Italia la via maestra per l'Europa

Padoa-Schioppa al convegno del «Mulino»: perché abbiamo bisogno dell'Unione, l'Unione di noi Padoa-Schioppa al convegno del «Mulino»: perché abbiamo bisogno dell'Unione, l'Unione di noi Italia, la via maestra per l'Europa Fare ordine in casa, evitare le illusioni: non avremo sconti ¥71EL triennio 1996-'98 l'U\\ nione europea muterà proU fondamente. Nonostante la 1 molteplicità dei temi in diAJJ scussione (allargamento, politica estera, sicurezza interna e esterna, cittadinanza, moneta ecc.), il nuovo volto dell'Unione dipenderà da ciò che sarà avvenuto, o non avvenuto, in due campi: l'Unione monetaria e la riforma istituzionale. L'Unione monetaria non è l'oggetto della Conferenza intergovernativa che si aprirà tra pochi giorni a Torino, perché per essa il Trattato di Maastricht già fornisce una base giuridica completa: nessun Paese oggi propone di riaprire la discussione su questo tema. Alle istituzioni dell'Unione sono dedicate le considerazioni che seguono. Il sistema comunitario nato negli Anni 50 è stato contrassegnato da due caratteristiche che non si ritrovano in altre esperienze storiche moderne. Una è l'iniezione di elementi di sovrannazionalità nel tradizionale sistema della cooperazione intergovernativa; l'altra è il carattere evolutivo della sua «costituzione» europea. Impossibile status quo significa che, per effetto dell'ingresso di nuovi Paesi, le due caratteristiche andranno perdute se non si farà nulla per mantenerle. In una Unione di 25 Stati membri l'elemento intergovernativo soverchierà quello sovranazionale e modificare nuovamente il Trattato sarà quasi impossibile. Status quo istituzionale significa trasformare l'Unione in un organismo intergovernativo immobile. Le competenze dell'Unione enunciate dal Trattato di Maastricht sono adeguate: economia e moneta, coesione sociale, politica estera e di difesa, diritti dei cittadini, giustizia e affari interni. Sono carenti, invece, le istituzioni. In particolare vi sono: • carenza di efficacia; • carenza di democrazia; • rischio di paralisi. Si possono individuare, sulla base di questa diagnosi, due obiettivi fondamentali per mantenere un sistema comunitario vitale: in primo luogo, portare a compimento l'iter istituzionale in almeno un campo; in secondo luogo, preservare la capacità di evolvere della costituzione europea. Realizzare efficacia e democrazia. La diagnosi fu formulata con chiarezza fin dal 1989: «(...) Regola dell'unanimità e conseguente diritto di veto; mancata separazione del potere legislativo dal potere esecutivo; attribuzione del potere legislativo a un organo carente di legittimità democratica perché non eletto a suffragio universale: ecco i tre difetti fondamentali del sistema istituzionale comunitario attuale (...). Per la Comunità l'era del costituzionalismo non è ancora giunta: siamo tuttora nella fase storica dell'assolutismo (...). Non è pensabile che la terra d'origine delle moderne democrazie, l'Europa, possa ignorarlo entro la sfera delle competenze comunitarie dopo averlo insegnato al resto del mondo. Decidendo l'investitura della Commissione con un voto di fiducia del Parlamento europeo il Trattato di Maastricht ha corretto un solo aspetto del difetto di democrazia. Rimangono: (a) la violazione del principio maggioritario anche per un'ampia gamma di decisioni attinenti al primo pilastro; (b) la possibilità di legiferare contro la volontà del Parlamento eletto, per decreto dei Ministri; (c) la mancanza di separazione-equilibrio tra le istituzioni, con una forza soverchiante del Consiglio. In questi punti fondamentali di civiltà politica sta il difetto di efficienza e di democrazia; un unico difetto con due componenti, che possono solo sussistere o cadere insieme. Non è realistico pensare che la correzione possa avvenire per i campi della politica estera, della difesa, della sicurezza interna, troppo recente¬ mente acquisiti alla competenza dell'Unione per consentire soluzioni costituzionalmente compiute. Ma è possibile e necessario realizzare efficaci democrazie nel primo pilastro. Mantenere la capacità di evolvere. L'Unione europea ha una costituzione dinamica, scritta in tappe successive. Il Trattato di Roma è stato il tronco sul quale via via si sono fatti gli innesti, il più delle volte usando la procedura di emendamento stabilita dall'art. 236 (ora art. N); si può dire che questo articolò è la vera costituzione europea. La via maestra è adottare il principio maggioritario anche per modificare il Trattato. Ciò farebbe compiere al sistema comunitario il definitivo passaggio dalla sfera dei trattati internazionali a quella delle carte costituzionali. Naturalmente questo passaggio richiederebbe, vigendo il Trattato attuale, l'accordo di tutti. Sul piano pratico, poiché la via maestra risulterà impraticabile, per il problema della differenziazione verranno cercate soluzioni non sistematiche. Le velocità differenziate sono sempre state una caratteristica del processo comunitario, non solo nell'attuare, ma anche nel modifi¬ care i Trattati. Fino al Trattato di Maastricht la velocità differenziata è stata praticata nei fatti, ma non codificata. Maastricht ha portato novità, perché ha inserito nel Trattato stesso le due variabili fondamentali della differenziazione: la volontà e la capacità di procedere verso l'Unione. La «scommessa della differenziazione» è ormai un tema centrale del dibattito sull'Unione europea; in forma forse non dichiarata essa sarà al cuore della Conferenza intergovernativa e dell'evoluzione del triennio che inizia. Europa à la carte, a più velocità, nocciolo duro, opting out, opting forward sono formule usate per indicare vari modi di concepire la differenziazione. I due campi in cui occorre tracciare coordinate chiare per orientarsi in questo dibattito sono le condizioni di partecipazione e l'oggetto del gruppo di avanguardia. Condizioni di partecipazione. Il primo problema che si delinea in questo campo è la combinazione di volontà e capacità (i due elementi introdotti nel Trattato a Maastricht) richiesta per l'ingresso. La volontà è stata storicamente il cardine della partecipazione all'Unione. Tuttavia, non è pensabile che la sola «volontà», non sostanziata da effettive dimostrazioni di «capacità», cioè da una preparazione adeguata, sia sufficiente in futuro a consentire l'ingresso in una unione sempre più stretta. Vi è poi il secondo problema, se l'avanguardia debba essere un gruppo unico, o se vi possa essere un gruppo diverso per ogni politica, o progetto, o iniziativa. E' in gioco la sopravvivenza stessa dell'Unione, che cesserebbe di essere tale se si disarticolasse in una varietà di progetti tra i quali ciascuno sceglie: l'Europa alla carta. In passato si procedette a velocità diverse, ma lungo un unico percorso. L'Europa alla carta sarebbe una rottura dell'unità. L'oggetto del gruppo di avanguardia. Se il gruppo di avanguardia sarà unico, come vuole la natura stessa dell'Unione e come il Club di Firenze propone, e se le competenze definite dal Trattato sono sufficienti, è naturale che oggetto del gruppo di avanguardia sia una cooperazione più intensa nei campi stessi indicati dall'articolo B del Trattato. Ne faraimo dunque parte i Paesi che si impegnano a realizza re una unione più stretta per l'inte ro complesso degli obiettivi dell'U mone. Vorrei chiudere con qualche osservazione sulla posizione dell'Italia. Le parole che Kohl ha usato per la Germania parlando a Lovanio nel febbraio scorso potrebbero essere riprese per ciascun Paese membro. Sostituendo un solo aggettivo per adattarle all'Italia possiamo dire che «per noi italiani si sono anche altri motivi più specifici, per i quali abbiamo bisogno dell'Europa unita». Il momento di trasformazione che il nostro Paese vive da qualche anno non muta il dato di fondo del vitale interesse all'Europa di un Paese che, partecipandovi, ha quintuplicato il suo reddito prò capite, arricchito le sue giovani tradizioni democratiche e civili, rafforzato la sua struttura sociale e produttiva. L'Italia e l'Europa attraversano uno stesso duplice travaglio: una trasformazione economica, imposta dall'esigenza di conciliare il proprio modello economico-sociale con la competizione globale; e una trasformazione istituzionale, nella ricerca di maggiore efficacia e democrazia. E' contro la ragione ritenere che il rapporto stretto con l'Europa possa essere di ostacolo a un esito positivo del nostro problema nazionale. L'Italia ha dato molto all'Europa. All'azione svolta dai governi italiani nei periodi di presidenza della Comunità sono legati alcuni dei passaggi più importanti della storia comunitaria: nel 1975, la decisione di procedere all'elezione diretta del Parlamento Europeo; nel 1985, la convocazione della Conferenza intergovernativa che sfociò nell'Atto Unico; nel 1990, l'impulso decisivo dato all'Unione monetaria. Ed è mteressante che in ognuno di questi tre momenti l'Italia abbia fatto compiere il passo decisivo perché seppe sottrarre la decisione alla regola paralizzante dell'unanimità. Occorre una piattaforma comune. La benefica trasformazione politico-istituzionale dell'Italia verso un sistema bipartitico non deve travolgere anche le parti buone del consenso nazionale sulla questione europea. E' dunque urgente individuare gli elementi di una piattaforma comune che le diverse forze po- litiche e le componenti della società civile possano condividere, perché corrispondenti all'interesse generale. Il programma del governo italiano per il semestre di Presidenza e le varie risoluzioni che il Parlamento ha approvato dopo la discussione mostrano che la centralità del problema istituzionale è largamente condivisa. Credo si possano mdividuare, in questo spirito, tre illusioni da evitare e altrettanti punti «in positivo». Le illusioni da evitare nascono da una combinazione non felice di tre motivi che, singolarmente presi, sono condivisibili: la consapevolezza della difficoltà italiana; il desiderio di riscattare nostre antiche mancanze; la sincera volontà europea. Queste illusioni possono essere definite così: • «otterremo uno sconto all'ingresso»: è un'illusione perché gli altri Paesi sono troppo impegnati dai problemi di casa loro per prestare pazienza e attenzione a chi chieda sconti; • «l'Italia farà da sé»: 1'«autarchia» non farebbe guadagnare nessun grado di libertà alla politica economica, né faciliterebbe il processo di trasformazione del sistema politico; • «rallentare il processo per non starne fuori»: l'Italia non ha né la forza né l'interesse di tentare questa carta; e da un'Europa in disgregazione abbiamo solo da perdere. Ma, combinati in modi diversi, quei tre motivi possono invece ispirare alcuni punti «in positivo»: • «fare ordine in casa»: è necessario per noi, ma accresce anche il nostro peso in Europa; • «difendere l'unità dell'Unione»: evitare l'insidia dell'Europa «alla carta» corrisponde oggi a una vitale esigenza nazionale ed europea; • «far valere il primato della volontà»: «fare ordùie in casa» significa operare sul primo elemento del mix capacità-volontà. Ma ricordare che il cardine della costruzione europea è la volontà di perseguire un obiettivo comune significa a un tempo servire mi interesse italiano e ancorare lo sviluppo europeo alla sua ispirazione più profonda. Tommaso Padoa-Schioppa «L'Italia in Europa» è il titolo del convegno che si è svolto Ieri a Bologna, organizzato dall'Associazione di cultura e di politica «Il Mulino» e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Fra i partecipanti Etienne Davignon, Karl Lamers, Boris Biancheri, Luigi Abete, Beniamino Andreatta, Andrea Manzella. Il vicedirettore generale della Bancad'ltaliaTommaso Padoa-Schioppa, che ha tenuto una relazione su «Proposte e progetti per l'Europa di domani: una nuova dimensione istituzionale», ha preparato per Lo Stampa una sintesi del suo discorso. Qui a fianco Tommaso Padoa-Schioppa. Nell'immagine grande il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles