Il miglior cuoco del pianeta i ritiro troppo stress»

IL TYSON DEI FORNELLI Joél Robuchon non vuole invecchiare in cucina come Bocuse e altri illustri chef Il miglior cuoco del pianeta i ritiro, troppo stress» « IL TYSON DEI FORNELLI PARIGI I L miglior cuoco del pianeta ■ «Herald Tribune» dbrit - vuole gettare la spugna. Cinquantenne, Joèl Robuchon dice no all'invecchiare tra i fornelli come Paul Bocuse e tanti illustri predecessori. Self-made chef, straordinario avventuriero delle pentole come può esserlo un seminarista che già quindicenne s'imboscava in cucina per apprendere dalle suore le prime nozioni gastronomiche, non rinuncia a stupire. Aureolato dalle tre stelle Michelin, inflessibile come un ammiraglio sulla tolda, regge con pugno di ferro il panthéon culinario parigino. Il suo hotel particulier - l'unico in cui il personale supera i coperti: 48 a 45 - è zeppo ogni giorno. Per una cena bisogna aspettare in media due mesi. Ottenendo, infine, il privilegio di pagare un duecentomila lire tonde i maccheroni al gratin, complici truffes e foie gras che li accompagnano. Per chi desideri un menù, anziché ordinare à la carte, Robuchon ne indica due. Quello più ricco sfiora il mezzo milione. Cui aggiungere i vini. Prudenza! Il Romanée Conti '61 di milioni ne vale 7. E in cantina, fra 12 mila bottiglie, giace un cognac classe 1820. Scandaloso? Forse. Eppure sbaglierebbe chi attribuisse al recordman della cuisine francaise - 19 concorsi internazionali nell'arco '69-'74 e diciannove vittorie: un Tyson gourmet - la lussuosa affettazione che caratterizza non pochi fra i suoi rivali. Se nelle cucine regna la videosorveglianza, lampade a infrarossi controllano i singoli piatti in preparazione rilevandone la temperatura (errore ammesso, 1 grado), il pane lo sforna una panetteria interna, e nessuna comanda scende - con due mini-ascensori fino in sala senza chel'implacabile monsieur Joél ne esamini a puntino la realizzazione, be' il motivo è uno solo: l'ossessivo perfezionismo che da sempre attanaglia Robuchon. Qualora per vedersi riconoscere l'eccellenza bastasse sbollentare aragoste, servire caviale o proporre fagiani selvatici fatturando rinimmaginabile, il nostro uomo non sarebbe mai approdato nei saloni liberty con biblioteca in trompe-l'oeil le cui boiseries affascinano i visitatori dell'avenue Poincaré 59. Anzi, la gloria iniziò ben diversamente. Con un tubero, e il più ignobile: la patata. Come andò, Joél Robuchon? «La pomme de terre era scomparsa dalle grandi mense parigine. Nessuno osava più offrirla. E ancor meno la purea, con quel retrogusto di nonne e zie campagnole. Poco chic. Era una inqualificabile censura ideologica. Ma come superarla? Alcuni produttori ebbero l'idea di organizzare un concorso. E lì, su 24 varietà, ne scoprii una straordinaria. Favolosa. Incontrai il coltivatore. Iniziammo a lavorare insieme. Grazie a un sistema d'irrigazione sotterranea, otteneva patate - le "rates" - grosse 2-3 volte e con una fecola da sogno. Le sperimentai: successo istantaneo». Dicono Lei debba pagarle quasi 100 mila lire il kg... «Non ho mai discusso un prezzo. Chi lo fa, rischia brutte sorprese. I fornitori sanno di potermi chiedere qualunque cifra. E' sulla qualità che eccepisco. Mi succede di respingere prodotti impeccabili solo in apparenza». Anche tartufi bianchi, i nobili ma non troppo conosciuti in Francia alter ego della «rate» sulla cui valorizzazione Robuchon s'impegna da tempo? «Eccome. Diciamo uno su due. Devono avere una polpa rosata, marmorea. Purtroppo è sempre più difficile trovarne. Ma vale per qualunque altro genere. Ho un solo credo: la perfezione di ciò che offro. Inseguo freschezza e autenticità totali. La mia rivoluzione per usare una parola di sicuro eccessiva - inizia proprio qui. Gliela riassumo: "Il più difficile è fare le cose semplici". Non bisogna lambiccarsi in preparazioni complesse, ma lasciar uscire a nudo i sapori. Per secoli li abbiamo occultati. Il ricorso alle salse che ancor oggi affliggono sia pure in misura inferiore la nostra tradizione nasceva dall'esigenza di mascherare, abbellendo, una défaillance. La "tecnica" era puro artificio. Impediva al commensale di trovare l'inganno. Io vorrei, al contrario, riconciliarlo con alimenti magari banali ma la cui essenza forse gli sfugge. Il caviale in gelatina lo propongo con crema di cavolfiore. E servo il merluzzo. Che, in sé, vale un branzino. Non mi vergogno a cucinare la testa di maiale. E nella selezione enologica figurano vitigni corsi. Nulla è indegno di giungere in tavola. Purché, beninteso, abbia un valore intrinseco. Le mode non m'interessano: bisogna far raccontare ai cibi la loro verità. Quand'ero giovane, anche nei locali eccelsi la cucina era spesso uno stambugio. La nascondevano nei seminterrati. E lo chef si ritrovava a eseguire gli ordini del maitre: "Oggi fammi questo". Bene, chez Robu- chon le cucine sono al terzo piano, dominanti. E il responsabile della sala più non si azzarda a suggerire alcunché». Gli ingredienti sono volentieri plebei. I prezzi no. Un pasto da lei inghiottisce o quasi il sussidio mensile che ricevono i disoccupati. Non prova mai vergogna? «Vengo dal nulla. Bambino, non ricordo che andassimo a mangiar fuori in trattoria. Nemmeno per le grandi feste. Se quarant'anni dopo pranzare da me richiede uno sforzo economico, non lo si deve ai margini di guadagno, che restano bassi. Il cliente paga semmai la ricerca ideativa, l'equilibrio estremo, un servizio inappuntabile, il décor che lo vuol far sentire "a casa", diciamo nel salotto buono. Ne vedo, arrivare qui tesi o addirittura arrabbiati, e uscire sereni due ore più tardi. La nostra cucina è pervasa di armonia. Non mi considero un guru, e tuttavia qualcuno potrebbe definirla - a suo modo terapeutica. Sono colazioni, pranzi, che rimangono. Non creda vengano solo i ricchi qui. C'è chi risparmia, e secco, per un'esperienza indimenticabile. Ma visto che lei parlava di senzalavoro, il mio lusso garantisce l'occupazione. Un restaurant ordinario di taglia analoga avrebbe 5-6 dipendenti al massimo. Il mio distribuisce benessere. Infine, siamo la haute couture dell'alimentazione: ciò che nasce qui lo si ritrova più tardi nel prèt-à-porter, anticipa le tendenze. O, per cambiare metafora, delle tecnologie sperimentali che la Formula 1 impiega beneficiano anni dopo le utilitarie. Il nostro non è elitarismo, solo democrazia in marcia». Lei ha riscoperto la Francia profonda, togliendola dal limbo in cui la relegava la Nouvelle Cuisine. Ma apre anche squarci d'Italia. Per esempio questo «Tourban de langoustines aux spaghettis e truffes». Provocazione? «La cucina francese è in sesta posizione a livello mondiale. Ma gli italiani sono primi. E li vedo avanzare un po' ovunque, Parigi inclusa. Sa di sole, la vostra cucina. L'inverno affascina per contrasto, mentre nei mesi caldi s'impone per sintonia: nessun altra può vantare una simile penetrazione. Normale che mi tenti». Tra i suoi fedelissimi abbondano gli uomini del Potere. Avere dinanzi un Presidente lusinga il cuoco Robuchon? «Mi turba. Ma non derogo ai miei principi. In due occasioni Franqois Mitterrand telefonò per prenotare. Non c'era posto, glielo dissi. Era fuori questione inventare scuse per liberare un tavolo. La terza, incaricò della prenotazione un giornalista amico. "Vedi un po' se tu ce la fai" gli disse. Incontrarlo m'imbarazzò. E' normale che lo chef compia un breve giro per intrattenersi con il pubblico. Galateo vuole rimanga in piedi, e il convitato non si alzi. Mitterrand lo fece. Ero a disagio». La Guida Michelin scrive: ((cambiamento di ragione sociale nel secondo semestre '96». Allora è vero, Joèl Robuchon abbandona, come un boxeur che tema il declino? «Sì. Vedo troppi colleghi morire di infarto. Nel nostro mestiere è lo stress, non la gola, ad uccidere. Dall'ingrassare mi difendo con il bere due litri d'acqua il giorno. E mangio a casa, nel pomeriggio. Ma la tensione è troppo forte. E poi, dopo il mezzo secolo, non vorrei mai si aprisse qualche breccia nella passionacela per il mio mestiere. Dosare il sacrificio e la dedizione senza farne risentire il palato è dura scommessa. Preferisco che la mia cucina non invecchi con me». Non le toccherà più veder pasteggiare a Coca-Cola... «Vero, succede. Ma ho una regola. Rispettare l'altro. Il nostro sommelier le dirà forse che qualcuno esige ghiaccio nello champagne o dopo il cognacchino finale ordina una birra. Faccio lo chef, non il censore. Ma su una questione ho difficoltà a transigere. Se mi chiedono, mettiamo "ima suprème de pigeon, ma per favore senza cavolo", non mi piego. Togliere un contorno significa snaturare la portata, azzopparla. Perché dovrei ferire una mia creatura?» Enrico Benedetto Tre stelle Michelin Nel suo ristorante il personale supera i coperti: 48 a 45 i t Due volte ho detto no alpresidente Mitterrand: la sala era completa jj p 11 Pago anche 100 mila un chilo di patate Conta solo la qualità p J Un piatto di maccheroni costa 200 mila lire Ma per una cena bisogna aspettare due mesi Sì, da me si può spendere fino a mezzo milione per un pranzo ma non ci vengono solo i ricchi C'è chi risparmia secco per provare un'esperienza indimenticabile^^ U Troppi colleghi muoiono d'infarto ma non è la gola che uccide Dall'ingrassare mi difendo bevendo due litri di acqua ogni giorno ij p Accanto: l'ex presidente Francois Mitterrand, anch' egli aveva apprezzato la cucina di Joèl. Al centro pagina un'immagine del ristorante chez Robuchon, in Avenue Poincaré 59. Il menù più ricco sfiora il mezzo milione Joèl Robuchon, re della cucina internazionale

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