I CAVALIERI delle nuove guerre di Barbara Spinelli

L'Europa di fronte a nemici che non distinguono tra aggressioni, crimini e terrorismo dovrà inventare eserciti professionisti L'Europa di fronte a nemici che non distinguono tra aggressioni, crimini e terrorismo dovrà inventare eserciti professionisti I CAVALIERI delle nuove guerre ~f\\ PARIGI I ! UANDO cadde il muro di I I Berlino, nel novembre 1 I dell'89, furono in molti a Y I constatare, sgomenti, V che la Storia sin qui vissuta era finita. Erano ormai venute meno le immani dispute, si erano subitamente spente le grandi passioni degli Stati nazionali. I cittadini stessi avevano smesso di avere gli impulsi forti dell'animo, che avevano ereditato in epoca di antagonismo ideologico con l'impero comunista. Simili agli Ultimi Uomini di Nietzsche, i cittadini sfuggivano le altitudini e cercavano ormai il tepore delle dimore municipali: sfiancati, intimamente rassicurati, già agguantati da noia. Alcuni in America s'azzardarono a parlare di Nuovo Ordine Internazionale, di Guerre con Zero Morti, di crepuscolo addirittura dell'esperienza bellica. Tre guerre nei Balcani si incaricarono di svegliare americani ed europei da tanto torpore, negli anni successivi, e accanto ad esse si incaricarono le guerre nella Russia postcomunista - Georgia, Azerbaigian, Cecenia - oltre al conflitto nel Golfo Persico. Non era dunque finita, la stagione delle armi. Ancora occorreva saper guardare, preparare, pensare la guerra e le sue moderne metamorfosi. La maggioranza della popolazione terrestre ancora viveva immersa nel furore e nel rumore della Storia, interamente, e gli occidentali non erano che un'appendice eterodossa di tale maggioranza. Sono nella Storia le sette apocalittiche, che infliggono gas nervino ai civili. Sono nella Storia i miliziani serbi, i terroristi martiri in Algeria o Palestina, e tra i popoli aggrediti i ceceni, che il generale Lebed chiama Immortali perché «tale è il privilegio acquisito dalle nazioni, quando perdono tutto». Il grande conflitto campale con l'Armata rossa cesse di esser probabile, lo spettro di un frontale scontro nello spazio tra Mosella e Danubio si attenua, ma non per questo le minacce svaniscono. Cambia radicalmente la loro natura, si trasforma il volto del guerriero avversario. Le intimidazioni si allontanano dal territorio nazionale, si accumulano sempre più spesso in periferie remote, ma restano pur sempre minacce, sfide mortifere che reclamano una risposta adeguata. A queste metamorfosi toccherà un giorno adattarsi, nelle democrazie europee vissute sin qui dentro gli ordinamenti conosciuti della guerra fredda: a questo nuovo tropismo periferico, a questa ubicazione ormai polverizzata delle nuove minacce, delle nuove guerre. Così come sono disposte, faccia a faccia per un urto frontale e massificato nel centro del Continente, le armate europee son destinate a divenire non solo obsolete, ma periclitanti e letali esattamente come lo fu, nel 1940, la linea Maginot. La Francia di Chirac è il primo grande Paese continentale che in Europa comincia a meditare su queste circostanze mutate, e che decide di abbandonare il classico esercito di leva, di adottare al suo posto un esercito di mestiere assottigliato, di concentrare gli sforzi al tempo stesso sulla dissuasione nucleare, e sulla capacità ài proiettare le sue truppe scelte lontano dalle frontiere nazionali, con corpi di spedizione simili a quelli già impiegati in Bosnia, in Somalia, nel Golfo. In un articolo su Le Monde il ministro della Difesa Charles Millon conferma l'aspetto rivoluzionario di quest'ultima riforma, e parla di passaggio storico da un secolo all'altro. Il passaggio è avvenuto il 9 novembre dell'89, in occasione della caduta del Muro, ed «è a Berlino che il XXI secolo comincia»: a partire da quel giorno, «per la prima volta nella sua storia, la Francia non conosce più minacce in prossimità delle proprie frontiere». A partire da quel giorno le minacce non sono più contigue, come accadeva prima: le nazioni continentali d'Europa somigliano sempre più a isole, destinate a proiettare le proprie forze lontano da sé e a intervenire appunto con corpi di spedizione. Somigliano sempre più agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna: si deterritorializzano, si de-continentalizzano, tendono a imitare le grandi potenze marittime nonché i loro eserciti di mestiere. La Francia decisa a riformarsi costituisce ancora un'eccezione in Europa - accanto a Belgio, Olanda, Lussemburgo, che hanno già eserciti di mestiere - ma probabilmente altre nazioni seguiranno, prima o poi, perché l'Europa intera è posta di fronte a nuove minacce esterne, che tendono a deterritorializzarla e a darle la fisionomia di un'isola sempre più imperiale che nazionale: di un'isola minacciata o nuclearmente dalla Russia di nuovo aggressiva, o convenzionalmente da guerriglieri nazional-integralisti alle periferie d'Europa. L'intima familiarità storica che esiste fra democrazia e coscrizione militare, fin dai tempi della Rivoluzione francese, rende particolarmente difficile il ricorso agli eserciti di mestiere in nazioni come l'Italia, la Germania o la Spagna, che han¬ no memoria del fascismo, della Repubblica di Weimar, di Franco. La leva di massa è anche in Francia, peraltro, un mito fondatore della Repubblica, della sua ambizione a produrre soldati-Cittadini. Non sarà quindi semplice, rivoluzionare costumi, abitudini mentali. Ma l'orizzonte sembra tuttavia esser questo: di rinuncia da patte delle democrazie ai grandi confronti faccia a faccia tra enormi masse di coscritti; di abbandono di quelle che de Gaulle già nel '34 considerava sorpassate: «le immense querelles» tipiche del '14-18, e «l'urto frontale di ambizioni di conquista e di odi sfrenati, ie lotte totali» che implicavano la prevalenza quantitativa sulla qualità delle truppe, le interminabili linee di trincea stile Maginot, la massificazione dell'esercito e il «furore del numero». Nel suo saggio Verso l'esercito di mestiere, de Gaulle invita a «cessare di esser folla», nella condotta militare della nazione, e tenta di scongiurare il disastro che ineluttabilmente accadrà, quando nel '40 Maginot sarà travolta e la Francia sarà invasa dai nazi¬ sti. Quelle sue intuizioni ridiventano oggi attuali, in Francia e in Occidente. Diventano tanto più attuali se si pensa alla natura delle nuove minacce e dei nuovi avversari dell'Occidente: se si pensa ai conflitti di quest'ultimo con le sette integraliste, i terroristi-martiri islamici, i miliziani sterminatori serbi, gli aggressori totalitari iracheni. Davanti a simili guerrieri, le forze armate occidentali non possono opporre un esercito democratico classico, di coscrizione: i suoi soldati non hanno le stesse fedi parossistiche del '14-M8 né le fedi delle truppe avversarie. Non hanno la stessa motivazione, lo stesso folle coraggio. Hanno troppo da perdere. Non sono Immortali alla maniera cecena, non combattono per l'esistenza della nazione né per una morale superiore. Preferiscono combattere a distanza, aristocraticamente piuttosto che democraticamente, con l'aviazione, pur di evitare il corpo a corpo dei popoli ancora immersi nella Storia. Né i governanti possono legittimamente imporre ai propri cittadini di uccidere e di morire, quando si tratta non già di combattere per la difesa del territorio nazionale ma di guerreggiare in teatri di guerra lontani dalla patria. Non possono neppure limitarsi alla difesa di una fortezza, di una trincea. Le nuove guerre necessitano interventi rapidi, a sorpresa, che spiazzino l'avversario con tecnologie inattese. Riecheggiano più la seconda che la prima guerra mondiale. Necessitano tattiche più offensive, meno difensive. Hanno più bisogno di resuscitare l'antica cavalleria che non il democratico soldato semplice, come sosteneva de Gaulle quando auspicava, per poter impegnare la Francia in Centro Europa, l'avvento dell'esercito di mestiere. Per questo è interessante la controversia odierna in Francia attorno al servizio militare. Perché obbliga gli europei a ripensare le guerre difensive, e offensive. Perché li costringe a meditare sulla futura difesa del loro territorio continentale, al cui centro non resterà che il potente esercito di coscrizione tedesco, senza più contrappeso francese. Perché forzatamente abolisce lo splendido isolamento nucleare di Parigi, che per poter organizzare le spedizioni avrà bisogno di intensificare i contatti con l'America, l'Europa, la Nato. Perché aiuta a distinguere l'eventuale nuovo avversario. Il nuovo avversario tende ad abolire la distinzione classica, tra guerra crimine e terrorismo. Tende a non dare importanza alle frontiere, perché le sue fedi sono universali. Ha una visione del conflitto interiorizzata, sacralizzata, ubriacante, come il guerriero che Ernst Jùnger esalta nel libro La lotta come esperienza interiore, negli stessi Anni 30 in cui de Gaulle scrive sull'esercito di mestiere. La «razza guerriera» descritta da Jùnger è una «magnifica orchidea», il cui «gioco magnifico e sanguinario rallegra gli Dei»: nella grande battaglia «tutte le opere svaniscono, tutte le concezioni son prive di valore, e la vita si rivela come potenza prodigiosa». Questa è la «sublime emozione», la «bellezza velata», la «vertigine sacra» dell'Esperienza Interiore che è la guerra. Questo è il possibile avversario, stracolmo di falsa Storia, di falso Sacro, che sfida le memorie della Storia, e del Sacro, ancora presenti fra gli Occidentali. Barbara Spinelli La scelta francese di abolire la leva obbliga l'Occidente a ripensare la propria difesa e a intrecciare diverse alleanze

Persone citate: Charles Millon, Chirac, Ernst Jùnger, Gaulle, Lebed, Mosella, Nietzsche, Zero Morti