E il poeta s'illumina di rap
E il poeta s'illumina di rap il caso. Un'opera in versi musicata da Andrea Liberovici: con una allegra provocazione E il poeta s'illumina di rap Sanguineti: mi piace il rock, ecco perché SGENOVA I dice che le illuminazioni siano per il poeta ciò che la farina è per il fornaio. L'ultima illuminazione di Edoardo Sanguineti è il rap. Il rap, si sa, è una musica-non-musica contrassegnata da un ritmo ossessivamente ripetitivo, è un Bolero da cui sia stato eliminato lo sviluppo drammatico. Stregato da questa forma d'espressione molto popolare, Sanguineti ha composto i versi di un'opera intitolata semplicemente e icasticamente Rap, di cui pubblichiamo qui accanto alcuni versi. La partitura reca la firma di Andrea Liberovici, figlio di Sergio, il musicista torinese scomparso nel novembre '91. Al Teatro della Tosse, dove Rap debutterà il primo aprile, Liberovici sarà anche l'interprete principale insieme con Ottavia Fusco e con la voce fuori campo di Enrico Ghezzi. Sanguineti è un poeta sontuoso e derisorio. Sperimentare è per lui un'esigenza vitale. Cominciò ufficialmente nel '63, con quel Gruppo che si abbatté come una mareggiata contro le paratie dell'accademismo. Da allora non ha mai smesso. E' fra i pochi letterati che abbiano lavorato per i musicisti e abbiano sottratto la parola alla sua eburnea solitudine. Ma una cosa è scrivere per Luciano Berio e un'altra cosa è mettersi al servizio di una musica «bassa», su cui, oltre tutto, pende un pesante sospetto di immoralità e di delinquenzialismo. 0 no? «E' il destino di tutta la musica popolare - spiega Sanguineti -. Sul rap si dice di tutto. In America esiste un Gangster rap per il quale è stata intravista l'apologia di reato. Per il rock si è parlato di satanismo e di eversione. Ma queste accuse venivano mosse anche al jazz, a tanta canzone francese, al tabarin. C'è tutta una tradizione connessa a una forma malavitosa. Per me, invece, il rap, il rock, il jazz sviluppano linguaggi gergali». Ma che cos'è per lei il rap? «Un godimento verbale, un divertimento che mi spinge verso un terreno che amo molto. Vede, io ho una vera passione per il rock. Una volta ero uno spettatore assiduo di Videomusic, vedevo bellissimi videoclip. Ora depreco che trasmettano film». E questa idea dello spettacolo? «Nasce da un'occasione non cercata. Una sera, a Genova, ad un festival di poesia, ho conosciuto Andrea Liberovici. Ero molto amico di suo padre. Ho trovato Andrea simpatico. Aveva questo progetto del rap, voleva farne un recital da cantautore. L'idea mi ha tentato, ma l'ho convinto a pensare a una serata con una certa unità, l'ho incoraggiato ad andare oltre la struttura del rap, a sperimentare suoni, rumori e altre cose. Mi pare che l'idea stia prendendo forma». Perché l'ipotesi del rap era stuzzicante? «Mi affascinavano le sue caratteristiche di replicazione, allitterazione, rime, giochi di parole». La affascinava il gioco insomma. «Hòlderlin aveva detto che non c'è gioco più serio della poesia. In ogni opera d'arte si nasconde il gioco. Nel rap, che rappresenta l'ultima ondata giovanile, il gioco trapassa nello spirito della rivolta». C'è rivolta nel suo testo? «No, per niente. L'unica trasgressione è nel divertimento». Da quale idea è partito? «Dal sogno inteso come libertà di associazione. Non sto parlando del sogno secondo Freud, ma della cabala napoletana, della Smorfia per giocare al Lotto. Il filo di Rap è proprio questo: un sogno libero su cui Liberovici può appoggiare la sua musica». Quindi non viene fuori nessuna storia. «Non si segue un itinerario controllabile in modo nitido. E' un'avven¬ tura a sorpresa». Considerando la natura del rap, questo sogno potrebbe diventare una specie di ipnosi. «Il rap è un ritmo che contiene un elemento incantatore. Se non viene fuori l'ipnosi è perché il rap è intriso di violenza». Il rap può esercitare un'azione benefica sui poeti? «Può riaprire la vecchia questione sui rapporti tra il poeta e U musicista. Una volta Moravia, Pasolini, Calvino avevano provato a comporre testi per canzoni. Era stato un momento di grande collaborazione, in un clima molto diverso dall'attuale. Forse c'era un eccesso di serietà con risultati spesso modesti. Il poeta dovrebbe allontanarsi dalla canzone melodica italiana, andare verso il rock e il jazz». Per quale scopo? «Per essere meno poeta, per ricevere una spinta verso il gioco che può avere un valore liberatorio anche dal poetese, che è altrettanto affliggente del politichese. Bisognare profanare il vecchio linguaggio e spingersi verso il gioco». E' un appello? «Perché no». Osvaldo Guerrieri sotto il teschio, teschio io sono miope molto miope miope molto miope sotto il teschio, teschio io sono miope molto miope miope molto miope non posso leggere niente così Frusta, coda, tu se non sei tu non ci sei più Frusta, coda, tu che sei diventata la capra Frusta, coda, uno scacciamosche cioè? tu non vedevi niente intanto... Edoardo Sanguineti Sopra Edoardo Sanguineti e Andrea Liberovici autori di testo e musica di «Rap», in scena a Genova al Teatro della Tosse il primo aprile Luciano Berio, per il quale Sanguineti ha lavorato in passato e, a sinistra, Enrico Ghezzi, la cui voce fuori campo sarà presente in «Rap»
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