cui faccia da clown ricchissimo e triste ha cominciato a sanguinare dal sopracciglio al primo cazzotto dei tanti ricevuti. Si è spenta in una smorfia di dolente stupore dopo appena due riprese e mezzo di un'esibizione che definire un match di boxe sarebbe un'offesa per i campioni veri e per gli uomini coraggiosi che hanno combattuto, e sono morti sul ring, nel passato. Se questo è sport, allora uno stupro è amore. La catacomba-arena sportiva dentro l'hotel MGM Grand, dove 16.973 persone si erano raccolte strappandosi per qualche minuto alle maniglie delle slot machines per guardarli, echeggiava del lugubre, ripetuto grido di Bruuu-nooo Bruuu-nooo lanciato dai tremila turisti fessi inglesi venuti fino al Nevada da Liverpool, Manchester, al prezzo di 5 milioni di lire a testa, bevande - molte bevande - escluse. Bruno ha combattuto come sa, cioè malissimo, come un pugile che non ha mai battuto veramente nessuno nei 34 anni della sua vita, come un boxeur che era già stato pestato 7 anni or sono da Tyson ed era stato insignito di un titolo mondiale fra i tanti che le varie federazioni distribuiscono, secondo graduatorie immaginarie. L'americano si è battuto come sapeva fare prima dei tre anni e mezzo di carcere per violenza carnale, come un killer con una laurea in chirurgia che sa esattamente dove e quando incidere per uccidere il paziente. Dopo un paio di round di anestesia, il tigre ha mandato in coma leggero il clown con otto colpi consecutivi alla testa. Intervento dell'arbitro, ko tecnico, abbracci, devota genuflessione di Tyson il musulmano sul tappeto in direzione della Mecca e poi tutti, nani, ballerini, magnaccia, organizzatori e complici vari alla cassa per dividersi il bottino. I due pugili non hanno colpe, non hanno nulla di cui vergognarsi. Tyson è stato magnifico, il tigre di ieri, l'uomo che ha ritrovato, dopo le botte alla prima moglie, dopo 10 stupro di Miss America Nera, dopo il carcere, dopo i primi due comici incontri di rientro, dopo la confusione e la solitudine che lo circonda, il segno di quella violenza implacabile che ne aveva fatto 11 più grande peso massimo dopo Mohammad Ali. Bruno ha fatto il suo dovere, che non poteva essere fi quello di sconfiggere il tigre, ma era quello di far credere ai suoi connazionali marinati nello scotch e avvolti nella bandiera britannica e al pubblico che ha pagato 2 mila dollari - 3 milioni - per un posto ring e 50 mila lire per la diretta a casa, che sarebbe stato davvero un match mondiale e non uno stupro. Non c'è vergogna, non c'è commedia nel salire su un ring contro una macchina da guerra come il Tyson ritrovato di ieri. C'è solo paura e il povero Bruno, l'inglese più famoso dopo Lady D e il principe Charles, aveva tanta paura. In 470" ha toccato una sola volta Tyson con il suo allungo, una sola volta. Per gli altri 469" s'è aggrappato all'avversario come un bambino terrorizzato alla mamma. Solo che questa mamma menava. E per noi privilegiati che avevamo in tasca il biglietto, e soprattutto il «pass» per il party pre e post incontro organizzato dalla catena televisiva Showtime, per noi che stavamo «dentro» la commedia, attori e complici insieme, era chiarissimo che il vero match, i veri incontri non stavano avvenendo sul ring, ma fuori. Accanto alla catacomba arena dove pellegrini e pellegrini della boxe - sì, c'era an¬ che un match fra due donne, tanto per sottolineare l'atmosfera da circo - stelle di Hollywood e produttori, agenti e impresari, mangiavano il magnifico risotto con funghi e le scaloppine del ristorante italiano della MGM, e si scambiavano i jab, i ganci, i diretti, le finte di questi match sorridenti e mortali. Quello era il vero incontro, non la finzione sotto le volte della catacomba. Lì, fra le scaloppe e il tiramisù, il Chianti e il Corvo bianco, ho visto i veri pesi massimi stendersi l'un l'altro con un bacio al vento e con una stretta di mano fintamente virile, con un «carissimo, ti trovo bene dopo la clinica» e un «facciamo colazione presto insieme, per discutere quel proget¬ to». Mentre là fuori i poveri sudditi di Sua Maestà intonavano il funebre Bruuu-nooo Bruuu-nooo per il loro coraggioso broccone sanguinante, Jack Nicholson, già lievemente ubriaco dietro i suoi occhiali neri, mi raccontava col suo leggendario sorriso diabolico di avere tre film in lavorazione; Pierce Brosnan, l'ultimo James Bond, mi confidava di essere prossimo a cominciare il suo secondo 007, augurandosi che la storia sia migliore della scombinata trama del primo; e Denzel Washington mi raccontava di come, ogni estate, lui porti la famiglia a Portofino, noleggi una barca e scenda fino a Positano, bordeggiando fra l'Elba e il Gig-glio, l'isola del Giglio. Sul ring, Bruno cominciava a sanguinare ed abbracciare la mamma-tigre che lo avrebbe sbranato. Nella festa delle stelle, vedevo Don Johnson, il fusto un po' bollito di Miami Vice, attaccare un bottone lunghissimo con Sam Wynn, il padrone dell'Hotel Mirage, il concorrente dello MGM, indagato più volte per presunti legami con la Mafia, proponendogli (sì, ho origliato) di finanziare il suo prossimo film, certo caro, figurati, una stella come te, vediamoci presto, facciamo colazione insieme, I love you, ti voglio bene anch'io. Oltre la porta, circondato dai suoi gorilla in fez, passava sorridente e regale Louis Farrankhan, profeta della secessione nera, il musulmano duro venuto qui a bagnarsi della luce islamica riflessa da Tyson. Da qualche parte c'era un incontro di boxe del quale non importava mente a nessuno, qui dentro. Due uomini si pestavano, sfiorando ad ogni istante il coma irreversibile. Qui dentro Eddy Murphy faceva un breve ingresso, fuggendo in fretta alla vista di Kevin Costner, perché due stelle così grandi non possono coabitare nella stessa stanza. Donne rapaci, senza nome ma con le gambe lunghissime e bene in vista, gravitavano attorno alle stelle, per uno sguardo, una stretta di mano, una foto insieme in mancanza d'altro - da rivendere agli agenti, da monetizzare. Brandelli di conversazione volavano, letali come i pugni di Tyson, «hai visto come è bella la faccia nuova che si è fatta fare Sharon dal chirurgo di Palm Spring?», «Guarda, quella è la nuova donna di Mike, non le daresti mai 40 anni». Mi hanno offerto 2 mila dollari, in contanti, subito, per comprare il mio pass, il biglietto d'ingresso nel cielo delle stelle. Nessuno mi ha chiesto di comprare il mio pass stampa per assistere al Mondiale. Las Vegas sa bene dove avvengono le cose che contano. Sono passati di mano più miliardi, si sono fatti più «deals», più affari attorno al risotto coi funghi che tra le corde del ring. Sono state ferite, forse a morte, più persone nella stanza del party, ornata da una comparsa travestita da regina Elisabetta in onore di Bruno e da una ragazza truccata da statua della libertà, in onore di Tyson, che nell'arena catacomba. Da un cazzotto ci si può riavere. Di una sentenza pronunciata a una festa di stelle - Don è finito, Kevin perde soldi, Denzel ha la faccia sciupata - si può morire. Tyson è pronto per altri incontri, forse più seri, forse più veri, contro Holyfield, o contro l'unico massimo che oggi gli possa far male, Bowe. Bruno, con la sua moglie inglese, bianca e bionda, è pronto per la pensione, che si è assicurato con i 470" di figuraccia, ieri notte. E noi siamo pronti per altri incontri, per altri party con i divi, per altre offerte sull'altare delle stelle che illuminano il buio della nostra vita di paganti, appesi agli schermi grandi e piccole delle illusioni. I due pugili non hanno colpe. Mike è stato magnifico: dopo le botte alla prima moglie, dopo lo stupro e il carcere, dopo la confusione e la solitudine, è tornato il più grande peso massimo dopo Cassius Clay. E Bruno ha fatto il suo dovere: non poteva essere lui l'avversario in grado di vincere In 470 secondi Frank, con il suo allungo, ha toccato una sola volta il viso dello sfidante; per gli altri 469" si è aggrappato all'altro corpo come un bambino terrorizzato alla mamma. Solo che questa mamma menava. Mentre due uomini si pestavano donne rapaci, con gambe in vista, gravitavano attorno alle stelle del cinema In alto, un diretto di Tyson a segno sul volto di Frank Bruno. A destra, il ghigno trionfante di Mike con cintura di campione del mondo. A sinistra, il momento in cui l'arbitro interrompe il match per ko tecnico