Klinger sulle tele un'ossessione musicale

A Ferrara, una retrospettiva dedicata al grande protagonista della pittura moderna A Ferrara, una retrospettiva dedicata al grande protagonista della pittura moderna Klinger, sulle tele un'ossessione musicale FERRARA | ' RAZIE a Dio non mi tocca I vivere in questo tempo». II E' con simile enigma in \f I forma di viatico che potremmo avviarci a visitare la sontuosa (fin troppo, visti gli angusti spazi intervallati del Palazzo dei Diamanti) mostra che Beatrice Buscaroli dedica a Max Klinger, «l'artista moderno per eccellenza», come scrisse De Chirico nel suo appassionato necrologio 1920. Una contraddizione in termini? Klinger era moderno (nel senso «malato», nicciano, baudelairiano del termine) proprio nel senso che nevroticamente cancellava la propria modernità, in una temporalità astratta, inventata. Come scrive la Buscaroli: «Il mondo tutto di cui Klinger si appropria, da Fidia ai suoi contemporanei, è l'ultimo baluardo contro la paura del Moderno che più volte l'artista espresse». Un horror vacui eclettico-storicistico, che manifesta sin dalle sue prime lastre. E forse l'inarrestabile facondia della sua fantasia grafica, nasce proprio dalla debolezza della sua carente pittura, vistosamente indecisa. Non ci pare così forte l'influenza di Puvis de Chavannes, come molti hanno sostenuto: non troverà mai quella castità magra, d'affresco, pulverulenta che è del francese. Il Klinger pittore, anche in alcuni dei ritratti in mostra, è alla ricerca disperata di una respirazione coloristica quale che sia: indeciso tra un mancinismo leggermente di folklore, qualche cielo corottiano ma senza modulazioni palpitanti, qualche flebile tentennamento boldinineggiante subito, castigato e molti tentativi di una pittura a tasselli, che lo avvicina, ma inferiormente, al suo compagno di studi Hodler. Amorevole quella veduta panoramica del Colosseo dal suo studio, con tacchette pre-cézanniane, ma irrisolto, comunque. Oppure quel moderno lasciar trasparire boccate libere di legno nei suoi sfondi, un vero «staccato» della pennellata: come accordi cromatici al pianoforte. Ma è proprio in quel non saper gestire la materia pittorica che si misura lo spazio di creatività che Kingler va ad inventarsi con la pratica quasi ossessiva del suo grafismo: nor surrealisticamente automatico ma certo dragato dal subconscio e a cui deve trovare persino un neologismo riassuntivo. Griffelkunst. Arte dello stilo, «prodotto di un impulso interiore, a cui l'uso di qualsiasi altro mezzo espressivo toglierebbe intensità e libertà». Come un'appuntita protesi della propria creatività, potenziata «con l'aiuto del bianco e del nero». La Dedica Pittorica dei Salvataggi di Vittime Ovidiane (è l'arte grafica che rovescia il loro destino di metamorfosi) è in questo senso programmatica: le due mani giunte dell'Artefice invisibile, un foglio bianco predisposto agli insulti del bulino ancora inoffensivo mentre dal fumo ondeggiante della candela nasce un mondo di marmi antichi e di fantasmi moderni. Più che Kunstvollen, volontà d'espressione, l'arte è una prece misteriosa: all'Ispirazione. Come il Superuomo del tanto amato Nietzsche si protende sul¬ l'abisso, filo teso tra l'uomo e la belluinità, così l'immagine emblematica della donna discinta sull'Altalena di Kingler s'immobilizza su un cielo vuoto e chiacchierato di acidi e acquetinte, che si fa spesso anche prato e palude. Una satinatura amniotica che potrà generare qualsiasi mostro. Ed è quello che capita nel controcanto contrappuntistico delle cornici, dei riquadri, dei paraffi, delle lesene, che accompagnano questi fogli, alla maniera di Runge: lire, bucrani, libellule, capricci tipografici che contraddicono la scena cardinale ed annunciano la curvata ginnastica dello Jugendstil. Quello che risulta evidente in questo dissacrante spulzellatore di lastre (che non ha cura della coerenza stilitica e soprattutto della metrica dei formati e che della discontinuità fa una poetica) è che compone le sue «parafrasi» come un sinfonista regeriano: alternando i capricci dello Scherzo alle morbosità subacquee del Grave, alle levità nipponizzanti dell'Andantino Grazioso. E spesso i temi variati sono ricorrenti: fanciulle nude condotte al pascolo come pecore, fauni che solcano mari di pura acqueforte su sanguisughe-proiettili, amazzoni-surf che solcano il cielo come meteore, disarmate Godive nude di fronte a temibili assemblee di figuri in stile Signorina Else di Schnitzler. Mentre, tra prometei languorosi come rosolii, terribili Atlanti sollevano fette di mondo quasi fossero tolte ed Omero cieco si trova già animati sul suo petroso calepino dei lillipuziani gladiatori in lotta, proprio come farà poi Tullio Pericoli. E infine la Morte, dovunque, ma anche allegramente: Morti che compilano diligenti le proprie memorie intingendo il pennino in un teschio o che si suicidano scheletriche sotto il treno, che falciano furiose il nulla ossigenato delle vette, Scheletri che corrono su trabiccoli a forma di bara o che fanno disinvoltamente la pipì nel lago. Forse il quadro più bello e misterioso di Klinger, insieme a quel poema pompier ma intrigante che è la Crocefissione. A destra tutt'un gioco di natiche, sessi e muscoli, piedi inchiavardati e quella curiosa conformazione di croci col pubico legno sotto-sacrale. Al centro lo svenimento mèlo di Maddalena, che sembra Pauline Strauss in scena per un Massenet all'Alma Tadema, davanti allo ieratico Beethoven di San Giovannino. Mentre tutta una popolazione di Vescovi guglielmini, sobillatori socialisti alla Von Marées, scribani intenti al loro dovere giornalistico e dame imbandierate da fregio di Sala del Gonfalone fanno da sfondo, insieme" a delle filiformi, filateliche finzioni di Costantinopoli sul crinale e dei laghetti fiesolano-bòckliniani sul basso: più una giuria da Prix de Jérusalem che non un Calvario. Ma il prodigio è quella Madonna per nulla cristiana e nemmeno cattolica, che avanza nero-velata ed esoterica come un automa Secessione, appena uscita da un quadro di Khnoppf e che certo non saprebbe pregare, al limite, soltanto recitare un sonetto di Rilke. E quando ammiriamo il bellissimo, «leonardesco» schizzo preparatorio ci rendiamo conto che anche lei altro non è che un teschio di puro fumo. Marco Vallora Fu amico di Brahms ispirò anche De Chirico Qui accanto «La sirena», uno dei quadri più famosi di Klinger; sotto, Claudio Abbado

Luoghi citati: Costantinopoli, Ferrara